09 ottobre 2020

9 ottobre 1963, la diga del Vajont

 


9 ottobre 1963, 9 ottobre 2020. Sono passati 57 anni dalla tragedia del Vajont, la grande frana staccatasi dal monte Toc che causò 1917  vittime tra Longarone e i paesini vicini, in provincia di Belluno.

Sono passati 57 anni e le montagne continuano a franare, i fiumi ad uscire dai loro argini, spesso cementificati. Fenomeni che i cambiamenti climatici hanno reso sempre più frequenti.

Oggi, come 57 anni fa, la cura dell'ambiente è vista ancora come un ostacolo allo sviluppo, al progresso, al profitto.

Il ponte sul Sesia crollato il 2 ottobre 2020

Succedeva allora, succede anche oggi e succederà domani, per le prossime olimpiadi invernali tra Cortina e Milano.

Ma ce ne accorgiamo solo quando la tragedia è già avvenuta, quando i morti ci sono già stati, quando le case delle persone sono già state invase dal fango. Quando ponti e strade sono già crollati o sott'acqua.

Quella marea di fango che causò quell'onda spaventosa che, sorpassata la diga del Vajont, andò a schiantarsi sulle povere vittime di Longarone.

« Duecentosessanta milioni di metri cubi di roccia cascano nel lago dietro alla diga e sollevano un’onda di cinquanta milioni di metri cubi. [...] Solo la metà scavalca di là della diga, solo venticinque milioni di metri cubi d’acqua... Ma è più che sufficiente a spazzare via dalla faccia della terra cinque paesi: Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè. Duemila i morti. »

Peccato non ci sia più un Marco Paolini col suo teatro civile a raccontarci la storia della costruzione della diga. In quella storia c'è tutto il marcio del nostro paese.

L'arroganza del concessionario privato che nella valle (e dentro le istituzioni) si comportava da padrone. Uno stato nello stato.

Il silenzio dei giornali su quanto stava accadendo sulla diga (e la vergogna di alcuni giornalisti per quanto scrissero a caldo dopo il disastro) eccetto gli articoli che Tina Merlin, che era stata staffetta partigiana, scriveva su l'Unità (e che le costarono una causa in Tribunale poi archiviata)-

Lo scarso senso etico di esponenti delle istituzioni, dalla provincia, al genio civile, al ministero di Roma e fin dentro questa Sade.

La messa in produzione della diga, per rientrare nelle spese (la metà delle quali erano state pagate dallo Stato, ricordiamolo) a qualunque costo, anche a costo della vita.

Fin che ci si ostinerà a pensare solo al cemento, a nuove autostrade, a grandi opere come il Mose che diventano utili sono dopo anni e dopo miliardi spesi forse inutilmente, saremo costretti a rivivere le stesse scene.

Gente con le mani nei capelli. Case crollate o sommerse da acqua, fango e detriti. Persone travolte da fiumi che improvvisamente si gonfiano ed esplodono.

Provate a controllare, sulle prime pagine dei giornali, di cosa si parla oggi. Certo, c'è il virus, i contagi, il timore di un lockdown. Farete fatica a trovare proposte su temi ambientali (veri, non di facciata) per i 209 miliardi che arriveranno l'anno prossima dall'Europa per il recovery fund.

Perché piuttosto che mettere in sicurezza prima, si preferisce spendere dopo, di fretta e male, e piangere sulle proprie colpe.

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