Chi conosce l'opera del TAV in val di
Susa non può che esserne contrario: non ci sono indicatori (o almeno
dal mio punto di vista non ve ne sono) a sostegno di questa costosa e
invasiva grande opera.
Costerà almeno 26 miliardi, da
dividersi tra Italia e Francia, ma tutte e due le nazioni devono
sottostare ai vincoli europei e non hanno soldi. I governi sperano
allora nell'Unione Europea che però, prima di metterci dei soldi
vorrà vedere le carte, vorrà controllare l'impatto ambientale, gli
aspetti economici dell'opera.
E nell'attesa rimarrà ferma.
Il TAV rischia così di tramutarsi in
un nuovo ponte sullo stretto di Messina.
Altra opera dalla dubbia utilità,
perché basata su un progetto ambizioso e costoso, che non teneva
conto delle condizioni a contorno. Come i rischi sismici, o le
infiltrazioni mafiose (per usare un eufemismo).
Come per il ponte, andremo avanti per
anni con lavori solo sulla carta e fare qualche buco nella montagna,
facendo spendere una montagna di denaro pubblico ai cittadini
italiani e francesi per molti anni. E ascolteremo le solite
fastidiose giustificazioni.
L'opera si deve fare perché altrimenti
si perde il treno del progresso.
L'opera si deve fare perché altrimenti
ci sono le penali.
C'era una volta un candidato alla segreteria del PD che era contrario a queste grandi opere (come anche a toccare l'articolo 18): meglio le piccole opere di messa in sicurezza sul territorio, diceva. Opere che creano anche posti di lavoro sicuri.
Poi quel candidato ha fatto carriera ...
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