13 novembre 2016

Orfani bianchi di Antonio Manzini

Orfani bianchi è un libro scomodo: scomodo perché racconta la nostra società, quello che siamo diventati, da un punto di vista scomodo, esterno. Quello di una delle tante donne dell'est, che vengono qui in Italia per un lavoro, per mettere da parte abbastanza denaro da mandare poi alle loro famiglie rimaste a casa. Alla loro casa in Polonia, in Ucraina o in Moldavia, come la protagonista del romanzo Mirta.
Bene o male, tanti di noi conoscono o hanno conosciuto una di queste donne, che magari ci sembrano tutte uguali e con lo stesso accento: le vediamo per strada, sui mezzi pubblici, scambiamo anche un saluto con queste persone, ma cosa sappiamo della loro vita e dei sacrifici che sono disposte a fare e della vita che si sono lasciate alle spalle?

Chi ha un casa una persona anziana, sa quanto sia difficile avere a che fare con loro: darle da mangiare, vestirle e pulirle quando se la fanno addosso, aiutarle a fare i bisogni, sopportare quelli che per noi sembrano dei capricci.
Mirta è una di queste persone a cui noi italiani affidiamo i nostri anziani, quando non vogliamo curarli noi stessi, come capitava una volta nelle famiglie dove si viveva tutti assieme. Nonni, figli e nipoti.
Mirta Mitea è una di queste persone: sono sicuro che quando arriverete alla fine di questo (amaro) racconto, guarderete queste persone in modo diverso.
Magari con un po' più di rispetto, il rispetto dovuto a tutte le persone, anche a quelle verso cui noi italiani riversiamo il nostro razzismo di seconda generazione.
Da: Mirta.mitea@gmail.com 
A: ilie-mitea@list.ru 
Perché non mi scrivi Ilie? Nonna mi ha detto che hai tre voti insufficienti. Dice che sta sempre in giro con Andrea Monteanu e lo sai che a me quello non piace. Tu devi andare a scuola e studiare ogni giorno, non solo quando fanno le interrogazioni o ci sono i compiti in classe. Sempre. E se spendi tutti i soldi per andare in giro con Monteanu, come mi ha detto nonna, anzi, mi fai piangere il cuore. Sai quanto costano quei soldi? Promettimi che non succede più, che obbedisci a nonna Tatiana e che non fai stare in pensiero tua madre. E scrivimi.Tua madre.

Conosciamo Mirta Mitea tramite le mail che scrive al “pope” del suo villaggio (grigio, come se qualcuno avesse passato uno straccio e cancellato i colori) e al figlio Ilie: mail struggenti nella loro cruda semplicità, in cui emerge il peso di non potergli stare a fianco e le sue preoccupazioni di mamma nei confronti di Ilie, che non studia e perde il suo tempo.
Così Mirta cerca di tener vivo un rapporto raccontandogli pezzi della sua vita: «ora mamma ti racconta un fatto» ..

Tutta la vita di Mirta ruota attorno al suo lavoro come badante nella casa della signora Olivia che le consente di mandare i soldi alla famiglia.
Lei, che è disposta a fare tutti i sacrifici per poter un giorno tornare assieme alla sua famiglia, non riesce a comprendere la famiglia per cui lavora:
Qui in Italia ognuno vive per i fatti suoi. Hanno tutto ma sorridono poco e non gli viene da essere felici. Per questo la signora Olivia mi fa una tenerezza enorme.”

Con i suoi occhi (ingenui) Mirta assiste ai rapporti finti genitori figli, all'avidità dei figli che intendono mettere le mani sull'appartamento della madre:
Io caro Ilie , ho la sensazione che Pierpaolo vede la mamma come una vecchia auto da riparare e gli sembra inutile spendere soldi.”

Così, succede che i figli di Olivia “parcheggiano” la madre in un ospizio e danno a Mirta il benservito. La parte centrale del romanzo è una sorta di intermezzo tra un prima e un dopo: il suo lavoro in una cooperativa che si occupa di pulizie nei condomini, per 4 euro all'ora. La sistemazione provvisoria dentro un camerone assieme ad altre donne, straniere come lei e costrette ai lavori più faticosi.
E costrette ad ingoiare tutti gli insulti degli italiani, che le vedono come concorrenti nella guerra quotidiana per accaparrarsi un posto nei mezzi pubblici, stipati e in ritardi, in una guerra tra poveri:
«Stranieri .. quando non c'eravate gli autobus erano sempre in orario ..».

La morte della madre, Tatiana, per colpa di una stufetta difettosa, costringe Mirta ad affidare il figlio, con cui il rapporto diventa sempre più difficoltoso, ad un “Internat”, un orfanatrofio che una volta era usato come spauracchio per i bambini.
«Posso sapere una cosa?» intervenne Pavel.
«Mi dica.»
«Sono tutti orfani?»
«No» disse la direttrice. «Neanche la metà. Molti sono come Ilie. Noi li chiamiamo orfani bianchi»

Orfani bianchi li chiamano, questi ragazzi: secondo l'Unicef, solo in Romania sono 350mila i bambini che vivono senza genitori, 100mila in Moldavia. Alcuni vanno incontro alla depressione, altri alla dipendenza da alcol e droga.
Lontane da loro, le madri si prendono cura di malati e anziani abbandonati dai propri familiari.
L'internat è un altro peso da portare sopra le sue spalle, di madre sola “il mondo era un masso, un enorme masso che rotolava per una discesa e lei poteva solo scappare e cercare un posto dove nascondersi”.

Grazie all'aiuto di un amico, l'unico forse, l'angelo, Pavel, la vita di Mirta ha una svolta, con l'offerta di lavoro come badante (e infermiera) presso la casa dei signori Ferlaini Strozzi, con la signora Eleonora.

Una villa liberty in una zona esclusiva di Roma, lontana dalle miserie della povera gente, abitata da persone che non devono prendere i mezzi pubblici alla mattina, abituate a comandare ed essere ubbidite.
Ma un lavoro è un lavoro, se una persona non ha niente altro dalla vita, se sulle tue spalle hai il peso di un figlio da mantenere che devi togliere dall'inferno dell'orfanatrofio.
Anche se questo significa sopportare altri insulti, altre cattiverie, inghiottire altro amaro in bocca:
Sì, veniamo a rubare il lavoro agli italiani! Quasi sorrise. Quale italiano avrebbe fatto il suo lavoro? Chi sarebbe stato attaccato a un anziano avvizzito e morente ventiquattr’ore su ventiquattro? Neanche erano in grado di conviverci i familiari, concentrati com'erano sulla loro esistenza, figurarsi se un estraneo si sarebbe sobbarcato quella vita..

Fino a quanto può resistere una donna?
Al sentirsi invisibile agli occhi degli altri, ai sensi di colpa per aver lasciato il figlio lontano, alla pesantezza di un lavoro con una persona anziana, paralizzata da un ictus e che non parla, non si muove, non sembra voler esprime un'emozione e che sembra diventata “un ammasso di odio represso”.

Mirta scopre che tra donna Eleonora e lei, non c'è grande differenza: come le sue mani non riescono più a seguire le note e i movimenti dettati dal suo cervello, anche il corpo della donna anziana, una volta una bellissima signora che non sfigurava a fianco delle dive di Hollywood, non risponde più ai voleri della sua testa (“la cosa peggiore era avere la coscienza del proprio decadimento” pensa Mirta).

E le fa un'ultima richiesta, di voler morire ...
Ma il destino è amaro, per entrambe. Da una parte il desiderio di morire negato, dall'altra l'ultima stilettata di un destino ingiusto.
Volevo misurarmi con un personaggio femminile. Una donna unica con una vita difficile che per trovare un angolo di serenità è pronta a sacrifici immensi. Mia nonna stava morendo, io guardavo Maria che le faceva compagnia e veniva da un paesino della Romania. E mi domandavo: quanto costa rinunciare alla propria famiglia per badare a quella degli altri?”Antonio Manzini

In questo romanzo, molto reale nella descrizione dei luoghi, perfino degli odori e dei colori, si punta il dito contro quello in cui si sono trasformate le nostre famiglie, sui nostri egoismi. La contrapposizione tra le “belle famiglie” che considerano i genitori solo una “macchina da riparare” e il desiderio di una madre di tornare a vivere con la sua famiglia, in Moldavia o, addirittura, a Roma dove “una stanza costa cinquecento euro, è tutto caro come l’oro, quaggiù”.
La distanza siderale tra le vite delle donne come Mirta, stipate a dormire tutte assieme in squalidi appartamenti affittati a caro prezzo e le ville semivuote dove le donne come Mirta lavorano come badanti.

Emerge la guerra quotidiana tra italiani e stranieri e anche tra stranieri e stranieri per un posto di lavoro, una guerra tra poveri abbandonati dalle amministrazioni.
Abbandonati dalle amministrazioni locali e dimenticati perfino dai paesi d'origine, indifferenti a un fenomeno che è diventato un’emergenza sociale. Quello degli “orfani bianchi”.
Dopo aver finito questo libro, almeno sapremo vedere questo mondo da un altro punto di vista.

La scheda del libro sul sito di Chiarelettere.
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Nessun commento: