04 ottobre 2011

Il far west del mondo del lavoro

Il confronto tra la situazione lavorativa della Spagna, con gli italiani a Barcellona, e l'Italia è quasi impietoso.
Là, Marco il fotografo di Torino, Piergiorgio il giornalista, Caterina la laureata in lettere, Alberto il documentarista hanno trovato un lavoro, un contratto vero (nemmeno a parlarne di contratti a nero e affitti in nero), delle aspettative, la possibilità di costruirsi un futuro e una famiglia.
In spagna non hanno guardato al loro cognome, ma alle loro capacità come lavoratori.
In Spagna essere giovani non è un peccato, anzi. Lì si sfrutta l'entusiasmo, l'energia delle nuove leve, come stimolo per fare lavori migliori.
Non è un caso, come ricordava Iacona, che queste persone in fuga da una paese che non li vuole, una volta raggiuntà una serenità lavorativa, hanno messo al mondo dei bambini.

In Italia no: la regola è l'affitto in nero (tanto chi controlla, fanno tutti così), lo stipendio a nero, con contratto co co pro, lo stage non retribuito..
Un far west legislativo di norme, burocrazia e contratti che nessuno vuole affrontare.
Come abbassare le tasse sui redditi da lavoro, rendere veramente informatizzata la burocrazia (non dichiararlo soltanto, come fanno certi ministri), togliere di mezzo certe forme di contratto.

Perchè stiamo causando un danno sociale che lo stato italiano pagherà due volte: la prima oggi, impedendo ad una generazione di realizzarsi, di dimostrare le sue capacità. Nel futuro, quando i giovani di oggi arriveranno in età di pensione e prenderanno una pensione che sarà addirittura inferiore alla pensione minina. E lo Stato, cioè noi, dovrà anche integrare questa pensione con altri soldi.

In Italia succedono storie come quella raccontata a Presa diretta sulla cooperativa Isonzo: si occupano del trasporto merci per la DHL, in uscita dall'aeroporto di Orio Alserio.
Tutti i lavoratori erano inquadrati con contratto a progetto: una cosa assurda, cui un giudice (senza arrivare a Berlino) ha messo fine.
I corrieri lavoravano dovendo rispettare orari di lavoro ben precisi, altro che lavoro a progetto.
Eppure l'azienda aveva ricevuto la certificazione Marco Biagi, firmata dal professore Tiraboschi, consulente del ministro Sacconi, quello che sostiene che la strada del licenziamento facile sia la via giusta per fare sviluppo.

Chiedete a chi lavora negli stabilimenti Fiat, cosa ne pensa.

La Fiat a Termini Imerese. A Genova, Fincantieri. L'Irisbus ad Avellino. A Napoli l'Alenia. Solo per citare le grandi imprese che stanno chiudendo. E poi ci sono le piccole.
Possibile, continuo a chiedermi, che per rilanciare lo sviluppo serva deregolamentare, licenziare, togliere diritti (e non burocrazia)?

Update: a proposito della fuga dei cervelli e l'arrivo delle patonze. Sempre a Presa diretta (scusate ma non riesco a togliermi la puntata dalla testa) Claudia Cucchiarato, autrice del libro "vivo altrove" raccontava della fuga dei cervelli dall'Italia.
Cervelli in fuga che non vengono rimpiazzati da altrettanti giovani che, dalla Spagna, dalla Germania, dagli Usa, vengono a lavorare qui. Beh, non è del tutto vero: mi viene in mente (due nomi a caso) la nipote di Mubarak e la fidanzata montenegrina di B.

Nessun commento: