La puntata de "La grande storia", dedicata a Pio XII (andata in onda venerdì 29 dicembre) ha mostrato i molti volti dell'ultimo principe di Dio.
Il papa dei silenzi (per quanto non detto sulla Shoa e le altre persecuzione da parte dei nazifascisti), dei dubbi (meglio tacere sulle deportazioni e sulle morti o piuttosto tacere e cercare di salvare gli ebrei).
Ma anche il papa dei misteri: a cominciare dalla morte del suo predecessore, Pio XI, che, nel 1938 era deciso a scrivere una enciclica che condannasse definitivamente il Fascismo e il Nazismo.
Nell'ottobre 1938 Goebbels scatena le sue SS per la “Notte dei cristalli”: il papa dette l'ordine ad un gesuita, padre Forges, di preparare l'enciclica che, però, una volta completata, fu consegnata nelle mani del padre generale dell'ordine.
Ciano scrive nelle sue memorie “Mussolini è preoccupato in questi giorni, ha paura delle scomunica”.
L'enciclica arriva nelle mani del papa il gennaio 1939: troppo tardi, il papa muore in quei mesi.Troppo poco per parlare di congiura o complotto: ma ... tra i medici del papa c'era Franco Petacci, padre dell'amante di Mussolini, Claretta.
Operazione “Orchestra nera”
Dagli archivi Vaticani stanno emergendo altre verità: come il tentativo di complotto contro Hitler, portato avanti da alcuni alti militari tedeschi, di religione cattolica (come il generale Beck), esponenti dei pochi gruppi antinazisti attivi in Germania, come l'avvocato di Monaco Muller. Pio XII doveva far da garante con gli stati maggiori alleati. Il piano, chiamato “Orchestra nera” come nere erano le toghe dei preti tedeschi, non fu portato a termine; i congiurati ci riprovarono qualche anno più tardi, nel 1944.
Al centro dei giudizi sulla figura di papa Pacelli è la sua posizione nei confronti del nazismo. La sua scelta della neutralità “il papa è padre di tutti i figli e non può prendere parte alla lotta tra i figli”. Per Pio XII il vero nemico era il bolscevismo ateo: ebbe uno scontro espistolare duro col presidente Roosvelt, a proposito della sua alleanza con Stalin.
Roosvelt rispose “il pericolo nazista è ora più importante”.
Il papa ribattè “almeno i nazisti non hanno sbarrato le porte ai luoghi di culto”.
E poi c'è il problema dei preti coinvolti coi regimi fascisti.
Come Joseph Tiso, sacerdote slovacco; fu governatore della Slovacchia negli anni del nazismo e allineò la sua politica a quella di Hitler, in chiave antisemita. Fu poi condannato a morte per crimini contro l'umanità nel 1947.
O come nella Croazia di Ante Pavelic, capo del movimento ultranazionalista degli Ustascia, alleato di Hitler: oltre alle persecuzioni nei confronti degli ebrei, nel paese si operarono le conversioni forzate dei serbi ortodossi al cattolicesimo, da parte di monsignor Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria.
E qui si arriva al nodo della questione: la chiesa sapeva del genocidio contro gli ebrei che era in corso in tutta Europa; impossibile non vedere le uccisioni barbare in Polonia, nei paesi della Russia bianca, nei Balcani.
È vero anche che la posizione del papa era molto delicata: specie dopo l'8 settembre 1943, quando si ritrovò praticamente come un sorvegliato speciale, da parte delle truppe tedesche di occupazione. È noto il piano di Hitler, comunicato al generale Wolff, mai portato in pratica, di deportare papa e cardinali da Roma e di depredare la città di tutte le sue opere d'arte.
Papa Pacelli, e molti prelati di Roma, si prodigarono nel nascondere ebrei e antifascisti nelle chiese del Vaticano, fino in S. Pietro. Moltiplicò le penitenze; arrivò a distribuire 100000 minestre calde la giorno, per i bisognosi.
Ma nei suoi discorsi, molto diplomatici, mai una parola netta contro il nazismo: fece bene, fece male?
Poteva fare di più contro la feroce rappresaglia dopo l'attentato di Via Rasella?
Quello che si può dire è che fu, per i romani, l'unico riferimento morale a rimanere in città, in quei mesi tristi.
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