Incipit (scaricabile dal sito di Fandango)
Il bambino morto stava all’impiedi, fermo sull’incrocio traSanta Teresa e il Museo. Guardava i due ragazzi che, sedutia terra, facevano il giro d’Italia con le biglie. Li guardavae ripeteva: “Scendo? Posso scendere? ”
Primo
capitolo della serie di gialli scritti da Maurizio De Giovanni, con
protagonista il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, della Questura di
Napoli.
Siamo
a Napoli, nel 1931, anno IX era fascista: sui muri degli uffici
pubblici campeggiano le due foto, del re Savoia e del dittatore
Mussolini. Che, con un decreto legge hanno cancellato dai giornali (e
dai comunicati della polizia) reati e delitti.
Reati
e delitti che sono il lavoro quotidiano del commissario Ricciardi,
uno con cui non si lavora volentieri: chiuso, mai un sorriso, mai un
accenno alla sua vita privata, solitario e con pochi amici. Se si
esclude il brigadiere Maione, che lo segue in tutti i casi, quasi lo
volesse proteggere.
Ricciardi
ha in realtà un dono, anzi una maledizione che si porta dietro fin
dai primi anni della sua vita. Il Fatto:
"Luigi Alfredo si abituò a pensare alla cosa che gli era successa proprio con quel nome: il Fatto. Da quando gli era capitato il Fatto, come aveva capito del Fatto. Il Fatto che aveva orientato l'esistenza. [] E lui aveva compreso che non avrebbe mai più potuto parlarne con nessuno, che con questo marchio sull'anima ce l'aveva solo lui: una condanna una dannazione. Negli anni che seguirono, lui andò definendo i confini del Fatto. Vedeva i morti. Non tutti e non a lungo: solo quelli morti violentemente, e per un periodo di tempo che rifletteva l'estrema emozione, l'energia improvvisa dell'ultima emozione. Li vedeva come una fotografia [..] anzi come una pellicola, di quelle che aveva visto qualche volta al cinematografo, che però replicava sempre la stessa scena. L'immagine del morto con i segni delle ferite e l'espressione dell'ultimo atto prima della fine." pagina 11
L'omicidio
di un tenore famoso Arnaldo Vezzi, uno con molte entrature nel
partito (e si dice amico del Duce), lo costringerà a ripetere
nuovamente l'esperienza del Fatto. Il cantante è stato ucciso alla
prima al San Carlo: doveva interpretare l'opera di Leoncavallo
“Pagliacci”,
qualcuno l'ha ucciso, squarciandogli la gola con un frammento dello
specchio del camerino mentre stava vestendosi per la scena.
Sulla
scena, le sue ultime parole:
“io sangue voglio, all'ira mi abbandono,
in odio tutto l'amor mio finì ..”
Il
commissario e il suo assistente si dovranno muovere nel mondo del
teatro, sconosciuto ad entrambi: un mondo in cui Vezzi si era
costruito molti nemici, per il suo carattere arrogante e presuntuoso.
Ma
da qui ad ucciderlo ..
Già,
ma per cosa si uccide, allora?
"Che belli, ironizzò tra se Ricciardi, con un mezzo sorriso. Il piccolo re senza forze, il grande comandante senza debolezze. I due uomini che avevano deciso di cancellare il crimine per decreto. Ricordava sempre le parole del questore, un azzimato diplomatico che improntava la propria vita al compiacimento assoluto dei potenti.: non esistono suicidi, non esistono omicidi, non esistono rapine e ferimenti, a meno che non sia inevitabile o necessario. Nulla per la gente, soprattutto per la stampa: la città fascista è pulita e sana, non conosce brutture. L'immagine del regime è granitica, il cittadino non deve avere nulla da temere; noi siamo i custodi della sicurezza.Ma Ricciardi aveva capito, ben prima di studiarlo sui libri, che il delitto è la faccia oscura del sentimento: la stessa energia che muove l'umanità la devia, fa infezione e suppura esplodendo poi nell'efferatezza e nella violenza. Il Fatto gli aveva insegnato che la fame e l'amore sono all'origine di ogni infamia, in tutte le forme che possono assumere: orgoglio, potere, invidia, gelosia. Sempre e comunque la fame e l'amore. Li trovavi in ogni delitto, una volta semplificato all'estremo, eliminati gli orpelli dell'apparenza: la fame e il dolore, o entrambi, e il dolore che generano" pagina 21
Seguendo
una sua pista, incurante dei reclami dei superiori che fanno
pressioni affinché trovi un colpevole in fretta, Ricciardi arriverà
al vero colpevole, scoprendo il filo del “senso del dolore”, che
lega assieme vittima e carnefice e che, come dice lo stesso
commissario, segue sempre fame e amore.
Il
senso del dolore è un bel romanzo molto originale: a cominciare dai
personaggi che vengono raccontati e descritti con i loro pensieri, i
loro umori. Primo fra tutti il commissario Ricciardi, col suo dolore
interno che non può raccontare a nessuno e che lo porta a respingere
ogni contatto intimo, specie con le donne.
Originale
e non da cartolina anche la descrizione della città:
“i quartieri dei ricchi e dei borghesi, della cultura e del diritto. A monte la Napoli dei quartieri popolari dove vigeva un altri sistema di leggi e norme, altrettanto o forse ancora più rigido.La città sazia e quella affamata, la città della festa e quella della disperazione. Quante vole Ricciardi era stato testimone del contraddittorio tra le due facce della stessa medaglia. Il confine: via Toledo, palazzi antichi, muti sulla strada ma già rumorosi sul retro, le finestre spalancate sui vincoli, i primi canti delle massaie.” pagina 18
Il
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Technorati:
Maurizio De
Giovanni
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