05 gennaio 2009

Lo statista di Massimo Giannini

Lo statista. Il ventennio berlusconiano tra fascismo e populismo di Massimo Giannini.
Che ci piaccia o meno, Silvio Berlusconi è uno statista, nel senso che è diventato ormai un politico che ha caratterizzato con una sua impronta, la vita politica italiana. Questo il sunto del libro di Giannini, che si appoggia ad altri saggi politici, agli scritti di Renzo De Felice, ad articoli di giornalisti come Ricolfi, Asor Rosa, Panchi Pardi, per supportare le sue tesi. Uno statista con un suo stato in testa e prima la sinistra lo capirà, prima riuscirà ad affrontarlo.

Ne sono passati di anni, dalla sua discesa in campo nel lontano 1994: l'uomo che è passato dal costruire Milano 2 all'inventare la televisione privata, che ha saputo inventare un partito che non c'era, che è diventato tre volte presidente del Consiglio. Oggi è un pezzo della storia del nostro paese. Scrive Giannini sull'uomo politico di Arcore, che ci troviamo di fronte ad un politico che dopo aver cambiato i gusti televisivi degli italiani, ha cambiato i gusti e i modi della politica.

Attenzione, continua: non possiamo più prenderlo sottogamba, considerarlo un parvenu del transatlantico, un fenomeno transitorio, un buffone o un imprenditore prestato alla politica (e mai più restituito).
E il libro si propone questo: utilizzando altri scritti che parlano della comunicazione e del linguaggio del cavaliere (Mi consenta, di Alessandro Amadori), fa una profonda e lucida analisi dei suoi obiettivi, della sua concezione di stato e di democrazia.
Quale la sua visione dello stato? E, la domanda delle domande: quale il futuro del nostro paese? L'Italia sta veramente scivolando verso un regime?

Partiamo da un punto fermo: la belrusconizzazione del paese (che non è necessariamente una offesa, avendolo votato almeno il 50%) del paese, è qualcosa che non si può liquidare con i soliti discorsi, tirando in ballo lo strapotere mediatico.
È una concezione del paese che fonde assieme interessi privati e pubblici. Che relega l'opposizione (e in seguito il parlamento) al ruolo di semplice comparsa (l'invito a Veltroni ad andarsene in vacanza). Che soffoca tutte le voci critiche nell'informazione, nella politica, nei poteri della democrazia (magistratura, presidente della repubblica, corte costituzionale): tutti vincoli visti con sofferenza, che vengono quotidianamente sottoposti ad un lavorio di pressione, che ne sminuisce il peso e il valore.

Se quella dello statista è la prima tesi del libro, la seconda è che quella italiana è un democrazia in profonda trasformazione, per quanto dicevamo prima. Giannini cita come paragone il libro di Philiph Roth “Il complotto contro l'america” che ipotizza la vittoria di Lindbergh che avrebbe trasformato l'america in un paese governato secondo campagne pubblicitarie gestite dall'alto, con sindacati messi ai margini, con un divario crescente tra ricchi e poveri e dove “torna in auge il ruolo dello stato come poliziotto e carceriere”. Vi riconoscete in queste cose?
Non una dittatura in senso classico, “ma sicuramente una democrazia nella sua parabola discendente”.
Alcuni passi:
“L'assenza di poteri autonomi che bilancino lo strapotere dell'esecutivo, dalle istituzioni all'establishment economico-finanziario, ridotto a vassallaggio e ricattabile attraverso il meccanismo incestuoso delle concessioni governative e il circuito del finanziamento bancario”.
“Lo sgretolamento coatto dei contenuti della politica, lo smantellamento sistematico della verità dei fatti, il disfacimento scientifico del linguaggio che trasforma l'informazione in rumore bianco”.

Dunque, ed è la terza tesi del libro, lo statista va preso sul serio: il governo che sta portando avanti la sua politica a “vocazione totalitaria”, una politica reazionaria e di destra, gode di ampio consenso. Quanto siano veri i sondaggi non lo sappiamo, ma Berlusconi è capace di prevenire i desideri della gente (un governo forte, che sappia prendere decisioni, che risolva i problemi o almeno lo faccia credere); di ingenerare nel popolo di elettori che negli anni è stato capace di creare i desideri cui poi lui stesso ne tira fuori la soluzione. L'emergenza criminalità, i rifiuti nella Campania, l'emergenza giudiziaria (che ha portato al Lodo Alfano).

Usando come arma i contenuti del libro di Tremonti, La paura e la speranza, ha saputo costruire la sua campagna elettorale: “la paura è la più grande risposta data dalla modernità alle sue disillusioni” scrive Corey Robin (Fear, the history of a political idea).
Le paure, scrive Giannini, usate come rimpiazzo dei progetti e dove ogni problema è declinato come in difesa di qualcosa: i decreti in difesa di un parlamento che non decide; il lodo Alfano in difesa della persecuzione giudiziaria; le scuole sgombrate in difesa di chi vuole andare a lezione; i fannulloni da perseguitare e da cacciare dalla pubblica amministrazione, in difesa dei cittadini. Nel territorio i soldati a difendere le discariche dalla camorra e i quartieri dalla criminalità (specie quella degli immigrati).

Dello stesso avviso le norme anti writer, la legge contro le prostitute (ma non contro la prostituzione), la proposta sulle classi ponte, il carcere per chi scarica i rifiuti …
Tolleranza zero. Almeno questo è quello che deve apparire. Una tolleranza che non trova spesso, e non deve trovare, contrappesi o voci contrastanti. La maggioranza degli italiani mi ha dati il mandato di governare, e tanto basta.


L'ultima tesi, la più complessa da un certo punto, riguarda il paragone tra berlusconismo e fascismo: andando a rileggere parti degli scritti di De Felice e altri, Giannini fa emergere i tratti comuni tra i due statisti. Una contiguità che emerge non solo da certe uscite sul fascismo (“Io penso solo a lavorare” a chi gli chiede se è antifascista) e con altri nostalgici (la Mussolini, Ciarrapico, il corteggiamento alla destra di Storace).

La cura nel gesto, nella preparazione dei discorsi, anche quelli apparentemente improvvisati come il discorso del predellino in piazza S. Babila. Il controllo quasi maniacale nell'informazione: cosa può uscire sui giornali e cosa non deve uscire. L'immagine di sè: come per Mussolini, anche di Berlusconi si dice che dormi poco e lavori tanto, in una giornata piena frenetica e piena di impegni.
L'importanza del bel gesto simbolico: da una parte la bonifica all'Agro Pontino e qui la progettazione delle grandi opere (la TAV o il ponte sullo stretto). Il circondarsi da persone fedeli: mai un congresso vero e proprio in Forza Italia; mai una vera votazione ma solo acclamazioni a furor di popolo (“volete esser governati dai comunisti, voi?”).

Berlusconi si è creato un vero “regime personale”:
dal suo partito ha pescato a piene mani per l'infrastruttura del governo. Formigoni a casa e Fini relegato nelle presidenza della Camera. Tutti gli altri a reggere la parte che il cavaliere ha scritto per loro.
Potremmo anche accennare ai complimenti fatti da Licio Gelli (altro riesumato di questa democrazia discendente = egocrazia populista); alle battute di Berlusconi stesso sui suoi 14 anni di attività, alla vena di democrazia forte che è in atto in Europa (dalla Francia di Sarkozy alla Russia di Putin) ...
Come scritto nei titoli, un mix di populismo, decisionismo, egocrazia e vocazioni da destra reazionaria, di cui ho parlato ieri.


Se non è vero che siamo in un regime, è almeno vero che in questo momento l'esecutivo ha nelle sue mani uno strapotere che non mai avuto eguali nella storia repubblicana: oggi i poteri forti sono loro.
Berlusconi ha avviato e portato a termine un'OPA sul potere che parte dal mondo dell'informazione (dai suoi giornali e TV, quasi fino alla RCS); che entra nel mondo delle imprese (pensate a tutti gli imprenditori entrati nel patto per Alitalia); dentro il salotto buono della finanza che è Mediobanca (con l'ingresso della figlia Marina nella vicepresidenza, sotto l'amico Geronzi). Dentro le banche (le uniche casse che ancora contengono il denaro, il nostro denaro), dentro cui l'esecutivo è entrato sfruttando la crisi finanziaria in corso, col decreto salva-banche di settembre 2008.
Un potere che, apparentemente non ha contrappesi: messi all'angolo i sindacati (vedi vicenda Alitalia, sempre) grazie al lavoro dell'ex socialista Sacconi, messa all'angolo l'opposizione (che deve sempre seguire la sua agenda, con l'opzione del prendere o lasciare e alla fine accettare il male minore); sanciti i buoni rapporti con il Vaticano (in merito, basta ripensare ai finanziamenti alle scuole cattoliche), rimane veramente poco, fuori.
Parte dell'informazione, del potere giudiziario, qualche cane sciolto, qualche voce isolata fuori dal coro.
Dove può andare quest'uomo, se pensiamo cosa ha fatto fin'ora e vediamo davanti i prossimi anni?Il sogno del Quirinale, l'ultima grande impresa del Berlusconi (qui Giannini tira fuori un'altra citazione alta, “Il presidente” di Simenon).
Dovrà aspettare la fine del settennato di Napolitano, direte voi. Ma non conoscete bene la persona: con la riforma del federalismo fiscale, si potrà dire che l'Italia non è più un repubblica unita, ma una repubblica federale.
E dunque, con un mezzo colpo di Stato, l'esecutivo potrebbe nominare, grazie a delle riforme della Costituzione in chiave presidenzialista, un altra persona. E chi meglio dell'artefice di tutto questo cambiamento?

Di tutto questo, il centrosinistra cosa ha capito? Poco, o nulla. Nella parte finale del libro, che rimane una lettura impegnativa dato il lavoro dell'autore che mette assieme saggi e articoli sul berlusconismo e la sua politica, Giannini si concentra sull'opposizione e su quanto ha fatto o non ha fatto.
L'atteggiamento poco coerente e ondivago nei confronti del cavaliere, che negli anni è passato da una fase di snobismo, ad una di confronto (la Bicamerale), ad oggi.
Se, come sostiene il libro nelle sue tesi, tutto ruota attorno al presidente del Consiglio, lo Statista, anche la sinistra è diventata uno dei satelliti. Non riesce a darsi una sua linea, a trovare una sua unità (specie nel dualismo dei leader del PD Veltroni e D'Alema), vittima anche delle sue divisioni interne. Anche perchè, è innegabile che negli anni, anche parte del centrosinistra ha subito il fascino dello statista.
E oggi, specie se si guarda oltreoceano al nuovo corso in america, non si riesce a trovare un nuovo Obama (ma nemmeno uno Zapatero) qui da noi.

Si è passati dalla sottovalutazione ad una sua dolorosa sopravvalutazione: “probabilmente Berlusconi andava e va valutato in funzione del contesto storico in cui ha agito e del tessuto sociale con cui ha interagito […] Si sarebbe allora capito per tempo ciò che ora è chiaro a tutti: e cioè che il Cavaliere non è una sfortunata eccezione della storia repubblicana, ma una sua involuzione naturale. Forza Italia non è stata e non è una parentesi della politica, ma una creazione tipica di questa Italia”.

Non c'è bisogno, grazie al cielo, di rifugiarsi in montagna col fucile, né di ritirarsi sull'Aventino. Potremmo qui usare le parole che Falcone usò per altro fenomeno di cui disse “è un fatto umano che avrà un inizio e una fine”.
Prima della fine occorre trovare, tra i giovani a sinistra, qualcuno che ci creda per davvero, che abbia ben chiara la differenza tra destra e sinistra.
Perchè, sia chiaro, ne va del futuro di questa sinistra, della sua credibilità, della sua sopravvivenza.
Alcuni consigli al PD (e di riflesso agli altri partiti della sinistra): recuperare il rapporto col territorio (fare politica sul posto, senza paracadutare i candidati); sfuggire dalla trappola del dialogo ad ogni costo; definire la sua identità e quei valori non negoziabili (senza scendere ogni volta al compromesso e al male minore); tornare a parlare del conflitto di interessi.
L'Italia è un paese fondamentalmente di destra: se la sinistra vuole vincere, non può pensare di diventare partito unico, maggioritario. Deve pensare sia al suo elettorato, che a quello di centro: di tempo per trovare il nostro Obama ne avremo, poiché noi, di andare in vacanza per i prossimi anni, non ne abbiamo intenzione.

I libri citati:
Il complotto contro l'America di Philip Roth.
Il presidente di George Simenon

La scheda del libro sul sito dell'editore Baldini e Castoldi Dalai.
Il blog di Massimo Giannini.
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