«Sono un sistema barbaro. Nessun reato emerge con certezza. Viviamo oggi in uno Stato di polizia»
Eppure, a leggersi bene le norme sulle intercettazioni, a me fan più paura le "intercettazioni preventive", che il nuovo DDL non elimina, anzi.
Antonio Ingroia, nella presentazione del suo libro "C'era una volta l'intercettazione":
Giustificate preoccupazioni sorgono, semmai, di fronte a talune prospettate estensioni dell'ambito delle "intercettazioni preventive", e cioè di quelle intercettazioni che dalla scrivania di un giudice non passano mai perché, su richiesta degli organi di polizia, vengono autorizzate direttamente dal pubblico ministero.
E visti i recenti scandali in cui spesso ci sono di mezzo anche loro, i servizi segreti, se permettete io preferisco un giudice terzo, piuttosto che un Pio Pompa, un Pollari o un Marco Mancini.
Scrive Vittorio Grevi sul Il Corriere della Sera (riportato qui):
Più precisamente, secondo questa proposta [la proposta dell'onorevole Ghedini], lo strumento delle tradizionali intercettazioni «giudiziarie» (come tali eseguibili soltanto in presenza di «gravi indizi di reato», e quindi utilizzabili come prova nel processo) dovrebbe essere circoscritto «ai soli reati estremamente gravi», mentre nelle indagini per i reati meno gravi dovrebbe adottarsi lo strumento delle intercettazioni «preventive».
Il riferimento è ad una particolare figura di intercettazioni, eccezionalmente ammesse dal codice, su autorizzazione del pubblico ministero, per finalità di «prevenzione» dei più gravi delitti di terrorismo ovvero di criminalità anche mafiosa, e proprio per questa loro natura non suscettibili di impiego probatorio nel processo. Così, sulla scorta di uno schema analogo, dovrebbe avvenire — secondo Ghedini — anche per le intercettazioni preventive concernenti i reati di minore gravità, le quali quindi costituirebbero «unicamente un mezzo per orientare le indagini, non assumendo alcun valore di prova».
Ce n'è abbastanza per rimanere sconcertati. A parte la stranezza della estensione ad un'ampia serie di reati anche «minori» di uno strumento davvero eccezionale, finora consentito agli organi di polizia con esclusivo riferimento alla «prevenzione» di delitti tipici del crimine organizzato, appare subito manifesto che alla stregua della proposta in questione le suddette intercettazioni sarebbero dirette non a «prevenire» (cioè, ad impedire) la commissione di determinati reati, bensì ad investigare su reati già commessi, proprio movendo dalle notizie acquisite attraverso l'ascolto delle conversazioni così intercettate.
Il che, se da un lato capovolgerebbe la logica di garanzia tipica delle attuali intercettazioni giudiziarie (previste non per propiziare l'avvio delle indagini, bensì solo in quanto indispensabili per il loro sviluppo), dall'altro finirebbe per allargare a dismisura il fenomeno delle corrispondenti intrusioni nell'altrui sfera privata, con l'unica differenza della utilizzabilità dei relativi risultati soltanto per scopi investigativi, e non anche sul terreno probatorio. Occorre inoltre rilevare che, se si accogliesse una proposta del genere, si porrebbe di fatto nella disponibilità degli organi di polizia, sia pure dietro autorizzazione di un organo del pm (ma in base a quali presupposti, diversi dai semplici sospetti?), un inquietante strumento di controllo delle altrui comunicazioni, operante al di fuori delle consuete e rigorose garanzie oggi previste per le intercettazioni aventi destinazione processuale.
Il riferimento è ad una particolare figura di intercettazioni, eccezionalmente ammesse dal codice, su autorizzazione del pubblico ministero, per finalità di «prevenzione» dei più gravi delitti di terrorismo ovvero di criminalità anche mafiosa, e proprio per questa loro natura non suscettibili di impiego probatorio nel processo. Così, sulla scorta di uno schema analogo, dovrebbe avvenire — secondo Ghedini — anche per le intercettazioni preventive concernenti i reati di minore gravità, le quali quindi costituirebbero «unicamente un mezzo per orientare le indagini, non assumendo alcun valore di prova».
Ce n'è abbastanza per rimanere sconcertati. A parte la stranezza della estensione ad un'ampia serie di reati anche «minori» di uno strumento davvero eccezionale, finora consentito agli organi di polizia con esclusivo riferimento alla «prevenzione» di delitti tipici del crimine organizzato, appare subito manifesto che alla stregua della proposta in questione le suddette intercettazioni sarebbero dirette non a «prevenire» (cioè, ad impedire) la commissione di determinati reati, bensì ad investigare su reati già commessi, proprio movendo dalle notizie acquisite attraverso l'ascolto delle conversazioni così intercettate.
Il che, se da un lato capovolgerebbe la logica di garanzia tipica delle attuali intercettazioni giudiziarie (previste non per propiziare l'avvio delle indagini, bensì solo in quanto indispensabili per il loro sviluppo), dall'altro finirebbe per allargare a dismisura il fenomeno delle corrispondenti intrusioni nell'altrui sfera privata, con l'unica differenza della utilizzabilità dei relativi risultati soltanto per scopi investigativi, e non anche sul terreno probatorio. Occorre inoltre rilevare che, se si accogliesse una proposta del genere, si porrebbe di fatto nella disponibilità degli organi di polizia, sia pure dietro autorizzazione di un organo del pm (ma in base a quali presupposti, diversi dai semplici sospetti?), un inquietante strumento di controllo delle altrui comunicazioni, operante al di fuori delle consuete e rigorose garanzie oggi previste per le intercettazioni aventi destinazione processuale.
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