Il 18 giugno 1982, un'impiegato londinese che sta passando sopra il ponte dei Frati neri, scopre il cadavere di un uomo impiccato con una corda, su un traliccio sotto il ponte.
E' Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano.
Come ha fatto il presidente Calvi a finire impiccato lì sotto e in quella maniera poco credibile, secondo un rituale massonico?
Per quali ragioni è scappato dall'Italia, per arrivare a Londra e risiedere in quello squallido residence, il Chelsea Cloisters?
Cosa cercava a Londra Calvi? Perché si è fidato, fino alla fine, di ambigui faccendieri come Flavio Carboni?
E' il mistero Calvi.
“[Quella di Roberto Calvi ]È una storia drammatica, reale, che ancora oggi è contornata da mistero. È una storia di potere. Un potere cinico e impietoso. Un potere estraneo non solo alle religioni, ma anche all’etica, alla solidarietà, alla giustizia, alla legge. Un potere fondato su un sistema di arricchimento del quale fanno parte mafia, Vaticano, P2, che si incontrano e si scontrano su terreni non omogenei e con finalità diverse.Un potere fondato su un sistema in cui il vero padrone è il denaro. Un sistema dentro il quale non sono ammessi corpi estranei né intenti ricattatori che ne possano scalfire l'integrità. E il denaro non può essere utilizzato al di fuori degli interessi di chi lo ha prodotto.
Roberto Calvi non lo capì. Forse fu questa la sua grande ingenuità, che pagò con la vita.Abbiamo visto che papa Wojtyla, o chi per lui, secondo quanto assunto da banchiere (ma non solo), con i soldi della mafia riciclati dallo stesso Calvi e Marcinkus, finanziava Solidanosc a sostegno della sua battaglia democratica contro il regime totalitario del comunismo russo. Abbiamo visto che, sempre secondo il banchiere (e non solo), con il medesimo denaro il Vaticano sosteneva anche i peggiori regimi militari del Sud America. Tutto ciò nel segno di un'obiettiva convergenza con le linee guida della politica americana. L’alleanza tra il numero uno dello Ior e quello del Banco nelle società panamensi, utilizzate per riciclare quel denaro, non procurò tuttavia alcun ritorno di utili per la criminalità organizzata, e fu verosimilmente questo il movente dell'omicidio di Calvi”.
Mario Almerighi è stato giudice
istruttore a Roma e ha seguito l'istruttoria del processo a carico di
Flavio Carboni (e altri) per il reato di ricettazione, essendo venuto
in possesso della borsa di Roberto Calvi, il presidente del Banco
Ambrosiano trovato morto, impiccato sotto il ponte dei Frati neri a
Londra.
L'esamina dei documenti che erano
contenuti dentro la borsa, e che furono usati da Carboni per portare
avanti un suo disegno ricattatorio nei confronti del Vaticano,
diventa una chiave di lettura per comprendere meglio questo “mistero
italiano”.
La morte del banchiere di Dio, il suo
inscenato suicidio, il crac del Banco Ambrosiano, la piccola banca
milanese nata per elargire prestiti a piccoli clienti. Diventata, con
la gestione di Calvi il tramite per il riciclaggio dei proventi dei
mafiosi (in special modo le famiglie corleonesi).
Calvi che aveva preso il posto di
Sindona (l'altro scorpione nella bottiglia, come lo definì Cavallo,
un ambiguo personaggio vicino al banchiere di Patti) nella gestione
dei capitali mafiosi, quando quest'ultimo cadde in disgrazia.
L'Ambrosiano fu usato dallo Ior dello
spregiudicato Marcinkus come tramite per finanziare sottobanco
Solinarnosc, nelle sue battaglie contro il regime comunista.
Ma anche le dittature centro e sud
americane. Da quella Argentina a quella nicaraguense.
Ma la storia del banco Ambrosiano si
incrocia con gli scandali della Loggia P2, il ruolo di Gelli nel
condizionare la politica e la storia italiana. L'assalto al corriere,
ai gangli dell'imprenditoria e del sistema bancario.
La borsa di Calvi fu esibita, in un
vergognoso evento mediatico, durante una trasmissione di Enzo Biagi,
strumentalizzato da Carboni stesso che intendeva così rivelare al
mondo i segreti del banchiere.
La borsa era vuota, in realtà. I
documenti, erano già finiti nelle mani di un monsignore polacco,
vicino al papa, che aveva pagato il faccendiere sardo con assegni da
centinaia di milioni, per venire in possesso del contenuto. Per
ottenere questo scopo, padre Paolo Hnilica non aveva esitato a farsi
finanziare da un pregiudicato vicino alla banda della Magliana. Nel
libro di Almerighi vengono pure riportate le lettere con cui Lena
chiede al monsignore indietro i soldi.
– Sua Eminenza, io mi sono un po’ stancato, io ho anticipato per quello che lei sa…– Lo so, lo so, deve pazientare ancora un po’.– Sì, io ho già dimostrato di averla la pazienza, si tratta di svariati milioni di dollari… Lo Ior…– Be’, be’, non esageriamo, comunque, stia tranquillo… ma non faccia più quel nome.
Conversazione telefonica tra il boss Giulio Lena e un alto prelato del Vaticano in relazione all’acquisto delle lettere contenute nella borsa di Calvi.
Perché queste lettere erano così
interessanti per il Vaticano? Come mai erano in possesso di Carboni?
Emerge, dalla ricostruzione delle
indagini svolte da Almerighi sull'ultimo periodo di vita di Calvi, il
volto inconfessabile del potere in Italia.
“In questo disgraziato paese, nel quale la politica si mescola con la criminalità, siamo costretti ogni giorno ad assistere alla più vergognosa corruzione di tutti i centri di potere;”
Questo scriveva Calvi in una lettera al
massone Armando Corona.
In quelle lettere viene fuori
l'immagine di un Calvi disperato, che voleva usare tutti i suoi
documenti e le sue carte, come ricatto nei confronti del Vaticano
che, dopo averlo usato, lo stava abbandonando (la banca per il suo
indebitamento era prossima alla bancarotta e Calvi stesso nel 1981
era stato condannato in primo grado).
“La politica dello struzzo,
l’assurda negligenza, l’ostinata intransigenza e non pochi altri
atteggiamenti di alcuni responsabili del Vaticano mi danno la
certezza che Sua Santità sia poco e male informata di tutto”-
dalla lettera del 5 giugno 1982 (pochi giorni prima della morte), a
papa Giovanni Paolo II.
Se Calvi avesse parlato. Dopo la
condanna da parte del Tribunale di Milano, dopo esser stato
abbandonato da tutti, anche dai partiti politici che aveva
contribuito a sovvenzionare, da Gelli e Ortolani (il gatto e la
volpe), dal misterioso faccendiere Pazienza (legato al Sismi e al DC
Piccoli), Calvi si lasciò avvicinare da personaggi provenienti da
ambienti malavitosi, con cui era entrato in contatto. È da Balducci,
cassiere della Magliana, che si arriva a Flavio Carboni. L'uomo che
lo segue nei suoi ultimi mesi, fino all'ultimo viaggio a Londra. Che
Almerighi ricostruisce fino all'ultimo dettaglio.
Calvi non doveva parlare: avrebbe
potuto raccontare degli intrecci tra mafia, finanza e lo Ior. Del
sistema delle tangenti dei partiti, ben prima di Tangentopoli.
Di come le sue consociate estere fosse
state ben munte da società riconducibili allo Ior per finanziare con
armi e altro materiale, i regimi in centro America.
“Mi siano restituite tutte le somme da me devolute per i progetti riguardanti l’espansione politica ed economica della Chiesa; mi siano restituiti i mille milioni di dollari che, per espressa volontà del Vaticano, ho devoluto in favore di Solidarnos´c´; mi siano restituite le somme che ho impegnato per organizzare centri finanziari e di potere politico in cinque paesi dell’America del Sud, somme che ammontano a oltre 1,75 milioni di dollari.”
Lettera di Roberto Calvi, priva di data
e destinatario, consegnata dall’avvocato di padre Hnilica, Roberto
De Felice, al giudice Mario Almerighi.
Leggendo questo libro si intuisce come
la storia moderna, dalla guerra fredda al muro di Berlino, meriti di
essere riletta secondo una prospettiva diversa.
Forse, diversamente da quanto ci è
stato raccontato, non sono bastate le preghiere per abbattere il
muro.
E per cambiare il mondo, come oggi lo
conosciamo.
La scheda sul sito di Chiarelettere
I link per ordinare il libro su Ibs
e Amazon
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- Poteri forti di Ferruccio Pinotti
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- Il caso Calvi di Luca Amerio, Luca Baino, Matteo Valdameri
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