Avrebbe voluto gridarlo a Zucca, pur sapendo quanto intollerabile e irricevibile fosse la conclusione ciò era giunto in quei giorni terribili. Per quello che lo riguardava, a Genova la legalità era stata sepolta con la rinuncia consapevole e irresponsabile ad ogni mediazione. Era convinto che l'odio avesse chiamato altro odio. Che Carlo Giuliani fosse un morto di tutti, e il lager di Bolzaneto e la macelleria Diaz l'approdo ad una catastrofe di cui si erano ignorate le avvisaglie. Non il 19, non il 20, non il 21 luglio. Ma voltando quotidianamente lo sguardo di fronte alla ferocia e alla solitudine che lui aveva imparato a conoscere ogni giorno che Dio aveva mandato in terra e che aveva visto crescere come una metastasi. Ai cancelli della curva di uno stadio, all'ingresso di una casa occupata, di fronte ad un centro sociale. Fournier sapeva perfettamente che questo nono toglieva nulla allo schifo di cui era chiamato a rispondere. Non aveva intenzione di mentire. Ma sapeva che dire la verità lo avrebbe reso un infame per il branco a cui apparteneva, e un lurido bugiardo per il branco con cui mai avrebbe voluto confondersi. Lui, la notte della Diaz, aveva avuto l'ordine di «ripulire» una scuola dove gli era stato detto si nascondesse il Blocco nero. E a quella «pulizia» aveva partecipato fino a quando non aveva realizzato quale menzogna si celasse. Fino a quando la «pulizia» non si era trasformata in uno scempio. Certo, aveva avuto la forza di gridare al VII di lasciare la scuola. Ma non aveva né il coraggio né la voglia quali volti di colleghi si nascondessero dietro gli anonimi U-Boot e le anonime pettorine «Polizia» che si erano accanite su donne e uomini inermi. Si era protetto dietro i suoi gradi di vicequestore, sapendo che nel cortile di quella scuola elementare, in quella «macedonia di polizia», come diceva Canterini, altri avrebbero dovuto rispondere della violenza.
Acab,Carlo Bonini, pagine 29-30.
Violenza, quella della strada,
dello stadio, per gli sgomberi. Senso di appartenenza ad una tribù:
quella del celerino che considera il collega col caso un “fratello”.
Sentirsi una tribù contro gli altri, in lotta per fare ordine e
pulizia nel paese, nei quartieri, nelle strade. Una violenza che entra piano piano dentro le persone portandoli lontano dalle proprie famiglie.
Nei pensieri di
Fournier (il vicequestore del VII reparto mobile che fece l'irruzione alla Diaz) ci sono tutti i temi che Stefano Sollima
ha raccontato nel film tratto dal libro di Carlo Bonini “Acab”.
Il libro, e anche il film, raccontano del mondo, spesso ignorato e sconosciuto che si nasconde dietro la
visiera di un casco U-Boot, dietro gli scudi di plexiglass e la
nebbia dei lacrimogeni.
«L'Italia non è uno
stivale. E' un anfibio di celerino». Post del Blog Doppia vela,
2007.
Il link per ordinare il DVD su ibs.
La pagina FB del film.
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