La risposta del vicedirettore del Fatto quotidiano a Scalfari, per il suo editoriale di domenica.
Codex Scalfarianus
Massima solidarietà ai colleghi di Repubblica, proditoriamente attaccati nell'omelia domenicale di Eugenio Scalfari, improntata alla “deontologia e completezza dell'informazione” e dedicata anche alla morte di D'Ambrosio, “aggredito da una campagna di insinuazioni... Gli autori sono noti: in particolare alcuni giornali e giornalisti” che “gli uffici dei procuratori di Palermo hanno provvisto di munizioni”. Il solito Fatto Quotidiano? No, stavolta è impossibile. Fu Repubblica il 18 giugno la prima a pubblicare la notizia delle intercettazioni Mancino-D'Ambrosio: “Trattativa tra Stato e mafia: da Mancino pressioni sul Quirinale”, “Mancino telefonò a D'Ambrosio... I magistrati ritengono le sue parole rilevanti ai fini dell'inchiesta: Mancino paventa addirittura che 'l'uomo solo', se resta tale, chiami in causa 'altre persone'. Quindi chiede a D'Ambrosio di parlare dell'indagine con Napolitano, perché intervenga sui magistrati che indagano sulla trattativa”.
Chi avrà passato le notizie ai giornali?Scalfari indaga:“Può esser stato un addetto alla polizia giudiziaria,un cancelliere, un usciere dedito a frugare in cassetti e casseforti. O uno dei procuratori che avrebbero il dovere di aprire un'inchiesta sulla fuga di notizie secretate”. Ne avesse azzeccata una. Le intercettazioni non erano né in un cassetto né in cassaforte, ma depositate agli avvocati dei 12 indagati e, da quel momento, non più segrete. Fortuna che la Procura non ha dato retta a Scalfari, altrimenti il primo giornale sott'inchiesta per il non-reato sarebbe il suo.
Ma il j'accuse scalfariano prosegue: “Ricordo che la notizia dell'intercettazione indiretta del Presidente fu data addirittura da uno dei quattro procuratori in un'intervista al nostro giornale”. Ricorda male: la notizia fu data da Panorama il 20 giugno, l'intervista a Di Matteo è del 22.
Scalfari insiste sul presunto “divieto d'intercettazione del Presidente, diretta e indiretta... Gianluigi Pellegrino sostiene che l'art.271 Cpp, connesso con l'art. 90 Costituzione, contiene già la norma che stabilisce la distruzione immediata delle intercettazioni vietate... C'è stata un'infrazione estremamente grave della Procura per ignoranza delle norme”. Purtroppo le due norme citate non prevedono alcun divieto d'intercettazione indiretta del Presidente né la distruzione immediata delle bobine, dunque i pm non sono incorsi in alcuna infrazione o ignoranza.
Né Pellegrino ha mai scritto una simile castroneria: anzi ha chiesto una nuova “norma ordinaria”, visto che oggi la “diretta distruzione” dei nastri presidenziali sarebbe ricavabile solo “in via interpretativa dalle leggi vigenti”. Qui l'unico che ignora le norme è Scalfari, nonostante i ripetuti tentativi di Cordero e Messineo di spiegargliele. Il 271 dice che “il giudice”(non il pm) distrugge i nastri con la voce dei titolari di segreto professionale (avvocati difensori, confessori ecc.): nessun cenno al capo dello Stato.
Il 90 dice che il Presidente “non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle funzioni, tranne per alto tradimento o attentato alla Costituzione”.
Infatti i pm non l'hanno indagato: hanno solo intercettato un testimone sospettato di inquinamenti probatori, stralciando le sue telefonate con Napolitano in vista della distruzione da parte del gip nell'udienza in contraddittorio con gli avvocati, perchè valutino l'eventuale rilevanza delle parole di Mancino per il diritto alla difesa.
Dulcis in fundo Scalfari se la prende con gli amici che non lo spalleggiano nella guerra ai pm di Palermo, anzi li “incoraggiano all'accertamento della verità”, mentre lui dubita “delle capacità professionali” di una Procura già autrice del “madornale errore di mandare all'ergastolo un innocente”. Cioè il falso pentito Scarantino, reo confesso per via d'Amelio e poi scagionato da Spatuzza. Peccato che a credere a Scarantino siano stati la Polizia, la Procura, la Corte d'assise, la Corte d'appello di Caltanissetta e infine la Cassazione. La Procura di Palermo mai. Questo, si capisce, per deontologia e completezza dell'informazione.
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