Incipit:In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umiltà l’unico immodificabile evento di cui si possa asserire l’incontrovertibile verità.
Cosa dire di nuovo, su questo libro
(romanzo storico, thriller, affresco di un'epoca), su cui tanto hanno
già scritto o recensito?
Il nome della Rosa è uno
di quei libri che ti aprono la mente, che ti portano a formulare così
tante riflessioni su passato e presente, sul rapporto tra chiesa e
potere e sul potere della chiesa, ma anche sui timori delle scoperte
scientifiche, usare la paura come strumento per ammansire le masse ..
si corre il rischio di perdercisi dentro, come capita ai due
protagonisti della storia, nel labirinto della biblioteca.
Se non avete ancora finito il libro,
non proseguite oltre, per non rovinare nulla del piacere della
lettura.
La trama.
La trama.
Il libro racconta di una serie di morti
in una abbazia nell'Italia del XIV secolo: morti che coinvolgono
frati che hanno a che fare con i libri, anzi con un libro in
particolare. Un libro proibito, il libro secondo della poetica di
Aristotele, per cui qualcuno, a distanza di secoli, è disposto
pure ad uccidere.
Ad investigare su questa scia di
cadaveri è chiamato il francescano Guglielmo da Baskerville,
che assieme al novizio Adso da Melk, arrivati all'abbazia per
prendere parte all'incontro tra alcuni delegati francescani (tra
cui Michele da Cesena e Ubertino da Casale) e i delegati pontifici,
per discutere della povertà della Chiesa e soprattutto, sulla regola
di povertà dell'ordine di San Francesco. Regola che viene additata
come “eretica” dai teologi del papa, anche perché in aperto
contrasto con lo stile “pauperistico” della corte avignonese
(siamo negli anni della cattività).
Per il suo passato da inquisitore,
l'Abate chiede a Gugliemo di investigare sul primo morto (un
miniatore trovato morto in circostanze strane sotto il torrione),
senza fare troppo rumore una volta individuato il colpevole, perchè:
“Spesso infatti è indispensabile provare la colpa di uomini che dovrebbero eccellere per la loro santità, ma in modo da poter eliminare la causa del male senza che il colpevole venga additato al pubblico disprezzo. Se un pastore falla deve essere isolato dagli altri pastori, ma guai se le pecore cominciassero a diffidare dei pastori.”
“Spesso infatti è indispensabile provare la colpa di uomini che dovrebbero eccellere per la loro santità, ma in modo da poter eliminare la causa del male senza che il colpevole venga additato al pubblico disprezzo. Se un pastore falla deve essere isolato dagli altri pastori, ma guai se le pecore cominciassero a diffidare dei pastori.”
Le morti, che inizialmente sembrano
originate da gelosie all'interno del convento, portano tutte
all'interno dello Scriptorium dove i monaci compiono il lavoro
di copiatura dei testi che poi vengono custoditi gelosamente nella
enorme biblioteca il cui accesso è interdetto a tutti. Anche a
Guglielmo, Abbone (l'abate), proibisce l'ingresso alla biblioteca.
Laddove invece convergono tutti i
sospetti: tutte i frati morti, infatti, avevano a che fare con i
libri e di libri proibiti si mormora nello scriptorium. Che cos'è
il “finis africae” di cui uno dei morti scrive su una
pergamena? Come mai tutti i morti hanno le dita nere?
“Ma è una storia di furti e
vendette tra monaci di poca virtù!” esclamai dubbioso. “Intorno
a un libro proibito, Adso, intorno a un libro proibito,” rispose
Guglielmo.
Le indagini sono ostacolate anche
dall'arrivo della delegazione pontificia, di cui fa parte anche
Bernardo Gui, inquisitore come lo era Guglielmo, che per le morti
nell'abbazia, segue la pista dell'eresia. Le morti (dopo il miniatore
trovano la morte anche il traduttore del greco Venanzio e Berengario
l'aiuto bibliotecario), trovano così una facile spiegazione col
demonio, e vengono anche strumentalizzata per far fallire l'incontro
e mettere in cattiva luce i principi dei frati minori.
I diversi piani di lettura: romanzo
giallo, ma anche romanzo storico.
Questo è un libro dove si raccontano
delle radici cristiane dell'Europa: in quell'Europa dove si
scontravano i due grandi poteri. Quello del papato (durante la
cattività avignonese) rappresentato da Giovanni XXII, e il potere
imperiale di Ludovico il Bavaro.
Un Europa dove iniziavano a
consolidarsi, fuori l'impero, i regni che sarebbero poi diventate le
superpotenze mondiali nei secoli successivi.
L'Europa dove stava cambiando il ruolo
delle città, che sottraevano prestigio, commerci, influenza alle
abbazie:
“Noi siamo qua, e laggiù nelle città si agisce… Una volta dalle nostre abbazie si governava il mondo. Oggi lo vedete, l’imperatore ci usa per inviare qui i suoi amici a incontrare i suoi nemici”
Ma siamo anche
nell'Italia dove lo scontro tra papa e impero diventa soprattutto un
gioco politico: un gioco che vede come pedine lo scontro,
all'interno della Chiesa, tra il papa e l'ordine dei Francescani,
sulla povertà della Chiesa stessa. Concetto su cui i frati minori
basano il loro ordine: proprio per questo, i delegati del papa e
quelli dell'ordine francescano si incontrano in questa abbazia, con
l'Abate a fare da mediatore. Ruolo che è dovuto alla capacità
dell'ordine benedettino di saper mediare con l'impero e con i vescovi
delle città (che all'epoca avevano anche un forte potere temporale):
credo che gli abati ritenessero che un eccessivo potere del papa significasse un eccessivo potere dei vescovi e delle città, mentre l’ordine mio aveva conservato intatta la sua potenza nei secoli proprio in lotta col clero secolare e i mercanti cittadini, ponendosi come diretto mediatore tra il cielo e la terra
L'eresia dei
semplici.
Ma ci sono altri
interessi, più terreni, per questa posizione “politica”
dell'impero, la sua vicinanza ai frati minoriti:
molti abati benedettini, per restituire dignità all’impero contro il governo delle città (vescovi e mercanti uniti) accettarono anche di proteggere i francescani spirituali, di cui non condividevano le idee, ma la cui presenza faceva loro comodo, in quanto offriva all’impero buoni sillogismi contro lo strapotere del papa.
Dunque, ci si
chiedo durante l'incontro, è giusto che la Chiesa sia povera?
Lo scontro tra la
chiesa di Avignone e il movimento dei francescani è uno scontro tra
poteri, in cui questi ultimi devono difendersi dalle accuse di
eresia:
“le posizioni sulla povertà di Cristo e della chiesa sostenute dal capitolo di Perugia, sia pure con dovizia di argomenti teologici, sono le stesse sostenute in modo molto meno prudente e con un comportamento meno ortodosso da molti movimenti ereticali. Ci vuole poco a dimostrare che le posizioni di Michele da Cesena, fatte proprie dall’imperatore, sono le stesse di quelle di Ubertino e di Angelo Clareno.”
Negli anni
precedenti, dalle istanze di povertà nate grazie a San Francesco e i
suoi compagni, sono nati movimenti che hanno imposto la povertà col
sangue e la violenza.
Guglielmo da
Baskerville ricorre alla metafora del fiume, per spiegare al giovane
Adso, la storia dei movimenti eretici:
“Pensa a un fiume, denso e maestoso, che corre per miglia e miglia entro argini robusti, e tu sai dove sia il fiume, dove l’argine, dove la terra ferma. A un certo punto il fiume, per stanchezza, perché ha corso per troppo tempo e troppo spazio, perché si avvicina il mare, che annulla in sé tutti i fiumi, non sa più cosa sia. Diventa il proprio delta.”
Fraticelli, pseudo
apostoli, dolciniani (in nome di Fra Dolcino, che guidò un movimento
nel nord Italia al grido di “penitenziagite”): tanti nomi
per indicare movimenti che si sono succeduti in periodi successivi ,
nati tutti dalla medesima istanza di riscatto da una vita di povertà,
“Così ogni movimento eredita i figli degli altri”.
Ma, spiega
Guglielmo, è la povertà che fa motore, da impulso, alla nascita di
queste ribellioni, che mettevano in crisi sia l'autorità papale che
anche quella del potere temporale:
“la ribellione al potere si manifesta come richiamo alla povertà, e si ribellano al potere coloro che sono esclusi dal rapporto col danaro, e ogni richiamo alla povertà suscita tanta tensione e tanti dibattiti,”[..]Per secoli, mentre il papa e l’imperatore si dilaniavano nelle loro diatribe di potere, questi hanno continuato a vivere ai margini, essi i veri lebbrosi,[..]tutti costoro sono stati pronti ad ascoltare ogni predicazione che, richiamandosi alla parola di Cristo, mettesse sotto accusa il comportamento dei cani e dei pastori e promettesse che un giorno essi sarebbero stati puniti. Questo i potenti lo hanno sempre saputo. Riconoscere gli esclusi voleva dire ridurre i loro privilegi, e dunque gli esclusi che si riconoscevano come esclusi andavano bollati quali eretici,
L'eresia
è conseguenza della povertà, non viceversa: “prima
viene la condizione dei semplici, poi l’eresia.”
E dunque, è
importante che l'ordine di San Francesco, una volta viste accettate
le sue posizioni di povertà, si apra ai movimenti
“solo se l’ordine assume su di sé l’ideale della povertà, si potranno riassorbire le sue diramazioni ereticali.”
Ma come in ogni
rivoluzione, c'è qualcuno che è interessato a strumentalizzare
questi fermenti, per fini personali.
Come l'imperatore
che usa i semplici, e i francescani ora, per attaccare il papa.
Come i i signorotti
locali, contro gli ebrei: è Ubertino a ricordare l'antisemitismo
della Chiesa usato per attaccare i beni delle famiglie ebree
“signori non volevano che i pastorelli mettessero a repentaglio i loro beni e fu una grande fortuna per loro che i capi dei pastorelli insinuassero l’idea che molte delle ricchezze stavano presso gli ebrei.”
Come per la disputa
sulla povertà, anche dietro l'uso dei fraticelli c'è una questione
di potere:
“Ma perché taluni li appoggiano?” - chiede Adso
“Perché servono al loro gioco, che di rado riguarda la fede, e più spesso la conquista del potere.”
La giustizia
dell'inquisizione
Ad un certo punto della storia si parla della fretta e della giustizia, con due accezioni diverse.
La fretta degli eretici, nel cercare il raggiungimento del loro
ideale di purezza. Siamo nel mezzo del processo ad un frate che nel
passato è stato a fianco di Fra Dolcino:
“Cosa vi terrorizza di più nella purezza?”, chiede Adso. E Guglielino risponde: “La fretta.”
Ma a seguire, è
Bernardo Gui, a parlare di fretta, riferendosi alla sua visione della
giustizia.
“La giustizia non è mossa dalla fretta, come credevano gli pseudo apostoli, e quella di Dio ha secoli a disposizione. Si proceda piano, e per gradi.”
La
stessa discrepanza la nota Eco, nei commenti a fine libro.
In un
mondo dove è forte il contrasto tra la ricchezza e l'opulenza (anche
a tavola) dell'abbazia e la miseria dei famigli, dei contadini. Dove
il mondo ecclesiastico si perde in inutili discussioni sulla povertà
di Cristo, mentre fuori dalle mura della rocca (come dovesse
difendere un castello signorile e non uomini di Chiesa) la povertà
spinge la gente alla fame. Senza speranza di riscatto: anzi con la
sola prospettiva della lotta. Ed ecco sorgere i falsi predicatori i
quali, facendo leva sul desiderio di giustizia (inteso come una
migliore distribuzione delle ricchezze), riunivano folle sempre più
grandi diseredati.
La
giustizia dei puristi che attorno a loro riunivano folle sempre più
grandi diseredati. Folle che si trasformavano in razziatori, che, in
una falsa orgia mistica, senza alcun controllo, vagavano per il paese
come un'orda incontrollabile. E quella dell'inquisitore: la calma (ma
sarebbe più giusto dire l'arroganza) di chi sa di essere uno
strumento di mantenimento del potere più che un amministratore di
giustizia. Un potere mantenuto con la paura, con gli strumenti della
tortura, con i fuochi delle pire che bruciavano i corpi dei monaci
eretici [ne avevo parlato qui].
Se il
monaco, finito sotto il potere dell'inquisitore, il giudizio è
netto, la donna che con lui è stata trovata non è nemmeno degna di
un processo. E' una strega:
“Quanto alla ragazza, aggiunse, chi fosse era chiaro, e non valeva la pena di interrogarla quella notte. Altre prove l’avrebbero attesa prima di bruciarla come strega. E se strega era, non avrebbe facilmente parlato.”
La strega, una dei semplici che pagano per tutti, è proprio la ragazza senza nome, con cui Adso ha la sua prima e unica esperienza carnale, descritta nelle pagine del libro con queste parole prese dalla Bibbia:
Fontana da giardino, nardo e zafferano, cannella e cinnamomo, mirra e aloe, io mangiavo il mio favo e il mio miele, bevevo il mio vino e il mio latte, chi era, chi era mai costei che si levava come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere vessillifere?
Il rapporto tra
la Chiesa e la scienza.
All'interno della
biblioteca, il sapere viene preservato nel tempo. Ma non è reso
accessibile a tutti: sia per una visione che sosteneva come, al
mondo, non ci fosse altre scoperte da fare. E' già tutto nelle
scritture, e dunque tutto ciò che viene scoperto e che va oltre le
parole dei sapienti, è da considerare eretico.
Guglielmo invece,
citando anche l'amico Ruggero Bacone:
“pensava che la nuova scienza della natura dovesse essere la nuova grande impresa dei dotti per coordinare i bisogni elementari che costituivano anche il coacervo disordinato, ma a suo modo vero e giusto, delle attese dei semplici.”
Le nuove scoperte
scientifiche non sono una magia sovrannaturali, ma un modo per
scoprire e conoscere la natura:
“Ma c’è una magia che è opera divina, là dove la scienza di Dio si manifesta attraverso la scienza dell’uomo, che serve a trasformare la natura, e uno dei cui fini è prolungare la vita stessa dell’uomo.”
Una biblioteca
che protegge e nasconde la conoscenza è dunque un controsenso:
“Questo luogo della sapienza interdetta è difeso da molti e sapientissimi ritrovati. La scienza usata per occultare anziché per illuminare. Non mi piace.”
Il libro
proibito – la paura del riso
Lo scontro tra
Guglielmo e Jorge: Cristo aveva mai riso nella sua vita? Il riso, e
il suo uso nella commedia, hanno un ruolo importante nella storia:
cosa rende tanto terribile il riso e il fatto che Aristotele ne abbia
parlato nel suo libro?
“Definiremo dunque di quale tipo di azioni sia mimesi la commedia, quindi esamineremo i modi in cui la commedia suscita il riso, e questi modi sono i fatti e l’eloquio. Mostreremo come il ridicolo dei fatti nasca dalla assimilazione del migliore al peggiore e viceversa, dal sorprendere ingannando, dall’impossibile e dalla violazione delle leggi di natura,”
I passi del duello
finale tra i due maestri di retorica, Jorge e Gugliemo, all'interno
del Finis Africae, merita di essere citato:
“No, certo. Il riso è la debolezza, la corruzione, l’insipidità della nostra carne. È il sollazzo per il contadino, la licenza per l’avvinazzato, anche la chiesa nella sua saggezza ha concesso il momento della festa, del carnevale, della fiera, questa polluzione diurna che scarica gli umori e trattiene da altri desideri e da altre ambizioni… Ma così il riso rimane cosa vile, difesa per i semplici, mistero dissacrato per la plebe.”
Il riso stesso
mette in crisi la Chiesa, perché, come spiega Jorge
“la chiesa può sopportare l’eresia dei semplici, i quali si condannano da soli, rovinati dalla loro ignoranza. La incolta dissennatezza di Dolcino e dei suoi pari non porrà mai in crisi l’ordine divino. Predicherà violenza e morirà di violenza, non lascerà traccia, si consumerà così come si consuma il carnevale,”[..]Ma la legge si impone attraverso la paura, il cui nome vero è timor di Dio. E da questo libro potrebbe partire la scintilla luciferina che appiccherebbe al mondo intero un nuovo incendio:[..]Da questo libro deriverebbe il pensiero che l’uomo può volere sulla terra (come suggeriva il tuo Bacone a proposito della magia naturale) l’abbondanza stessa del paese di Cuccagna. Ma è questo che non dobbiamo e non possiamo avere.[..]Non ci fa paura la bestemmia, perché anche nella maledizione di Dio riconosciamo l’immagine stranita dell’ira di Geova che maledice gli angeli ribelli. Non ci fa paura la violenza di chi uccide i pastori in nome di qualche fantasia di rinnovamento, perché è la stessa violenza dei principi che cercarono di distruggere il popolo di Israele.[..]Ma se un giorno – e non più come eccezione plebea, ma come ascesi del dotto, consegnata alla testimonianza indistruttibile della scrittura – si facesse accettabile, e apparisse nobile, e liberale, e non più meccanica, l’arte dell’irrisione, se un giorno qualcuno potesse dire (ed essere ascoltato): io rido dell’Incarnazione… allora non avremmo armi per arrestare quella bestemmia, perché essa chiamerebbe a raccolta le forze oscure della materia corporale, quelle che si affermano nel peto e nel rutto, e il rutto e il peto si arrogherebbero il diritto che è solo dello spirito, di spirare dove vuole!”
Eccoli dunque, i
confini della Chiesa: sulla scienza e sulla possibilità di riscatto
e sollievo del povero qui in terra. Senza la paura, crolla tutto il
castello su cui si regge il potere sui semplici, sulla massa dei
poveri, come gli agricoltori che portavano le messe dentro la ricca
abbazia:
“Ci sono dei confini al di là dei quali non è permesso andare. Dio ha voluto che su certe carte fosse scritto: hic sunt leones.”
“Dio ha creato anche i mostri. Anche te. E di tutto vuole che si parli.”
E Guglielmo
commenta così con Adso:
“Jorge temeva il secondo libro di Aristotele perché esso forse insegnava davvero a deformare il volto di ogni verità, affinché non diventassimo schiavi dei nostri fantasmi. Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità.”
Il paragone coi
tempi moderni.
Azzardiamo un confronto coi tempi moderni? Il libro fu scritto nei
70, prendendo spunto da lavori di Eco degli anni precedenti. Anni di
contestazione, di tensioni, da parte di movimenti staccatesi dai
partiti di sinistra, per chiedere un rinnovamento dello stato, nelle
università, nelle scuole, dentro la magistratura, nella polizia.
Gli eretici di fra Dolcino, staccatisi dal movimento di S Francesco, come gli “eretici” dei vari gruppi armati che insanguinarono gli anni '70?
Gli eretici di fra Dolcino, staccatisi dal movimento di S Francesco, come gli “eretici” dei vari gruppi armati che insanguinarono gli anni '70?
Come i “compagni
che sbagliano”, nati all'interno della critica al sistema e
alle diseguaglianze che generano povertà e violenza, per diventare
violenza essi stessi?
Ma si dovrebbe
parlare anche dell'ostinazione (o meglio, l'ottusità) nel difendere
l'abbazia dal nuovo, dai progressi della scienza, dalle nuove idee.
Il chiudere le porte dell'abbazia da un mondo dove si parlare volgare
e non latino.
Buona lettura!
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