Ad un anno dalla pandemia l'Italia è
allo stremo, basta aver occhi e orecchie per vedere e ascoltare.
Ci sono i commercianti a Torino che non
sono riusciti a recuperare qualcosa nemmeno dai saldi, temono di
dover chiudere, di non riuscire a far fronte ai pagamenti. Di dover
licenziare delle persone.
Ascom parla di 20000 imprese a rischio
chiusura a Torino e nell'area metropolitana: i ristori non coprono le
spese, servirebbe dare respiro allungando i tempi di pagamento delle
tasse. E da questa crisi ad essere colpite
sono per lo più le donne.
Da Torino a Prato, nel settore tessile
più grande d'Europa: l'azienda del signor Andrea Belli ha avuto un
crollo del fatturato del 50%, il telefono non squilla più per gli
ordini, gli investimenti fatti nel 2019 non hanno portato frutti.
Il prestito delle banche gli hanno
consentito di rimanere in piedi, ma dovrà restituirli in un anno e
non in dieci anni.
Fare impresa, non solo per guadagnare,
è difficile in Italia: serve passioni, investimenti mirati, capacità
di reinventarsi. Il covid ha reso tutto più difficile.
L'attesa di una ripresa è dura quanto
questa crisi: è un'attesa connotata dal silenzio dei macchinari,
dalle persone rimaste a casa in cassa integrazione (o licenziate).
Macchine ferme perché il negoziante ha
bloccato gli ordini, perché le persone non comprano più capi: la
lana invenduta rimane dentro i magazzini, imballata e già pagata.
Le aziende che chiudono portano via
esperienze, competenze, posti di lavoro, famiglie in difficoltà. E
al posto dei macchinari i buchi, perché le macchine ora sono volate
in Cina, dove si sta lavorando.
Prima o poi usciremo dalla crisi. Ma
noi ci saremo ancora? Il tempo è la variabile importante e per
questo è importante spendere bene e ora i soldi dall'Europa. Questa è la sfida che ci troviamo di
fronte.
Tra i settori più colpiti, il tessile
e calzaturiero, che tra gennaio a dicembre hanno perso il 28% della
loro produzione (dati Istat) rispetto al 2019: Presadiretta è andata
nel distretto calzaturiero più esteso, nelle Marche a Fermo, dove
si trovano più del 30% delle imprese del settore (tra questa
provincia e quella di Macerata) con un giro d'affari che prima del
Covid valeva 2 miliardi di euro l'anno.
La CNA ha calcolato che in questa zona,
al 31 ottobre, hanno chiuso 51 aziende: un'azienda che è riuscita a
rimanere aperta è la Arcuri, dieci dipendenti con un fatturato da
900mila euro l'anno e che col Covid ha visto le sue commesse
dimezzarsi.
Da 7000 paia di scarpe ordinate, sono
state confermate solo 3000 paia – racconta uno dei titolari.
Hanno chiesto la garanzia del 90%, ma i
soldi non sono ancora arrivati: i soldi servivano per investimenti e
stipendi, ma ora sono bloccati dalla burocrazia.
In questi comuni, in questo distretto,
i grandi marchi affidano la loro produzione, ci sono i laboratori che
producono il vero made in Italy: come quello di Massimo Giorgini che
coi suoi tre dipendenti disegna le suole per alcune delle griffe più
famose.
Un'azienda che fattura circa 200mila
euro l'anno e che l'anno scorso ha registrato un calo del 45%: “il
problema maggiore secondo noi, secondo i miei clienti, è che l'anno
che verrà sarà ancora peggio dell'anno che è passato..”.
Finita la cassa integrazione, si dovrà
licenziare e chiudere il laboratorio: il futuro sarà grave se non
passa la pandemia.
Molti imprenditori sanno già che
dovranno licenziare, la situazione è ad un passo dal disastro –
racconta il presidente della CNA di Fermo: “la situazione è così
grave che, se non ci fosse il blocco, licenzierebbe subito, perché
quello che abbiamo davanti è uno scenario di grande incertezza”.
In crisi anche il famoso Gambrinus a
Napoli: in questo momento il locale è morto, non conviene tenerlo
aperto se non ci sono i clienti.
Ma il titolare del Gambrinus teme anche
per i colleghi dei piccoli locali: circa il 20% delle aziende tra
Napoli e provincia chiuderanno per il covid con una perdita di
fatturato stimata in 2 miliardi.
Le pizzerie riescono a stare aperte con
l'asporto, ma è una situazione che non può andare avanti a lungo:
la crisi ha fatto esplodere la povertà, si parla di sopravvivenza e
non di altra – racconta il titolare della pizzeria “Da Michele”.
Le code per il pane non ci sono solo a
Milano ma anche a Napoli, nord e sud con problemi simili: a Napoli è
emergency ad aiutare le persone oggi in crisi, persone che lavoravano
in nero e che per questo non hanno potuto avere alcun ristoro.
La spesa solidale, emergency, l'eterna
arte di arrangiarsi, vivere alla giornata. Persone che non riescono a
vedere il futuro, costrette a vivere giorno per giorno.
A Napoli un altro problema è quello
della Whirlpool: i lavoratori chiedono al governo di aiutarli e di
non stare a guardare, c'è un accordo con l'azienda non rispettata.
Il giornalista di Presadiretta è
andato ad incontrare Salvatore, uno di questi operai, prima di
Natale:
“Noi questo Natale abbiamo fatto di
tutto per farlo sembrare normale” racconta al giornalista
“purtroppo dopo due anni di lotta, per quanto uno possa
nasconderlo, la più grande [figlia] l'ha vissuto, ha percepito le
mie preoccupazioni, le mie paure..”
La notizia della chiusura del sito è
stata tremenda, notti passate sveglio, a chiederti perché, dove si
perde lucidità, entri un una dimensione dove non sei mai stato:
“perdi le tue certezze, la tua dignità”.
Nessuno sa quando finirà, questa crisi
è originata da una pandemia di cui non si conosce l'origine:
sappiamo solo che abbiamo da spendere i 209 miliardi del recovery
fund.
Ma nel passato non abbiamo speso bene i
soldi europei: Sabrina Carreras ha girato l'Italia per capire come le
regioni hanno speso questi soldi. Soldi che non sono gratis, perché
dovremo restituirli.
A Maggio 2020 la presidente della
Commissione Europea ha presentato un piano per affrontare la crisi,
uno strumento di ripresa chiamato next generation UE, un pacchetto di
aiuti senza precedenti, 750 miliardi di euro.
L'Italia prenderà la parte più grande
di questo piano, 209 miliardi di cui 127 miliardi sono prestiti e 82
miliardi in sussidi a fondo perduto: ma anche questi ultimi non sono
gratis, cambia il modo con cui questi prestiti e sussidi andranno
ripagati, i prestiti ricadranno sul debito mentre i sussidi saranno
ripagati dall'Europa.
Fino ad oggi però non siamo stati
efficienti nello spendere bene i soldi europei: siamo quelli che
hanno ricevuto più soldi dall'Europa nel passato, ma terzultimi per
capacità di spesa.
Lo dice la Corte dei Conti Europea: dei
44 miliardi che sono arrivati all'Italia dall'Europa siamo riusciti
ad usarne solo il 30,7%.
Per l'innovazione in agricoltura ad
esempio, dal 2014 esiste il “piano di sviluppo rurale” di 10
miliardi di euro, una manna per le aziende della Puglia dove il
batterio Xylella ha distrutto interi ettari di ulivi.
Presadiretta ha incontrato un
agricoltore, Eugenio Arsieni, che ha cercato di partecipare ai bandi
per il piano di sviluppo rurale del luglio 2016: Eugenio ha aspettato
i fondi per mesi e dopo 4 anni non è arrivato nulla.
La regione Puglia ci ha messo due anni
per pubblicare la graduatoria, poi questa era stata scritta male:
nessuno ha verificato la bontà dei dati all'interno dei progetti,
spiega un agronomo.
Ci sono stati molti ricorsi, per questi
errori, così tutto è stato bloccato dal TAR: ora l'assessore
all'agricoltura ammette l'errore, dopo sei anni. E così quei
progetti hanno perso significato, molte delle persone che avevano
presentato la richiesta se ne sono andate dalla regione.
Quei soldi avrebbero potuto creare
posti di lavoro, creare sviluppo. Invece c'è stata solo emigrazione.
Carlo Barnaba aveva chiesto i soldi per
quel bando, per comprarsi uno scuotitore: invece la macchina se l'è
dovuta comprare da solo e non ha potuto fare altri investimenti. Dei soldi europei sono stati spesi solo
il 36%: la Puglia è quella al sud che ha speso meglio i soldi
europei.
La regione peggiore è stata la
Sicilia: regione con strade collassate, che sprofondano, strade su
cui dovrebbero arrivare soldi europei per completarle.
E ponti che portano al nulla: come
quello di Galliano, finanziato con fondi europei poi bloccati, per i ricorsi presentati e per
l'aumento dell'appalto per una variante: le leggi in Italia sono
fatte male e il risultato sono le opere incompiute e abbandonate a sé
stesse.
Come il depuratore di Augusta: qui
aspettano un depuratore da anni e oggi gli scarichi arrivano in mare,
fogne a cielo aperto.
I fondi per il depuratore i soldi ci
sono, dal 2012, ma non si sono spesi: da cinque anni ci sono
commissari regionali e nazionali che devono far fronte a tante opere
e manca l'organizzazione per gestire tutta questa mole di lavori.
E oltre a non avere i lavori, paghiamo
pure le multe all'Europa perché non abbiamo i depuratori: la Sicilia
ha il record di spazzatura che finisce in discarica, mancano gli
impianti di riciclo. E se gli impianti sono realizzati, poi vengono
commissariati e chiusi, dove regna il clientelismo e lo spreco.
Ci sono imprenditori che prendevano
fondi europei per macchinari nuovi che invece erano solo
riverniciati: una truffa in cui erano coinvolti anche funzionari
pubblici collusi.
La regione Sicilia dice, sul sito, che
tutta la spesa pubblica è certificata: ma nessuno controlla che
l'opera realizzata continui a funzionare dopo un anno, che sia utile
per il territorio.
Manca il controllo ex posto, siamo
abituati a controllare la spesa, non l'effettiva utilità della
spesa: nonostante le risorse che arrivano, si spende male e poco,
manca una pubblica amministrazione capace di gestire questi fondi e
questi progetti.
A Palermo c'è un solo dirigente per
tutti i lavori pubblici, un solo dirigente tecnico, mentre una volta
ce ne stavano 32: manca personale e mancano le competenze tecniche
per gestire i lavori, quota 100 ha depauperato il personale.
La regione Sardegna nel 2013 aveva
stanziato 13 milioni di euro per gestire le alluvioni a Bitti: dopo
sette anni un nuovo alluvione ha ucciso tre persone.
Per liberare le strade dal fango,
esercito e volontari hanno lavorato per giorni: danni ingenti al
paese, alle famiglie, agli imprenditori, agli esercenti.
I sette milioni che sarebbero serviti
per fermare l'alluvione, per costruire nuove dighe e vasche di
contenimento, non sono stati spesi.
Il comune non è riuscito a far partire
i lavori in sette anni: il comune si è trovato ingessato nella
spesa, per i vincoli di bilancio, così si è rivolto alla regione.
LA regione si è rivolta alla Sogesit, agenzia del ministero. Ma
anche l'agenzia è rimasta bloccata per problemi della burocrazia.
Avere soldi e non poterli spendere è
come non averli. Come possiamo vincere la sfida del covid? Dobbiamo spendere i soldi dall'Europa
in tempi brevi, entro il 2026. Come? Seguendo l'esempio delle regioni più virtuose cioè Emilia,
Friuli, Piemonte e Lombardia.
Presadiretta è andata nel centro di
ricerca meccanica avanzata dell'università di Bologna dove un gruppo
di ricerca ha trovato una tecnica innovativa per la produzione delle
mascherine Ffp3 che presto verranno realizzate industrialmente.
Si tratta di un progetto realizzato in
piena emergenza Covid, che senza i 120 mila euro dei fondi europei
per lo sviluppo regionale FEF messi a bando dalla regione non sarebbe
mai partito.
Il progetto è nato nel febbraio 2020,
dall'idea di usare le nanofibre per la realizzazione di tessuti ad
alta filtrazione: mascherine che filtrane bene e che sono anche
leggere.
Il ricercatore Davide Fabiani racconta
di aver sviluppato una macchina per trasferire questa tecnologia ad
un prodotto più industriale e per fare questo per fortuna abbiamo
avuto ad inizio aprile la possibilità di accedere ai fondi.
Se la regione Emilia Romagna ha trovato
i fondi per le mascherine è perché ha riprogrammato velocemente le
risorse spostandole sul fronte dell'emergenza sanitaria. La regione Emilia ha spostato 9,2
milioni per finanziare ricerche in ambito Covid con risultati che già
oggi stanno dando risultati.
Morena Diazzi è a capo della direzione
che si occupa di gestire due fondi europei tra i più importanti:
quello per lo sviluppo regionale, il FES, rivolto alle imprese e agli
enti di ricerca. E il fondo sociale europeo, FSE, che si occupa di
formazione.
FES e FSE hanno una dotazione per la
regione Emilia Romagna pari a 1,2 miliardi di euro: la regione ha
raggiunto i target di spesa imposti dall'Europa già nel 2019 per il
2020 che per quest'anno.
“Per fare questo è necessario
avere delle stazioni appaltanti che funzionano e delle imprese che
devono essere capaci di spendere”.
In regione è stato fatto un “patto
per il lavoro” tra sindacato, categorie politiche e imprese: questo
patto ha consentito di avere obiettivi chiari e condivisi per
spendere bene i soldi europei, ovvero avere competenze scientifiche e
matematiche all'interno degli impiegati pubblici.
Il cuore della macchina amministrativa
in Emilia Romagna gestisce i 2 miliardi dei fondi europei: a giugno
2020 già gran parte di questo denaro era già impegnato in bandi,
alcuni dei quali per la riqualificazione di aree colpite dal
terremoto.
Questi fondi sono serviti per costruire
il tecnopolo, che porteranno a Bologna centri di ricerca
all'avanguardia in Italia: un centro meteo, supercalcolatori, hub di
ricerca, tutto costruito in un'area abbandonata.
Tra i fondi anche quelli per
l'agricoltura: soldi spesi per innovare le filiere produttive
agricole, usati per nuovi investimenti negli impianti che trattano
frutta e verdura per la grande distribuzione organizzata.
I bandi richiedono competenze per
essere scritti e competenze per essere richiesti: significa avere
personale qualificato sia in regione che nelle imprese o nelle
cooperative.
Significa avere una macchina in grado
di saper spendere soldi per gestire il post terremoto, quello in
Emilia, per la ricostruzione e per immaginarsi un nuovo futuro. A Ferrata i soldi per il sisma hanno
permesso di rinnovare la struttura del polo museale.
I piccoli comuni che non hanno tutte
queste competenze sono stati aiutati dal capoluogo: è quello che ha
fatto Modena per i suoi comuni, come Formigine, comune che ha preso
contributi per 10ml di euro per rifare il centro storico, valorizzare
piazze e strade, fare una ciclabile.
In questi comuni sono pronti a gestire
i soldi del next generation UE, per scuole, case, palazzi da rifare o
riqualificare. Sanno che questa occasione sarà unica per poter
cambiare pelle.
I territori sanno come spendere questi
soldi e immaginare il futuro – racconta il sindaco di Modena che
ora teme che i soldi possano rimanere fermi a Roma.
Servono competenze, condivisione dei
progetti sul territorio, una pubblica amministrazione che funziona e
un sistema di controllo di progetti in modo che nulla si perda in
pastoie e clientelismi.
In Francia hanno fatto un piano di 296
pagine, che descrive come spendere i soldi del next generation UE: il
piano di ripresa francese è già operativo, per rilanciare il nostro
paese confinante appena la pandemia terminerà.
Esiste un piano ed esiste un sito per
controllare lo stato di avanzamento dei progetti, per richiedere
l'adesione ad un progetto, per scaricare i bandi, mentre in Italia
abbiamo solo un piano generico, senza interventi specifici.
Bike sharing, autobus elettrici,
riqualificazione di edifici pubblici come il Louvre, energia pulita
come quella dall'idrogeno.
In Francia hanno pensato al piano di
ripresa già durante il lockdown, pensando a quella che potrebbe
essere la Francia del 2031: il piano prevede sia soldi europei che
soldi francesi, per questo è potuto partire subito.
Mentre in Italia si parlava di 300
consulenti, in Francia il ministro ha assunto un consigliere per
seguire il piano: per far andar avanti il progetto è sufficiente il
rapporto interministeriale, il controllo della politica, regione dopo
regione.
A scegliere i progetti, ministri e
sottosegretari girano le regioni, la macchina organizzativa è in
grado di far arrivare i soldi alle imprese, passando ai vice
prefetti, su tutto il territorio.
Esiste poi un organo indipendente che
fa per il governo l'analisi delle politiche economiche come quelle
previste dal piano da 100 miliardi: obiettivo è far sì che la crisi
non ricada sui giovani, per questo in Francia si seguono i ragazzi
che entrano nel mondo del lavoro, col piano “un giovane, una
soluzione”.
In Francia l'apprendistato si paga e
anche bene, con l'alternanza scuola lavoro lo stato paga la scuola:
lo Stato finanzia anche giovani startup che così possono assumere
apprendisti e crescere.
In Italia, dove abbiamo il più alto
numero di giovani inattivi, come si spenderanno i fondi per i
giovani? L'Europa è preoccupata del fatto che l'Italia non sappia
sfruttare questa occasione, racconta l'europarlamentare Gozi.
Dobbiamo dimostrare di sapere gestire
questi fondi preziosi per il nostro paese: peccato che non abbiamo
saputo spendere bene nemmeno i fondi contro la violenza sulle donne.
Non sono stati spesi soldi per le case
delle donne maltrattate, per i figli delle donne uccise dal compagno,
dal marito, dall'ex .. Donne e bambini invisibili.