12 settembre 2008

Il colpo di stato alla Giustizia

E' scritto che la legge è uguale per tutti. E la Costituzione sancisce questa uguaglianza dei cittadini (lodo Alfano permetendo).

Ma in tempi in cui il presidente della Repubblica, il garante degli equilibri della democrazia, della Costituzione, afferma che esistono persone che ancora non si identificano in essa, allora nulla può essere dato per scontato. Nemmeno in termini di Giustizia.
Se nemmeno sulla Costituzione, sui principi fondamentali, siamo d'accordo.

Berlusconi, davanti ai giovani di AN parla della sua visione della Giustizia: dividere magistratura niquirente e giudicante.

Parlare di avvocati della difesa e avvocati dell'accusa, non più di magistrati.
Mettere sullo stesso piano il pm, che rappresenta lo stato, con un Cuffaro, con un Dell'Utri, con un Riina qualsiasi. Che rappresentano l'antistato.

Lo ha già spiegato bene Bruno Tinti sulla sua rubrica "Toghe rotte": ma evidentemente i giovani di AN (così come qualche dirigente) dimostrano scarsa cultura legalitaria.

Cosa c'è dietro la riforma della giustizia? Su Repubblica D'Avanzo parla di riesumazione della Bicamerale, di un patto Violante-Ghedini (appunto un ex magistrato ed un avvocato della difesa).

Quel che oggi appare una faticosa (e ardua) ascesa alle vette di una riforma costituzionale diventa, più o meno, una quieta passeggiata in riva al mare. Un percorso legislativo ordinario e svelto che, senza troppo clamore e piazze Navona, altera gli equilibri costituzionali più di quanto possa fare una risicatissima riscrittura della Costituzione.
La "riforma della giustizia" (o meglio lo scontro ideologico tra politica e magistratura) ha già un suo compromesso concreto, rapidamente realizzabile e già per buona parte condiviso.
L'abolizione di qualche parola in due articoli del codice di procedura penale consente alla politica di ottenere, senza "guerre di religione", quel che dai tempi della Bicamerale è apparso alla politica una chimera: il controllo dell'azione penale e l'attenuazione dei poteri del pubblico ministero a vantaggio dell'esecutivo.

Insomma un altro colpo di stato (dopo quella della riforma della legge elettorale, del lodo Alfano).
Vi invito a leggere il commento (un pò tecnico) sempre di Bruno Tinti:
"Tutti d'accordo sul PM avvocato della polizia?"

Insomma, senza ammazzarsi in battaglie per la riforma della Costituzione, senza scomodare le grandi questioni della separazione delle carriere e dell’obbligatorietà dell’azione penale, è sufficiente impedire al PM di prendere autonomamente notizia dei reati, di disporre di una Polizia Giudiziaria alle sue dirette dipendenze e di dare direttive a questa Polizia per l’esecuzione delle indagini.
Ecco come si può far diventare il PM “avvocato della polizia”, che vuol dire avvocato del Governo.
Un avvocato che riceve un processo bello e confezionato e deve solo sostenere l’accusa davanti al Giudice, sulla base degli elementi che la Polizia gli ha fornito; e solo di quelli.
Ah dimenticavo: un avvocato, soprattutto, che non riceve i processi che il Governo non vuole che si facciano.

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