30 aprile 2017

Di primarie e di radici storiche a sinistra

Dalla Chiesa, a chi gli chiedeva perché la mafia avesse ucciso il segretario PCI Pio La Torre, rispose: “per tutta una vita”.
Per tutta una vita contro la mafia, contro i soprusi, contro le cooperative anche rosse colluse con la mafia.

Il procuratore al processo del tribunale fascista contro Antonio Gramsci disse “dobbiamo impedire a questo cervellodi ragionare”. Il cervello di una politico di sinistra, che non accettava compromessi, che non accettava la soppressione della libertà con la dittatura fascista.

A 35 anni dalla morte del segretario Pio La Torre, a 80 anni dalla nascita di Antonio Gramsci, quella parte di centro sinistra che oggi si presenta alle primarie dovrebbe fermarsi un attimo e guardarsi alle spalle. Guardare quelle che sono le vere radici della sinistra.

E vedere quello che è diventata oggi, in quel partito chiamato Partito Democratico che si appresta a votare per il segretario – candidato presidente del Consiglio per le future elezioni.

È vero: oggi non c'è più la dittatura fascista (anche se il fascismo è una malattia ancora presente nella nostra società) e le mafia ha cambiato pelle. Ma ci sono ancora gli esclusi e gli emarginati. Le mafie sono entrate nei consigli comunali, regionali, sono entrate nelle imprese, fanno impresa.
Portano voti a questo o quel candidato in cambio di favori che possono essere appalti, leggi che non devono essere approvate o da approvare ..

Oggi la sinistra, o centro sinistra, o forse centro e basta cosa è diventata: il partito dei bonus, dei selfie con Marchionne, della deregolamentazione arrivata col jobs act e coi voucher.
Il partito che, lo dicono i numero, ha portato il paese ad avere il boom in esportazioni di armi e con un'alta disoccupazione giovanile.
E, per chi non ha più memoria, Pio La Torre aveva manifestato contro i missili americani a Comiso, che avrebbero portato la Sicilia sul fronte della guerra alla Libia (oltre ad essere un favore ai mafiosi).
Il partito che oggi cerca consenso andando a prendersi voti al centro e a destra.
Il partito che oggi guarda con interesse al Macron francese.
Il partito del non andate a votare al referendum sulle trivelle (e Gramsci era quello che "odio gli indifferenti").

Il partito i cui candidati alle primarie, nel confronto televisivo, parlano di legittima difesa, di Alitalia dimenticandosi degli errori commessi .
Il partito che al 25 aprile, festa della Liberazione, in cui a sventolare doveva essere il tricolore, è invece sceso in piazza in #tuttoblue.
Il partito che alle elezioni (quelle regionali in Campania che hanno visto trionfare De Luca) non ha saputo o voluto contrastare i voti poco chiari che arrivavano da liste con candidati vicini alle mafie.

Nel libro “Chi ha ucciso Pio LaTorre” si riportano le testimonianze della giornalista Chiara Valentini di Panorama, di cui l'onorevole era un fonte, e della collega Adriana Laudani:
"Ritiene che il PCI o una sua parte avesse rapporti consociativi con i Salvo [Nino e Ignazio, esattori delle tasse sull'isola, considerati organici a cosa nostra]?Un dipendente delle esattorie - un comunista molto serio - mi raccontò che, secondo alcune voci assai fondate, i Salvo passavano soldi al partito. In quel periodo si aprì persino una polemica interna perché la figlia di un prestigioso deputato regionale comunista era stata raccomandata dai Salvo per un posto di lavoro.

Il partito che ha portato il giornale fondato da Antonio Gramsci nelle mani di imprenditori che poi avrebbero ricevuto favori in appalti pubblici.
Non basta chiamarsi compagni, come ha fatto Renzi al lingotto, per dirsi di sinistra.
« Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini »(Antonio Gramsci, Lettera alla madre, 10 maggio 1928)

Ecco, oggi, quando andate a votare, pensare a quanta storia abbiamo alle spalle e al futuro che ci aspetta.
Una sinistra di governo che si alleerà con la destra berlusconiana per portare avanti le politiche già viste negli anni passati, una serie di partitini a sinistra del centro sinistra, inconsistenti e al momento incapaci di unirsi tra loro.
E gli elettori costretti ancora una volta a votare il meno peggio, perché altrimenti arriva il babau.
La Le Pen in Francia o i populisti in Italia.

Andate a votare dunque, ma votate consapevoli.


29 aprile 2017

Il caso Mattei, di Vincenzo Calia e Sabrina Pisu

Le prove dell'omicidio del presidente dell'Eni dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità.

Il caso Mattei: tre parole che evocano, negli italiani che hanno ancora memoria del passato, tanti divesi significati.
Il caso Mattei è uno dei misteri d'Italia, quei casi che hanno suscitato una forte eco nel paese, una forte emozione ma su cui la magistratura non è stata in grado (o non è stata messa in grado) di arrivare alla verità. Un caso irrisolto, senza colpevoli, dove alla verità di comodo si affiancano tante ipotesi, senza giungere mai ad una verità almeno storica..
Perché Il caso Mattei è una storia di complotti bei confronti di una delle più importanti aziende di Stato, l'Eni, di cui Enrico Mattei era presidente in quella sera del 27 ottobre 1962. Complotti per eliminare Mattei, per la sua politica energetica, per la sua scelta di non essere subalterno alle “sette sorelle”, le maggiori aziende petrolifere.
Gli mandavano delle lettere minatorie, dicendo di smetterla. Lui le leggeva, ci pensava sopra un momento, poi le riponeva tra i suoi documenti, nell’ufficio che aveva all’Eni.”Margherita Paulas, vedova Mattei.

Complotti che nascevano dall'insofferenza per come Mattei gestiva l'Eni, un'azienda che, come i giornalisti Andrea Greco e Giuseppe Oddo hanno chiamato "Stato parallelo" perché ha sempre gestito la vera politica estera (ed energetica e industriale) del nostro paese al posto dei ministri del governo.
Il caso Mattei è una storia in cui, partendo dall'Eni, si mettono assieme i servizi segreti (italiani e stranieri, deviati o non deviati), il Sifa e la Cia, i depistaggi che ha subito l'inchiesta (come in tutti i misteri d'Italia che si rispettino, dalla morte di Giuliano a Piazza Fontana), la presenza della mafia, le sette sorelle, l'OAS (l'Organisation de l'armée secrète, la struttura paramilitare nata dopo l'indipendenza dell'Algeria), un misterioso Mr X (legati a tanti episodi bui della nostra storia) ..
E, ancora, le lotte all'interno del mondo politico tra le correnti DC, tra la DC e il partito socialista per mettere le mani sulle aziende di stato (e relative commesse): uno scenario così complesso e vasto da far venire le vertigini.

Il caso Mattei è un pezzo importante della nostra storia, che ha avuto influenze importanti nel nostro assetto politico (ed industriale probabilmente): periodicamente torna alla ribalta sulle prime pagine dei giornali, con lo scontro tra i sostenitori delle due tesi, quelli della caduta accidentale (come ha stabilito la commissione ministeriale voluta da Andreotti) e quelli che, dietro quella tragedia, hanno riconosciuto il volto oscuro del potere in Italia.
Un racconto che riguarda da vicino anche il mondo dell'informazione per due motivi: il primo riguarda il come la stampa italiana ha trattato l'argomento, sposando quasi in maggioranza la tesi della caduta accidentale dell'I-Snap, l'aereo della Snam su cui volava Mattei.
Colpa delle cattive condizioni meteorologiche.
Il pilota soffriva di problemi personali, era stanco.
Non ci sono testimoni che confermino la tesi dell'esplosione in volo, dunque ..

Il secondo motivo riguarda la scia di sangue non si è fermata quella sera piovosa dell'ottobre 1962, con le morti di Enrico Mattei, del pilota Irnerio Bertuzzi e del giornalista William McHale.
Altre morti sono seguite, persone che in vario modo erano state coinvolte nelle inchieste (della magistratura e giornalistiche): il procuratore Scaglione, il generale Dalla chiesa e il colonnello dei carabinieri Russo. Il capo della Mobile di Palermo Boris Giuliano. E il giornalista dell'Ora di Palermo Mauro De mauro. Scomparso anche lui, una calda sera di settembre del 1970.
De Mauro stava lavorando, per conto del regista Rosi, per raccogliere tutte le informazioni su quell'ultimo viaggio di Mattei in Sicilia: le persone che aveva visto, quelle con cui aveva parlato. E forse si era imbattuto in qualcosa di importante.

Perché un altro libro su Mattei? Cos'altro dobbiamo aspettarci dopo un'inchiesta della magistratura di Palermo, un'inchiesta archiviata a Pavia nel 1963, l'inchiesta ministeriale del generale Savi voluta dall'allora ministro della difesa Andreotti?
Tutti hanno detto che è stata una disgrazia.

In questo libro mette una volta per tutte in chiaro alcuni aspetti del "mistero d'Italia" (che Fanfani aveva definito il primo atto di terrorismo in Italia, parlando esplicitamente di abbattimento).
Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei più di venti anni fa è stato il primo gesto terroristico nel nostro paese, il primo atto della piaga che ci perseguita.”Amintore Fanfani, politico Dc e più volte presidente del Consiglio, 1995.

“Il caso Mattei” è scritto a quattro mani, dal procuratore della Repubblica di Pavia che ha seguito l'ultimo filone dell'inchiesta, Vincenzo Calia, e dalla giornalista Sabrina Pisu che, in questi anni, ha seguito da vicino il caso e si divide in due parti: nella prima il procuratore racconta diversi aspetti della sua inchiesta sull'abbattimento, nata dalle rivelazioni di un pentito di mafia nel 1995 e conclusasi con la richiesta di archiviazione del 2005.
Nella seconda parte, la giornalista si sofferma sul ruolo particolare che ha avuto la stampa in questo pezzo della nostra storia: burattini e burattinai, giornalisti a libro paga e giornalisti usati come pedine in un gioco di potere (politico ed economico) che si muoveva su piano più alti e che ha usato la stampa come arma di pressione e ricatti.

Prima parte: l'inchiesta di Pavia.

L'inchiesta del procuratore Calia mette dei punti fermi su un mistero che, terminata la lettura del libro, scoprirete essere meno oscuro: non è stato un incidente a far cadere l'aereo quella sera del 27 ottobre 1962, ma un vero e proprio atto di sabotaggio. A bordo dell'aereo c'è stata un piccola esplosione che ha reso ingovernabile l'aereo, caduto in virata: la carica era probabilmente collegata al meccanismo di apertura delle ruote per l'atterraggio.
La bomba è stata piazzata sotto la cloche mentre l'aereo era custodito negli hangar dell'aeroporto di Fontanarossa a Catania, la notte prima: chi ha congegnato l'attentato aveva intenzione di farlo passare per un incidente, altrimenti avrebbe scelto una strada diversa per far esplodere l'aereo, caduto a terra sostanzialmente integro.
Lo stato italiano e con questo intendo la commissione ministeriale lo sapeva già dal 1962: lo sapeva dall'esito della perizia dell'ORM di Novara (Officina riparazioni motori dell’aeronautica ) sui resti dei reattori dell’aereo: “Manomissione dell’altimetro” o “bomba a bordo” le due ipotesi, tenute nascoste ai magistrati allora come anche a Calia.
Che ha dovuto compiere altre analisi, sui pochi resti rimasti dell'aereo, su oggetti personali di Mattei e su schegge estratte dai corpi riesumati.
L'esito degli accertamenti eseguiti dal dottor Donato Firrao (che aveva già lavorato sulla tragedia di Ustica e l'abbattimento del DC-9) hanno evidenziato sui vari reperti la “presenza di modificazioni” riconducibili a “una sollecitazione termica e meccanica di notevole intensità ma di breve durata, caratteristica dei fenomeni esplosivi”. In pratica, la certezza di un’esplosione a bordo.

I dati della perizia del 1962, nascosti per anni e scoperti per caso oggi, sono il primo dei depistaggi dell'inchiesta.
Il secondo riguarda la testimonianza dell'agricoltore Mario Ronchi che, la mattina successiva alla tragedia parta di esplosione in cielo e di una scia di “stelle cadenti” che dall'alto cadevano verso terra.
Parole registrate da due giornalisti del Corriere (e riportate da altri quotidiani) e anche dal servizio della Rai: peccato che poi il teste Ronchi abbia ritrattato tutto. Quella sera era in casa anzi no, era proprio fuori.
E il sonoro della registrazione è andato perso.
Come spesso succede nei “misteri d'Italia”, che diventano dei puzzle a cui una mano misteriosa ha nascosto dei pezzi.
In pochi giornalisti si sono chiesti il perché della ritrattazione della testimonianza (e della sparizione del sonoro): forse perché la tesi che doveva passare verso l'opinione pubblica era quella dell'incidente.
La pioggia, la scarsa visibilità, i pochi testimoni.
Non è vero: c'era un debole temporale ma la visibilità era normale. E ci sono anche testimoni, come la signora Maroni, che non sono mai stati ascoltati dai magistrati.
Mentre alcune prove venivano nascoste, attorno all'aereo c'era un brulicare di persone, tutte interessate a cercare qualcosa, forse la borsa di Mattei: Calia, raccogliendo le testimonianze del maresciallo dei carabinieri presente a Bascapè, racconta di uomini dei servizi, di persone dell'Eni, di agenti in borghese.

Testimoni non ascoltati, testimoni che ritrattano (e che poi vengono stipendiati dall'Eni vita natural durante), prove di una esplosione a bordo. Prove di una esplosione avvenuta in cielo e non nell'impatto col terreno: i i resti umani trattenuti dai rami, sparpagliati in un raggio molto ampio, i motori che erano entrambi funzionanti, i serbatoi che non si sono incendiati...
Tutto questo dice una cosa sola: depistaggio. Se c'è stato depistaggio significa che c'era una verità da nascondere così terribile da richiedere l'intervento delle alte cariche dello Stato.
Non possiamo pensare che a nascondere perizie, ad uniformare le versioni per la Stampa, sia stata tutta farina dei magistrati, dei carabinieri o del Sifar (che all'epoca era guidato dal generale Allavena, il cui nome figurerà nelle liste della Loggia P2).
Il delitto Mattei è maturato nelle alte sfere dello Stato: nessuna pista internazionale regge alla prova dei fatti, dalle “sette sorelle” all'OAS.
Se dobbiamo cercare dei colpevoli, questi vanno ricercati nelle correnti della Dc, nello scontro tra la DC e il partito socialista per la spartizione delle poltrone nelle aziende di Stato come l'Eni, che aveva un ruolo importante nella politica estera dell'Italia.
Cosa che dava fastidio agli apparati dello Stato più esposti nella lotta internazionale contro il comunismo, i quali vedevano in Mattei – nella sua straordinaria capacità di manovrare il parlamento e i partiti (“li uso come i taxi” raccontava) e di condizionare la politica estera – un nemico da abbattere. Come il suo aereo.

Seguiamo le piste dell'inchiesta del procuratore Calia: una pista che mette assieme l'incidente di Bascapè e quello dove trovò la morte il motorista Marino Loretti. Accusato di aver lasciato il cacciavite nel reattore di uno dei due Morane Saulnier di Mattei, fu poi allontanato dall'Eni.
Forse un incidente voluto apposta per allontanarlo dal presidente dell'Eni, di cui godeva enorme fiducia, in un momento delicato in cui riceveva forti minacce.
Ipotesi che trova conferma andando ad analizzare l'incidente in aereo (un altro) in cui trovò la morte: ufficialmente la commissione d'inchiesta aveva stabilito l'assenza di carburante, come causa.
Ricostruzione smentita dai documenti e dalle testimonianze raccolte: nel serbatoio qualcuno aveva versato parecchi litri d'acqua, fatto poi taciuto dalla commissione.
Strane coincidenze: aveva appena scritto ad Italo Mattei una lettera in cui accusava i veri attentatori di averlo messo in mezzo per allontanarlo dal fratello...

Dal delitto Mattei al rapimento del giornalista Mauro De Mauro, sparito in una calda notte di settembre a Palermo. Sparito e mai ritrovato, come anche parte dei suoi appunti raccolti, proprio sugli ultimi giorni di Mattei in Sicilia.
Era il lavoro commissionato dal regista Rosi, che aveva letto il libro "L'assassinio di Enrico Mattei" dei giornalisti Bellini e Previdi, che parlava esplicitamente di attentato, quando ormai (siamo nel 1970) si era consolidata la strada dell'incidente.
La pista seguita dal cronista dell'Ora partiva dalle ultime ore di Mattei, toccava personaggi come Graziano Verzotto, senatore DC e dirigente dell'ente minerario siciliano e personaggi ancora più inquietanti e potenti come Vito Guarrasi.
Graziano Verzotto amico e testimone di nozze di mafiosi come Di Cristina (di cui è stato testimone di nozze) e Bontade.
Guarrasi, mister X, così veniva definito nelle carte dell'inchiesta della procura di Palermo che indagava sulla scomparsa del giornalista: testimone degli accordi tra italiani e americani prima dello sbarco in Sicilia, presente in diversi consigli di amministrazione importanti ..
Cosa aveva trovato di così importante, De Mauro, per giustificarne il rapimento e la morte?
Per mesi, sembrava che la procura stesse per spiccare dei mandati di cattura che avrebbero toccato personalità importanti della regione.
Quando poi, tutto finì in silenzio.
Boris Giuliano manifestò il suo stupore per il fatto che io non ero a conoscenza della circostanza che a Villa Boscogrande, un night club in località Cardillo, vi era stata una riunione alla quale avevano partecipato i vertici dei servizi segreti e i responsabili della polizia giudiziaria palermitana. In tale riunione fu impartito l'ordine di «annacquare le indagini» [..] Giuliano mi precisò anche che era presente il direttore dei servizi segreti, facendomene il nome: oggi non sono più certo se si trattasse di Miceli o Santovito. Si trattava comunque di colui che in quel momento era al vertice dei servizi segreti”Ugo Saito, sostituto procuratore, parlando delle indagini sulla scomparsa di De Mauro.

Chi tocca Mattei muore.
Come De Mauro, come il procuratore Scaglione, ucciso prima di poter deporre in aula nella causa per diffamazione intentata da Guarrasi nei confronti di diversi giornalisti.
De Mauro probabilmente era finito in mezzo ad una guerra più grande di lui, senza rendersi conto: siamo nei primi anni '70, con la guerra tra DC e PSI per l'occupazione delle poltrone per le aziende pubbliche.
Potere politico e potere finanziario.
Saito, il procuratore incaricato delle indagini, chiamato a deporre da Calia, oltre a raccontare dell'annacquamento, spiega che la sua indagine portava molto in alto, dalla mafia palermitana a personaggi come il presidente del Senato Amintore Fanfani (in lotta per la presidenza della Repubblica) e il presidente Eni Eugenio Cefis:
Ho anche memoria del fatto che dagli atti potevano emergere ipotesi di responsabilità a carico di alcuni personaggi di rilevo della vita italiana. Fanfani, Cefis…”.

Anche la figlia di De Mauro, Junia, nel suo diario personale riporta questi nomi, circa le responsabilità della morte di Mattei.
Come scrisse Leonardo Sciascia, forse aveva detto la cosa giusta alla persona sbagliata o forse la cosa sbagliata alla persona giusta.

Il grande elemosiniere, Eugenio Cefis.
Di Cefis esistono poche foto: lui stesso non amava finire sui giornali né essere fotografato.
Braccio destro di Mattei, anche lui ex partigiano bianco, era stato allontanato dall'Eni a gennaio 1962, per divergenze con Mattei o, più probabilmente, perché quest'ultimo aveva scoperto di affari poco puliti di sue aziende e del suo doppio gioco con gli americani.
Uomo dei segreti (e con forti conoscenze nei servizi), delle operazioni “riservate” dell'Eni che in Sicilia si appoggiava all'avvocato Guarrasi; una persona che aveva in pugno giornali e uomini politici, capace di maneggiare grandi somme di denaro e anche informazioni riservate da usare per fini personali.
Cefis ha speso molto denaro in favore del teste oculare Mario Ronchi: gli ha comprato mezzi agricoli, gli ha rifatto la strada e gli versava un certo quantitativo di denaro mensilmente.”Angelo Mattei, 1995.

Documento preso dal sito it.businessinsider.com

In un appunto del Sismi del 1983, ritrovato da Calia, c'è scritto
"La Loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis che l’ha gestita fino a quando è rimasto presidente della Montedison.”

In “Petrolio”, il libro pubblicato postumo di Pasolini è presente un personaggio che si chiama Carlo Troya e che ricorda da vicino proprio Cefis: in un passaggio Pasolini scrive
«In questo preciso momento storico Troya sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore»”.

Forse anche Pasolini si era avvicinato troppo a queste guerre di potere, tra finanza e Stato: Cefis che coi soldi dell'Eni scala la Montedison e diventa presidente della più importante azienda chimica italiana. Con i soldi della quale poi fa comprare a Rizzoli il Corriere della Sera, quando finì sotto l'ombra inquietante della Loggia P2.
«la sostituzione di Troya al presidente dell'Eni e quindi .. l'assassinio di quest'ultimo».

Nell'autunno del 1962, scrive l'autore, Enrico Mattei era al centro di «un intricato gioco di ombre, una complessa partita a scacchi avente come posta in palio la sovranità energetica italiana». Si è detto che la sua morte era necessaria: la sua personalità rappresentava, infatti, «una grande anomalia nella vita politica ed economica del nostro paese, del quale seppe sempre rappresentare con coraggio e spregiudicatezza gli interessi economici». Tale autonomia andava eliminata.
(citazioni prese dal libro di Marco Solia, Mattei obiettivo Egitto).

Potere (economico e politico), ricatti, nuovi assetti istituzionali, segreti.
Le guerre tra correnti politiche (quella di Fanfani e quella di Moro) e gruppi di potere e, in sottofondo, la stampa che in questa storia ha avuto un ruolo poco edificante.
La giornalista Sabrina Pisu, nella copertina della seconda parte del libro, scrive:
Sul cadavere di Enrico Mattei si è giocata una lotta di potere, politico-economico, che ha visto la stampa come un fedele alleato nel depistaggio e sabotaggio della verità.”

Qui si racconta di come, ancora oggi giornali come il Corriere parlino di misterioso incidente e non di attentato.
Del ruolo svolto da giornalisti come Montanelli, “un giornalista di arcani istinti che riuscì a rendere credibile la favola di essere uno che la cantava ai potenti di cui era al servizio”, disse Corrado Stajano.
Del ruolo della stampa in generale e perfino del regista Rosi, che pure avrebbe subito pressioni sulla sceneggiatura del suo film su Mattei, su pressioni dell'Eni

Ho fatto molti film sulla mafia e sulla camorra ma non ho mai ricevuto minacce. Per Mattei ho avuto minacce, le ho avute. Non mi chiedere nomi, come e quando, però le ho avute. Sono state [minacce] esplicite, esplicite, molto esplicite.”
Francesco Rosi, intervista Rai, 1998.

Pressioni e minacce che sono arrivate anche ai familiari dell'ex presidente dell'Eni.
Il cui attentato ha aperto un periodo nero nella storia del nostro paese: dopo sono venute Piazza Fontana e le altre stragi senza colpevoli (per la magistratura) degli anni settanta.
Un buco nero, per l'assenza di giustizia e verità che dobbiamo colmare – sono le parole della giornalista e coautrice Sabrina Pisu durante la presentazione – per un dovere morale nei confronti delle persone morte.
Una verità che oggi è solo parziale, sappiamo che è stato un omicidio, abbiamo un quadro chiaro del contesto politico e storico, ma non abbiamo né possiamo fare, i nomi dei responsabili.
Ma non dobbiamo per questo fermarci: dobbiamo aggrapparci alle schegge della memoria, per costruire un quadro della verità che, seppur incompleto, è sicuramente più vero della verità di comodo dell'incidente.


La scheda del libro sul sito di Chiarelettere e una bella recensione sul sito Businessinsider.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

28 aprile 2017

Quelli che amano la stampa

Un po' di ripasso di storia.
“L’uso che Biagi, come si chiama quell’altro?… Santoro. E l’altro?… Luttazzi… hanno fatto della televisione pubblica pagata coi soldi di tutti io credo sia un uso criminoso e credo sia un preciso dovere della nuova dirigenza di non permettere più che questo accada”.
Berlusconi il 18 aprile 2002 da Sofia
Il Cavaliere insiste: "Sbagliato dargli pubblicità". Bisogna rilanciare l'immagine dell'Italia anche per "rimediare" ad una "campagna, alimentata dall'odio e dall'invidia personale, che certamente non fa bene al paese". Così oggi Berlusconi è tornato sulla vicenda presentando a Palazzo Chigi il logo Magic Italy. Per poi, commentando direttamente la notizia della querela, rilanciare: "Non tengono vergogna...".
Silvio Berlusconi 1 luglio 2009
Fuori dall’ex stazione Leopolda di Firenze, dove è in corso la kermesse dei renziani, volontari distribuiscono gratuitamente copie dell’ Unità e del Foglio. Ma dentro, ad andare in scena è un sondaggio su altri quotidiani, lanciato dallo stesso premier Matteo Renzi venerdì, all’apertura dei lavori, e rilanciato dal sito della Leopolda: «Scegli il peggior titolo di giornale».
Alla Leopolda, 12 dicembre 2015
Il problema a questo punto non è più la trasmissione sui presunti «inciuci» dell’Unità ma l’ultima che affrontava lo spinoso tema dei vaccini, accusata di creare allarmismo per l’ampio spazio dato a tesi anti scientifiche. Una raffica di accuse fino a spingere il consigliere Arturo Diaconale (che per inciso, con Giancarlo Mazzuca e i Pd Guelfo Guelfi e Franco Siddi, l’alfaniano Paolo Messa, non lesinano accuse a Campo Dall’Orto) ha lanciato l’idea di togliere la manleva ai giornalisti Rai, «perché ognuno abbia il proprio livello di responsabilità», punto focale per i programmi d’inchiesta. 
La Stampa racconta della riunione del CDA Rai dove si è discusso della trasmissione Report e del suo servizio su l'Unità.

E ora i difensori della libera stampa di oggi, dopo il rapporto di RSF: Sebastiano Messina su Repubblica
Si capisce che a Grillo questa verità risulti insopportabile, perché lo fa passare direttamente dal banco della pubblica accusa a quello degli imputati. Ma non si può sputare ogni giorno veleno sulla libera stampa - che nelle vere democrazie è sempre stata un contropotere esercitato in nome dei cittadini-lettori - e nello stesso momento gridare che i giornalisti sono condizionati dai politici.Naturalmente il rapporto di Rsf sparirà dai suoi comizi, da ora in poi. Ma adesso gli italiani sanno che l'uomo che metteva alla berlina "il giornalista del giorno", facendone il bersaglio degli insulti dei suoi seguaci, non può dare a nessuno lezioni di libertà. 
E anche Rondolino, il giornalista che aveva dato del "mafiosetto" a Saviano (quando da giornalista si era permesso di fare luce sul caso Guidi, alla luce di quanto emergeva dalle intercettazioni dell'inchiesta Tempa rossa):
Perbacco. Fino a ieri le classifiche di Reporter senza frontiere venivano quotidianamente sbandierate dai solerti segugi del Falso quotidiano e dai mazzieri del Sacro Blog per dimostrare che in Italia di libertà ce n’è poca perché il noto complotto demoplutogiudaico ordito da Renzusconi ha trasformato il paese in una specie di Corea del Nord.Ma se Rsf osa dire e scrivere nero su bianco ciò che tutti sanno – e cioè che i mazzieri grillini costituiscono una serio pericolo per la libertà di stampa perché sistematicamente insultano e minacciano i (pochi) giornalisti non allineati con la Casaleggio Associati srl – il Direttore di Bronzo è più veloce della luce nel capovolgere il giudizio, e Reporter senza frontiere diventa a sua volta uno strumento dell’infame regime dittatoriale che manda ogni sera Travaglio in tv, offre a Bianca Berlinguer una rubrica quotidiana monografica contro Renzi, e consente a Repubblica e Corriere di parteggiare apertamente per chiunque contrasti la politica del Pd.Il bello è che l’Italia, quest’anno, ha migliorato e di molto la propria condizione, balzando dal 77° al 52° posto nella classifica mondiale della libertà di informazione: è ancora troppo poco, d’accordo, ma si tratta comunque di una buona notizia.E se Grillo non minacciasse sistematicamente i giornalisti indipendenti, l’Italia guadagnerebbe qualche altra posizione e la notizia sarebbe ancora più bella.
Questi gli amanti della stampa libera. Libera di osannare il capo.

27 aprile 2017

Una volta si chiamavano balle

Modernità non è cambiare nome alle cose per cammuffare le cose che non piacciono.
Per esempio, sento ripetere continuamente l'espressione fake news collegata al web: peccato che una volta erano chiamate balle e le rifilavano i giornali, i politici in campagna elettorale (cioè sempre in Italia) o i manager che promettono successo, occupazione, bilanci in ordine ....

Per esempio: prendiamo la polemica dopo il no al referendum dei dipendenti Alitalia sull'accordo (su carta e preventivo) per il salvataggio dell'azienda.
Per chi ne avesse voglia, ci sono le puntate di Report in cui la giornalista Boursier chiedeva conto all'amministratore di turno (ne hanno cambiati tanti come nemmeno gli allenatori dell'Inter) sul pareggio di bilancio.
Tutto a posto, mi stia tranquilla.
E invece .. due salvataggi, il primo dei patrioti, il secondo degli arabi.
I primi, i capitani coraggiosi hanno ottenuto qualche favore dal governo Berlusconi e poi hanno lasciato l'incombenza dei conti dell'Alitalia ad Etihad. 
Gli arabi, guidati dal prode Montezemolo, dovevano far tornare a volare Alitalia, hanno speso qualcosa come 50 ml per le nuove divise, ma siamo punto e a capo.
E il problema sarebbero i dipendenti?

I professori Giavazzi e Alesina se la sono presa con lo strumento del referendum: in pochi hanno deciso per tutti (e ora paga pantalone, il sottotitolo).
Giusto: facciamo un bel referendum nazionale su TAV, TAP, F35 e altre inutili spese e poi vediamo.
E già che ci siamo voglio decidere anche sullo stipendio del presidente Montezemolo.

Altro esempio: la libertà di stampa.
Grillo è solamente un leader politico che, come tanti, ha una certa allergia alle critiche e alle domande scomode.
Come prima Berlusconi e come ora Renzi.
RSF però dà la colpa a politici come Grillo.
La libertà di stampa in Italia è minacciata dalle mafie, dal precariato e dal ricatto degli editori, dalle intromissioni della politica.
Vi ricordate ancora l'editto bulgaro contro Luttazzi, Biangi e Santoro?
Oppure, per rimanere nei tempi moderni, le querele anticipate contro Report (cui la politica sogna di togliere la tutela giuridica) da parte di Renzi e di Benigni?
Leggetevi il post di Gilioli, pungente come al solito.

Le ONG che salvano i migranti in combutta con gli scafisti e i trafficanti di esseri umani.
O si portano i dati e li si mettono sul tavolo, oppure meglio star zitti.
Perché queste ONG sono le uniche che si occupano di salvare vite umane, le persone che, dopo aver fatto migliaia di km attraverso deserti e paesi poco "ospitali", prendono il mare per cercare qui da noi quella vita migliore che nei loro paesi è negata.

A proposito del cambiar nome e del cambiar faccia alle cose.
Il 25 aprile si festeggia la liberazione del paese dalla dittatura.
Non si festeggia altro: scendere in piazza con gli striscioni pro Europa, con cartelli fuori luogo, è semplicemente fuori luogo.
Se non vi piace la festa delle liberazione, come ai nostalgici del campo 10 del cimitero milanese, usate un altro giorno per festeggiare.

A proposito di fake news: Di Maio si è fatto una foto a Mondragone assieme ad alcune persone tra cui il nipote incensurato di un boss di Camorra (che immagino non conoscesse).
Su Facebook, il figlio del boss La Torre commenta entusiasta sul vicepresidente della Camera e sul vento nuovo del M5S.
Monta la polemica: su l'Unità si parla già di simpatie camorriste..

25 aprile 2017

Il leader del (non) partito

Quello di Macron potrebbe sembrare un mezzo miracolo.
Il giovane ministro dell'Economia di un governo in perdita di consenso e legato ad un partito in perdita di voti, è riuscito in pochi mesi a crearsi un movimento, a staccarsi dall'ombra di Hollande (di cui era consigliere) e del PS francese e a presentarsi agli elettori come il volto nuovo della politica.
Macron il rottamatore francese, quello che in Italia tutti guardano con interesse in Italia, con la solita domanda stupida, chi è il Macron italiano (ovvero il vincente) italiano?

Bene: Macron ha creato un movimento (EnMarche) raccogliendo finanziamenti privati (di cui non ha comunicato la lista, ponendo così un problema di potenziale conflitto di interesse) senza chiedere al momento finanziamenti pubblici (forse lo farà alle amministrative di giugno).
Con questo movimento si è presentato alle elezioni prendendo i voti anche dal suo partito socialista, che è finito al 6%.
Rottamatore (almeno dei partiti tradizionali) e anche Europeista convinto, Macron nelle sue interviste ha sempre avuto alle spalle la bandiera dell'Europa, non come quelli che se la mettono o tolgono per fare un capriccio con la matrigna UE (tipo minacciare di porre il veto all'Eurobilancio già approvato fino al 2021).
Europeista che intende rafforzare l'asse con la Germania (alla faccia dei Macron all'italiana) ed è pure favorevole ad una Europa a due velocità.
Macron, come Grillo e come altri nazionalisti, si dice né di destra né di sinistra: cosa voglia dire non l'ho ancora capito. Forse destra e sinistra sono posizioni vecchie, superate, ma ricchi e poveri sono categorie reali. Come anche sfruttati e sfruttatori.
Persone che hanno mille possibilità (di reddito, di non pagare tasse, di assistenza, di carriera) e persone tagliate fuori.

Il suo programma si chiama “Mon contract avec la nation” che ricorda un po' troppo il contratto con gli italiani: in questo si parla di accoglienza, di inventare nuove protezioni nel mondo del lavoro ma anche di tagli nella macchina dello Stato.
Macron parla di riformare l'Europa, cosa a mio avviso impossibile finché ci sarà il dualismo Commissione e Parlamento. Finché ci saranno persone come Juncker, il politico del Luxgate.
Nella sua visione, ci deve essere un bilancio comune per la difesa e una vera condivisione dei valori fondamentali sull'immigrazione.

Siamo tutti contenti (a sinistra) che ha vinto Macron e non Le Pen, Hamon o Melenchon?
Mah.
Sono spariti i partiti tradizionali, con le loro strutture, con la loro presenza sul territorio e sono stati sostituiti da altro.
Quanto questo altro sia capace di raccogliere le istanze del territorio, delle persone (quelle tagliate fuori, senza opportunità, con meno tutele) è tutto da vedere.
Non vorrei che, di fronte ad una crisi della sinistra e in generale del sistema dei partiti, ci trovassimo di fronte all'ennesimo Gattopardo, ad un cambio di verso che ha solo portato all'indietro nel tempo le lancette del paese.

Come tutta da capire la futura (eventuale) maggioranza parlamentare a cui dovrebbe appoggiarsi.


PS: della sua vita privata, della moglie, chiaramente tutto questo non ha alcuna importanza per un giudizio sulla sua politica.  

Pillole di memoria: storie di Resistenza e di eroi in Brianza

L'assessora Trevisani, l'avvocato Filippo Meda e il professor Corbetta


Ad Inverigo l'amministrazione comunale non si è dimenticata di ricordare anche quest'anno il 25 aprile, con una serie di iniziative sul territorio col compito di ricordare da dove arriva la nostra democrazia, la nostra Repubblica, da dove arriva la nostra libertà.

Un breve ripasso storico.
25 aprile 1945: il CLN dichiara l'insurrezione, a Milano parte lo sciopero generale, coi tedeschi e i fascisti ancora in città, armati e (in parte) incattiviti.
Mussolini, tradendo la parola data all'arcivescovo Schuster, scappa da Milano per andare a Como nell'ultimo disperato tentativo di una ridotta in Valtellina, con gli ultimi irriducibili.
In verità è solo una fuga per scappare dai partigiani, dalla morsa delle SS (che lo scortavano su ordine di Hitler) per consegnarsi agli americani.
Assieme ai gerarchi, alle sue carte e all'oro della patria che i ras del fascismo si erano tenuti..

La cattura di Mussolini, su un camion tedesco della colonna Fallmeyer, vestito da soldato tedesco, ultima vergogna del duce che aveva fatto sprofondare il paese nella vergogna (per il regime, per le leggi razziali) e nel disastro (la guerra, i dispersi, i morti..).
L'ultima raffica davanti il cancello di Giulino di Mezzegra, i cadaveri esposti a testa in giù, appesi ai tubi della pompa di benzina, un oltraggio ai morti dovuto anche all'eccezionalità del momento, per la folla che si era radunata in piazzale Loreto, per vedere il dittatore morte.

Dei venti anni di dittatura, di privazione delle libertà, di violenze, delle leggi razziali e delle morti ci si ricorda solo di quegli ultimi momenti, dei cadaveri di Mussolini e della Petacci sfigurati, violati.
E soprattutto ci si è completamente dimenticati dei lunghi mesi in cui in Italia si è combattuto per la liberazione del paese dalla dittatura, per scacciare l'invasore tedesco e per sconfiggere il governo fantoccio di Salò. Una guerra combattuta dagli eserciti, le truppe alleate che risalivano l'Italia e quelle tedesche verso il nord.
Ma c'è anche stata una guerra che ha messo uno di fronte all'altro italiani contro italiani e tedeschi: la guerra (di logoramento, di contrasto) condotta dalle formazioni partigiane formatesi a partire dal crollo del regime fascista. Due date importanti: il 25 luglio 1943, quando Il Gran Consiglio del Fascismo aveva di fatto sfiduciato Mussolini, poi arrestato dal Re che aveva dato a Badoglio la guida del governo.
La guerra continuava, diceva Badoglio, mentre si trattava la resa con gli alleati.
E poi la resa comunicata via radio agli italiani l'8 settembre: senza ordini ai soldati, senza ordini ai carabinieri, alla polizia, col re scappato a Pescara, si sfaldarono esercito, stati maggiori, coi soldati in fuga dalle caserme al grido di “tutti a casa” cercando di sfuggire alla cattura dei tedeschi.

Da qui partì la guerra di liberazione.
Da episodi singoli come la battaglia dei soldati italiani a Cefalonia.
Dalla scelta di parte di questi soldati di non consegnare le armi ai tedeschi ma di combatterli.
Dalla scelta di quella parte degli italiani che, in quell'8 settembre seppero prendere la scelta giusta.

A contribuire alla guerra partigiana furono studenti, operai, gente comune e futuri deputati, ex militari e perfino preti. Persone cresciute nell'Italia fascista che li aveva cresciuti nel conformismo e all'obbedienza del più forte, che finalmente poteva sperimentare l'ebbrezza di essere padrone del proprio destino, che poteva assumersi quelle responsabilità, diventare partecipe di un processo che avrebbe dovuto costruire un'Italia diversa, più libera, migliore.
Non siamo stati capaci di coltivare il ricordo delle loro gesta, di perpetuare fino in fondo la loro memoria se ancora oggi ci sono ragazzi che la guerra e il fascismo non l'hanno conosciuto e che alzano in braccio per il saluto romano.
Se ancora oggi sul fascismo girano delle verità edulcorate, dei finti sentimentalismi su un regime che seppe solo sopprimere le libertà, che defraudò le casse dello stato, che seppe solo occupare tutti posti dello stato (come avvenne più tardi nella repubblica della partitocrazia), che cinicamente portò l'Italia in guerra, speculando sui soldati morti per avere poi un posto al sole.

Fatta questa premessa, assumono un ruolo importante le iniziative come quelle portate avanti dalle del comune di Inverigo, per rinsaldare il ricordo di quei mesi di guerra, per tenere viva la fiamma, la passione, la voglia di libertà che infiammò tante persone in quegli anni difficili.
Per ricordare a tutti che la grande storia e i grandi personaggi si mescolano a storie meno note di persone sconosciute o persone comuni, che nel momento del bisogno non hanno rinunciato ad alzare la testa, come quel Fumagalli che si oppose all’arresto e successiva deportazione degli anziani nonni di Liliana Segre, avvenuto a Bigoncio.

A tu per tu con l’avvocato Filippo Meda” è stato il titolo della serata, introdotta dall'assessora Alessandra Trevisani, in cui il professor Daniele Corbetta, grazie alla viva memoria dell'avvocato Filippo Meda, figlio di Luigi Meda, ha raccontato ai presenti alcuni episodi significativi della nostra guerra di Liberazione.
E alcuni dei personaggi di questa storia, che hanno vissuto sul nostro territorio.

Il padre di Filippo, Luigi Meda, a sua volta figlio del ministro Filippo Meda, che non è stato un antifascista dell'ultima ora. Lo scultore Angelo Casati.
Il partigiano Bruno, ovvero Bruno Ballabio, morto durante la battaglia in difesa della repubblica di Val d'Ossola.
Giancarlo Puecher, fucilato dai repubblichini per rappresaglia della morte dei fascisti Pontiggia e Pozzoli.

Luigi Meda, era il padre dell'avvocato Filippo (e nipote del ministro Filippo Meda); i mesi della guerra di liberazione li ha vissuti in pieno: volontario della prima guerra mondiale, si era poi battuto per i diritti dei contadini di Cremnago, quando il conte Perego intendeva vendere i suoi terreni all'istituto San Paolo.
Luigi si mobilitò per dare loro il diritto alla prelazione e mantenere terreni e lavoro: una battaglia che divenne poi la sua tesi di laurea.
Faceva parte di una cellula antifascista che si ritrovava a Milano nella casa della cultura, ben prima dell'8 settembre, assieme a Puecher, Casati e anche don Gnocchi.
Dopo l'8 settembre, Inverigo era un porto di mare, qui arrivavano quando intendevano scappare in Svizzera, come Edgardo Sogno.
Luigi Meda fu arrestato dai tedeschi il 26 novembre: i tedeschi avevano già cercato di arrestarlo prima, poiché pensavano fosse a conoscenza delle armi lasciate da una compagnia di Alpini che proprio ad Inverigo si era dissolta.
Le armi di questi alpini costituirono il primo nucleo di armamento delle formazioni partigiane locali: tra questi, il capitano Benis, che era ospite (nascosto), nella casa delle signore Rossi, mentre il resto dei soldati si trovava nel granaio di Villa Crivelli.

Nell'aprile del 44, a San Vittore Luigi Meda incontra in cella un giovanissimo Mike Bongiorno, arrestato in quanto staffetta partigiana: il nipote, il giornalista Luigi Meda ha ricordato questo incontro in un bel racconto, il giovanissimo italo americano a cui il maturo avvocato aveva cercato di dare conforto.
Fu successivamente scarcerato in scambio di un colonnello tedesco, preso dai partigiani: una volta liberato torna al suo paese, anche se poteva scappare in Svizzera.
Andava avanti indietro da Milano, come avanti e indietro da Macherio troviamo un altro di questi personaggi: il prete dei mutilatini, don Gnocchi, che curava il centro invalidi ad Arosio.

La sera del 24 aprile, prima dell'insurrezione, avvisò la moglie che non sarebbe tornato a casa per diverse sere: trattò una prima volta la resa col capitano Lutze, assieme al colonnello Donà, inutilmente.
Il giorno 25 ci fu una prima scaramuccia: furono sparati dei colpi di fuoco contro i tedeschi la cui sede era presso l'asilo, dietro la chiesa di Inverigo.
A sparare furono probabilmente membri della brigata Puecher di Lambrugo: i tedeschi, successivamente, si arresero e abbandonarono il paese.
L'avvocato Filippo Meda, che all'epoca aveva 16 anni, ricorda ancora che se ne andarono via cantando e inquadrati.
Furono poi catturati, nella strada verso Lurago: alla fine in prigione finì il capitano tedesco Lutze, la sua amante al seguito e pure il suo cane, un setter di nome Norman.

Meda ha citato un altro episodio di quelle settimane: lo scontro con una colonna fascista, lungo la strada per Lurago, che costò la vita a 37 partigiani e ad un contadino: sugli automezzi della colonna furono recuperati fogli interi di banconote, non tagliati, che furono raccolti e portati alla Cariplo di Como e regolarmente registrati.
Ci sono stati casi di beni o soldi requisiti finiti nelle tasche dei singoli?
Sono cose che possono succedere, ha ammesso l'avvocato, eravamo in guerra e molti avranno pensato a prenderseli, come preda bellica.

Immagine presa da Wikipedia 
Giancarlo Puecher era un sottotenente dell'aeronautica, figlio di un notaio milanese venuto qui in Brianza come sfollato: era una di quelle persone che avevano molto ascendente sugli altri, proveniva da una buona famiglia, era in contatto con Luigi Meda, di cui frequentava la casa, con Leopoldo Gasparotto (poi ucciso a Fossoli) del Partito d'Azione e col comunista Carlo Perasso.
Fu catturato per rappresaglia dopo l'attentato a due fascisti, il centurione della milizia Ugo Pontiggia e l'amico Angelo Pozzoli.
Il federale di Como Scassellati compilò la lista dei fucilandi, che sarebbe stata assai lunga se i carabinieri del luogo non l'avessero minacciato, facendo presente che se si fossero uccise tutte quelle persone sarebbe partita l'insurrezione ad Erba.
Persona intelligente e lucida fino alla fine: nella sua ultima lettera alla famiglia, il 21 dicembre 1943, elenca tutti gli oggetti e le somme di denaro da lasciare alle persone a lui vicine. Prima di essere fucilato, abbraccia uno ad uno tutti i componenti del plotone, perdonandoli. Un gesto dall'alto valore cristiano:

Muoio per la mia patria. Ho
sempre fatto il mio dovere di
cittadino e di soldato. Spero
che il mio esempio serva ai
miei fratelli e compagni.
Iddio mi ha voluto, accetto
con rassegnazione il suo volere.
Tutti i miei averi vadano ai
miei fratelli e a Elisa Daccò.
Vorrei che sul mio avviso mortuario
figurassero i miei meriti sportivi e
militari.
Non piangetemi, ma ricordatemi a
coloro che mi vollero bene e mi stima-
rono.
Viva l’Italia.

Raggiungo con cristiana rassegnazione la
mia mamma che santamente mi edu-
cò e mi protesse nei vent’anni
della mia vita.
L’amavo troppo la mia patria non
la tradite e voi tutti giovani d’Italia
seguite la mia via e avrete il compenso
della vostra lotta ardua nel ricostruire una
nuova unità nazionale.
Perdono a coloro che mi giustiziano, perché
non sanno quello che fanno e non pensano
che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai
la concordia.
Vorrei lasciare L 5000 alla mia guida
alpina Motele Vidi di Madonna di Campiglio.
L 5000 al mio allenatore di sci Giuseppe
Francopoli di Cortina. L 5000 a Luigi Conti
e L 1000 a Vanna De Gasperi, Berta Dossi, Rosa
Barlassina. Il mio guardaroba ai miei
fratelli e a Pussì Aletti, mio indimenticabile
compagno di studi.

L 1000 alla Chiesa di Lambrugo.
Il mio anello d’oro ricordo della povera mamma
a Papà il braccialetto a Gino e l’orologio
Universal a Gianni. Alla zia Lia Gianelli
una mia spilla d’oro con pietra. Un ricordo
delle mie gioie alle mie cugine e a Elisa.
Stabilite una somma per messe in mio suffragio
e per una definitiva sistemazione pacifica della
patria nostra.
A te papà vada l’imperituro grazie per ciò
che sempre mi permettesti di fare e
mi concedesti.
Elisa si ricordi del bene che le volli e forse
non sufficientemente apprezzò.
Ginio e Gianni sono degni continuatori delle
gesta eroiche della nostra famiglia e non si
sgomentino di fronte alla mia perdita, i martiri
convalidano la fede in una vera idea.
Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la
sua volontà.
Baci a tutti
Giancarlo Puecher Passavalli

Angelo Casati era invece uno scultore, amico dei Meda: di lui, l'avvocato Filippo Meda ha citato due episodi particolari.
Quando attaccarono un deposito militare dei tedeschi in località Fornaci: la sentinella fu disarmata puntandole alla schiena un dito. Col suo fucile furono disarmate le altre .. Come in un film.
Casati fu uno degli esponenti del comitato partigiani a trattare la resa col comandante tedesco, come si è già detto.

L'altro episodio riguarda invece un diverbio col gruppo partigiano di Arosio, quando qui fu fermata una colonna tedesca in fuga da Monza.
Avevano il lasciapassare del CLN per andarsene in Svizzera, con la promessa di non compiere azioni contro la popolazione: Casati faceva parte della delegazione che da Arosio andò a Monza per controllare le carte di questa colonna, per verificarne la veridicità.
Nel mentre, il gruppo arosiano procedeva ad arrestare i tedeschi per portarli in località Bosco Marino, dietro Inverigo, mettendo a rischio la popolazione.
Cosa che fece infuriare il Casati.
Era un antifascista “perché amo la libertà”, così diceva.

Bruno Ballabio è stato un eroe della Val d'Ossola, dove per un breve periodo, cacciati fascisti e tedeschi si sperimentò una forma di repubblica partigiana.
Morì nella battaglia del Premosello, nel giugno 44, colpito da diversi colpi d'arma da fuoco e anche da diverse coltellate. Si vede che il nemico voleva proprio essere certo della sua morte.

Il compagno partigiano Scalabrini ha ricordato quella battaglia, quando tedeschi e repubblichini circondano il paese di Premosello
«quando Bruno si accorge che l'accerchiamento sta per completarsi, si rivolge, sotto l'uragano di fuoco, a me e mi dice: «tengo io, salvati»! Bruno, da solo, con le scarse munizioni, ma con grande coraggio, tiene testa, per quasi mezz'ora, ai tedeschi e ai fascisti. Cessa il fuoco, si sentono ancora per qualche minuto le urla degli assalitori, poi ricade il silenzio nella grande valle. Quando i nazifascisti se ne vanno, la popolazione va alla ricerca di Bruno. Eccolo! Numerose sono le ferite al petto, ma ha pure tre pugnalate nella schiena».

Oggi è sepolto al cimitero di Torino, assieme ad altri eroi di quelle battaglie: i suoi parenti ad Inverigo l'hanno riconosciuto, dopo un servizio giornalistico che parlava del partigiano Bruno, il partigiano ignoto, senza nome.
Era partito da Inverigo proprio l'8 settembre, per andare in montagna a combattere: dopo la sua partenza si erano perse le tracce, fino al 1969, con quell'articolo.
Successivamente i suoi parenti, a Bigoncio, si sono prodigati per dare un cognome e “Bruno il partigiano ignoto”: in futuro il comune di Inverigo dedicherà una via a questo ragazzo, uno dei tanti che seppero fare la scelta giusta, sebbene cresciuti nel fascismo e anche benestanti.
Ma riuscirono a distinguere il bene dal male.
Mutuando le parole di Italo Calvino: il più onesto, il più idealista dei repubblichini si batteva per la causa sbagliata, la dittatura. Il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato si batteva per la causa giusta, la democrazia.

Cos'è il fascismo.
Ho sentito tanta gente urlare là sotto”: questo diceva Angelo Casati quando passava davanti il comune di Inverigo. Nelle sue celle, nello scantinato, la gente veniva torturata.
La cugina del Ballabio, riferiva uno dei parenti che è intervenuto, era costretta a portare da bere ai torturati e anche ai torturatori.
Vedeva gente scendere in quelle stanze e uscirne fuori coi capelli bianchi. Si ricorda delle lunghe tavolate di legno e il muro, particolare scolpito nella memoria, sforacchiato di colpi ad altezza d'uomo o sopra le teste dei carcerati.
Questo era il fascismo degli ultimi mesi: gente che, senza più scrupoli morali e senza freni sfogava la sua violenza contro persone inermi, contro persone accusate di essere contro il fascismo.
Gente come il maresciallo di ps Bruschi di Como, il fucilatore di Giancarlo Puecher: si scoprì poi, a guerra finita, che aveva il vizio di requisire beni per tenerseli.

25 aprile 1945 – 25 aprile 2017: 72 anni dopo, la forza di questi racconti (come la memoria di Filippo Meda) è ancora viva.

E' questo che ancora oggi, da fastidio a quanti ogni anno aprono polemiche strumentali sulla guerra di Liberazione e sul ruolo effettivo dei partigiani: non accettano che in quei mesi si sia creata una coscienza civile in questo paese, si siano messe le basi per una democrazia “diretta”, in cui ciascuno individuo è partecipe, non più suddito o schiavo di un regime che ti dice cosa devi fare.
E' quell'ebrezza di libertà, di sentirsi padroni del proprio destino di cui ha scritto Beppe Fenoglio nel “Partigiano Johnny”, quando decide di farsi partigiano:
Nel momento in cui partì, si sentì investito in nome dell’autentico popolo d’Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante la coscienza dell’uso legittimo che ne avrebbe fatto. Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo, piegava il vento e la terra”.

Buona festa della Liberazione a tutti!