Il Paese ha perso l’orientamento. Nessuno lo rappresenta più davvero. Testarde fazioni politiche contrapposte tengono in ostaggio la politica.
Il ceto degli intellettuali si è dissolto in singoli individui o in piccoli gruppi. Non solo ha perso valore la qualifica di destra o sinistra, non ci sono più conservatori e progressisti, ma si è smarrito il senso di ciò che tiene insieme questo Paese. Nessuno sa più dirne le ragioni, in modo convincente per tutti, pur facendo attenzione alle legittime differenze.
La storia nazionale è impunemente sequestrata da dilettanti e mistificatori. Ormai si può dire tutto su tutto - dall’8 settembre al terrorismo delle Brigate Rosse. Ciò che importa è il rumore mediatico che copre ogni altra voce e può contare sulla spossatezza degli studiosi seri. La serietà è diventata noiosissima in questo Paese: è intollerabile e incompatibile con il talk show permanente.
C’è in giro una pesante aria decisionista. A parole almeno. Comincia dai vertici dei ministri, indaffarati a fare proclami, cui non sappiamo che cosa davvero seguirà. Colpisce l’irresponsabilità e il dilettantismo di ministri che parlano (pensando in realtà soltanto ai media) come se tutto dipendesse dalle loro parole.
Come se la scuola - per fare un esempio - non fosse una grande complessa istituzione tenuta in piedi da migliaia di professionisti che hanno una loro competenza ed esperienza, di cui tener conto. No. Sono trattati come zelanti esecutori di decisioni calate dall’alto.
Ma da dove è spuntata fuori questa classe ministeriale? Da quale cultura? Dalla destra storica liberale? Dal fascismo riciclato democraticamente? No, per carità - si obietta subito -, non incominciamo con le genealogie ideologiche. Ciò che conta è «fare ordine» contro il «disordine della sinistra» - come dice il Cavaliere.
Mettere ordine, ripulire, punire, comandare. Se è il caso, mettere in galera clandestini, teppisti di stadio, prostitute di strada. Come se fossero la stessa cosa.
Naturalmente una società ordinata e sicura è un valore collettivo. E non finiremo mai di rimproverare la sinistra per essersi fatta scippare per malinteso «buonismo» questo valore. Per questo motivo non solo ha perso le ultime elezioni, ma adesso ha perso anche la testa. Infatti non sa più come reagire. A ogni iniziativa «d’ordine» ministeriale o governativa, balbetta e si divide.
Ma quali sono i valori della nuova destra populista che pretende di essere innanzitutto pragmatica, anti-ideologica? A prima vista sono i valori tradizionali di «Dio, patria e famiglia». Naturalmente al posto di Dio oggi si preferisce parlare di «radici cristiane»; l’idea di patria richiede qualche aggiustamento critico; soltanto la famiglia sembra mantenere le vecchie connotazioni. Ma è una pura finzione, se guardiamo ai comportamenti reali e non alle dichiarazioni fatte «per compiacere la Chiesa» (parole di Berlusconi).
In realtà la vera chiave della cultura politica di oggi è nel termine di «populismo» che va inteso non in modo generico, ma appropriato. Il populismo democratico ha quattro ingredienti: un popolo-elettore che tende a esprimersi in uno stile tendenzialmente plebiscitario con un rapporto di finta immediatezza con il leader; la dominanza di una leadership personale, gratificata di qualità «carismatiche»; un sistema partitico semplificato con un ricambio di élite politiche che è di supporto immediato al leader; il ruolo decisivo e insostituibile dei media allineati. Sottoprodotti di questa situazione sono la iperpersonalizzazione della politica e la sua spettacolarizzazione.
Gli elettori scelgono o si orientano al leader con aspettative di tipo decisionistico, per l’insofferenza verso le eccessive mediazioni parlamentari e le corrispondenti differenziazioni partitiche.
Da qui l’attivismo cui assistiamo quotidianamente. E le misure populistiche fatte appunto per soddisfare un immediato desiderio di ordine: contro la violenza di stadio come contro la prostituzione, indifferentemente.
(Populismo e il passato che ritorna, GIAN ENRICO RUSCONI - LA STAMPA)
Il rumore mediatico ci stordisce: non distinguiamo più le favole dalla realtà, non capiamo.
In questo rumore si inseriscono le voci di governo: La Russa che deve concedere qualcosa agli ex elettori di AN.
Berlusconi che elogia Italo Balbo “in Libia fece cose egregie”. Meno bene in Emilia, quando guidava le squadracce contro i braccianti.
Deve intervenire in extremis Fini, prima che si arrivi all'olio di ricino: il presidente della Camera mette dei punti fermi “Il fascismo uguale dittatura ... Ogni democratico deve essere antifascista”.
“Chi scelse la Repubblica di Salò era dalla parte sbagliata”. Bene. Sapevamo anche noi che il problema in Italia era l'assenza di una destra antifascista, come in Francia la destra di De Gaulle.
Meno bene altri proclami lanciati sull'etere, come spot della perenne campagna elettorale cui assistiamo.
Si lancia l'allarme per le carceri super affollate e si introducono nuovi reati, come quello della prostituzione su strada. Per sfollare le persone dalle carceri si parla del braccialetto (che ci costerà parecchio con Telecom): ma non si parlava delle intercettazioni, che costavano troppo?
E, sempre a proposito di intercettazioni: il DDL Carfagna (sì, quella dei calendari), mette in carcere per 5-15 giorni prostitute e clienti. Siccome per meno di tre anni non si va in carcere, con questo disegno si intaseranno solamente i tribunali.
La mafia ringrazia caldamente.
Non solo: siccome le intercettazioni per il reato di sfruttamento per la prostituzione non si possono più fare (reato con pena inferiore a 10 anni), non si potrà più combattere chi sfrutta le prostitute.
E allora, a cosa servono tutti questi decreti? A niente, solo rumore.
Le contraddizioni di questo governo sono sotto gli occhi: si parla di difesa di italianità per il finto salvataggio di Alitalia, svenduta a imprenditori amici, e a banche che da una parte figurano come creditrici (per la nuova cordata) dall'altra come debitrici (per la vecchia Alitalia, la bad company).
Alitalia, che doveva essere il capolavoro del cavaliere, si sta trasformando nella grande debacle.
Ieri Berlusconi accusava l'opposizione di esser dietro le agitazioni dei piloti. Ma non si ricorda quando dietro le agitazioni di taxisti (a Roma) e degli autotrasportatori (che bloccarono l'Italia l'inverno scorso) c'erano dietro esponenti del centrodestra.
Parlano di federalismo, di padroni a casa nostra, poi vedi i celerini mandati a sgombrare i vicentini contrari all'allargamento della base aerea.
Parlano di sicurezza e tolleranza zero, poi vedi i tifosi (del Napoli) a spasso per Roma a sfasciare treni e stazione.
E' bastato togliere dalla televisione la spazzatura a Napoli (le indagini hanno coinvolto il sottosegretario Cosentino di Casal di Principe, sapevate?) per risolvere il problema; le prostitute dalle strade e i reati di piccola delinquenza nei TG.
Rumore, solo rumore.
Lo potremmo capire anche noi, se non ci fossero abbastanza giornalisti da raccontare i fatti.
Il ceto degli intellettuali si è dissolto in singoli individui o in piccoli gruppi. Non solo ha perso valore la qualifica di destra o sinistra, non ci sono più conservatori e progressisti, ma si è smarrito il senso di ciò che tiene insieme questo Paese. Nessuno sa più dirne le ragioni, in modo convincente per tutti, pur facendo attenzione alle legittime differenze.
La storia nazionale è impunemente sequestrata da dilettanti e mistificatori. Ormai si può dire tutto su tutto - dall’8 settembre al terrorismo delle Brigate Rosse. Ciò che importa è il rumore mediatico che copre ogni altra voce e può contare sulla spossatezza degli studiosi seri. La serietà è diventata noiosissima in questo Paese: è intollerabile e incompatibile con il talk show permanente.
C’è in giro una pesante aria decisionista. A parole almeno. Comincia dai vertici dei ministri, indaffarati a fare proclami, cui non sappiamo che cosa davvero seguirà. Colpisce l’irresponsabilità e il dilettantismo di ministri che parlano (pensando in realtà soltanto ai media) come se tutto dipendesse dalle loro parole.
Come se la scuola - per fare un esempio - non fosse una grande complessa istituzione tenuta in piedi da migliaia di professionisti che hanno una loro competenza ed esperienza, di cui tener conto. No. Sono trattati come zelanti esecutori di decisioni calate dall’alto.
Ma da dove è spuntata fuori questa classe ministeriale? Da quale cultura? Dalla destra storica liberale? Dal fascismo riciclato democraticamente? No, per carità - si obietta subito -, non incominciamo con le genealogie ideologiche. Ciò che conta è «fare ordine» contro il «disordine della sinistra» - come dice il Cavaliere.
Mettere ordine, ripulire, punire, comandare. Se è il caso, mettere in galera clandestini, teppisti di stadio, prostitute di strada. Come se fossero la stessa cosa.
Naturalmente una società ordinata e sicura è un valore collettivo. E non finiremo mai di rimproverare la sinistra per essersi fatta scippare per malinteso «buonismo» questo valore. Per questo motivo non solo ha perso le ultime elezioni, ma adesso ha perso anche la testa. Infatti non sa più come reagire. A ogni iniziativa «d’ordine» ministeriale o governativa, balbetta e si divide.
Ma quali sono i valori della nuova destra populista che pretende di essere innanzitutto pragmatica, anti-ideologica? A prima vista sono i valori tradizionali di «Dio, patria e famiglia». Naturalmente al posto di Dio oggi si preferisce parlare di «radici cristiane»; l’idea di patria richiede qualche aggiustamento critico; soltanto la famiglia sembra mantenere le vecchie connotazioni. Ma è una pura finzione, se guardiamo ai comportamenti reali e non alle dichiarazioni fatte «per compiacere la Chiesa» (parole di Berlusconi).
In realtà la vera chiave della cultura politica di oggi è nel termine di «populismo» che va inteso non in modo generico, ma appropriato. Il populismo democratico ha quattro ingredienti: un popolo-elettore che tende a esprimersi in uno stile tendenzialmente plebiscitario con un rapporto di finta immediatezza con il leader; la dominanza di una leadership personale, gratificata di qualità «carismatiche»; un sistema partitico semplificato con un ricambio di élite politiche che è di supporto immediato al leader; il ruolo decisivo e insostituibile dei media allineati. Sottoprodotti di questa situazione sono la iperpersonalizzazione della politica e la sua spettacolarizzazione.
Gli elettori scelgono o si orientano al leader con aspettative di tipo decisionistico, per l’insofferenza verso le eccessive mediazioni parlamentari e le corrispondenti differenziazioni partitiche.
Da qui l’attivismo cui assistiamo quotidianamente. E le misure populistiche fatte appunto per soddisfare un immediato desiderio di ordine: contro la violenza di stadio come contro la prostituzione, indifferentemente.
(Populismo e il passato che ritorna, GIAN ENRICO RUSCONI - LA STAMPA)
Il rumore mediatico ci stordisce: non distinguiamo più le favole dalla realtà, non capiamo.
In questo rumore si inseriscono le voci di governo: La Russa che deve concedere qualcosa agli ex elettori di AN.
Berlusconi che elogia Italo Balbo “in Libia fece cose egregie”. Meno bene in Emilia, quando guidava le squadracce contro i braccianti.
Deve intervenire in extremis Fini, prima che si arrivi all'olio di ricino: il presidente della Camera mette dei punti fermi “Il fascismo uguale dittatura ... Ogni democratico deve essere antifascista”.
“Chi scelse la Repubblica di Salò era dalla parte sbagliata”. Bene. Sapevamo anche noi che il problema in Italia era l'assenza di una destra antifascista, come in Francia la destra di De Gaulle.
Meno bene altri proclami lanciati sull'etere, come spot della perenne campagna elettorale cui assistiamo.
Si lancia l'allarme per le carceri super affollate e si introducono nuovi reati, come quello della prostituzione su strada. Per sfollare le persone dalle carceri si parla del braccialetto (che ci costerà parecchio con Telecom): ma non si parlava delle intercettazioni, che costavano troppo?
E, sempre a proposito di intercettazioni: il DDL Carfagna (sì, quella dei calendari), mette in carcere per 5-15 giorni prostitute e clienti. Siccome per meno di tre anni non si va in carcere, con questo disegno si intaseranno solamente i tribunali.
La mafia ringrazia caldamente.
Non solo: siccome le intercettazioni per il reato di sfruttamento per la prostituzione non si possono più fare (reato con pena inferiore a 10 anni), non si potrà più combattere chi sfrutta le prostitute.
E allora, a cosa servono tutti questi decreti? A niente, solo rumore.
Le contraddizioni di questo governo sono sotto gli occhi: si parla di difesa di italianità per il finto salvataggio di Alitalia, svenduta a imprenditori amici, e a banche che da una parte figurano come creditrici (per la nuova cordata) dall'altra come debitrici (per la vecchia Alitalia, la bad company).
Alitalia, che doveva essere il capolavoro del cavaliere, si sta trasformando nella grande debacle.
Ieri Berlusconi accusava l'opposizione di esser dietro le agitazioni dei piloti. Ma non si ricorda quando dietro le agitazioni di taxisti (a Roma) e degli autotrasportatori (che bloccarono l'Italia l'inverno scorso) c'erano dietro esponenti del centrodestra.
Parlano di federalismo, di padroni a casa nostra, poi vedi i celerini mandati a sgombrare i vicentini contrari all'allargamento della base aerea.
Parlano di sicurezza e tolleranza zero, poi vedi i tifosi (del Napoli) a spasso per Roma a sfasciare treni e stazione.
E' bastato togliere dalla televisione la spazzatura a Napoli (le indagini hanno coinvolto il sottosegretario Cosentino di Casal di Principe, sapevate?) per risolvere il problema; le prostitute dalle strade e i reati di piccola delinquenza nei TG.
Rumore, solo rumore.
Lo potremmo capire anche noi, se non ci fossero abbastanza giornalisti da raccontare i fatti.
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