28 febbraio 2013

Sono un uomo morto di Federico Monga e Rocco Varacalli

"Parla il pentito che ha svelato i segreti della ‘ndrangheta al Nord"

Rocco Varacalli è il pentito che ha raccontato della ndrangheta nel nord est, in particolare nel Piemonte e nella Liguria.
«Sono stato affiliato per dodici anni, dal novembre del 1994 al novembre del 2006, quando ho deciso di collaborare».
La sua testimonianza, dopo la decisione di collaborare con la giustizia (e non di pentirsi, come chiarisce a fine libro) nel 2006, è stata il fulcro dell'operazione Minotauro condotta dalla Dda della Procura di Torino, contro le ndrine in Piemonte "Il grande botto è avvenuto la notte dell’8 giugno 2011. Dopo cinque anni di indagini, i carabinieri hanno arrestato 150 persone".

Genesi di uno ndranghetista.
Per la sua natura familistica (tutti gli affiliati di una ndrina appartengono alle stesse famiglie), non è stato fin'ora facile per gli investigatori conoscere la struttura della ndrangheta dal suo interno: per il grado parentela è difficile che uno dei suoi membri si penta, mettendo in pericolo i familiari.
E' proprio questo che rende il racconto di Varacalli ancora più prezioso: un racconto che parte dalla sua gioventù nel paese di Natile, all'interno di una famiglia con una storia di ndrangheta alle spalle (i Pipicella, i genitori della madre).
Quali le caratteristiche che la ndrangheta cerca in un giovane?
"La ’ndrangheta inizia ad apprezzarti se nella tua famiglia nessuno ha mai sporto denunce e se, fin da ragazzino, ti tieni lontano dalle forze dell’ordine".

Il suo ingresso nel mondo dello spaccio avvenne, dopo il suo trasferimento a Torino, quasi per caso: nascose a casa sua della droga di un altro trafficante, in cambio di una cifra pari al suo stipendio di manovale di diversi mesi.
Il trafficante gli "disse che lavorare non serve a nulla quando in due o tre giorni ci si può mettere in tasca un sacco di soldi".
Tanti soldi per un lavoro facile: "Poche ore di fastidio, e il resto della giornata a mia completa disposizione. Potevo smettere di lavorare e passare la serata fra bar e ristoranti senza versare una goccia di sudore."

La ramificazione della ndrangheta al nord.
Nella seconda parte, Rocco Varacalli racconta di come si sono insediate le famiglie calabresi, dei rapporti tra le locali (gli insediamenti criminali) che si formano al nord e le cosche del sud (come la mamma di San Luca).
La struttura della ndrangheta al nord

Alcuni pretesti di lettura dal libro:
"La ’ndrangheta, quella vera, ti insegna che non bisogna fare rumore. Che non si deve dare nell’occhio. Quindi niente trucchi, tanto la droga la trovavo a fiumi".

"La ’ndrangheta ha una struttura molto articolata, ferrea, con ruoli, gradi, poteri ben precisi che si ottengono attraverso riti consolidati nel corso del tempo".

"Gli ’ndranghetisti fanno parte dell’«onorata società»: sono dunque uomini d’onore e si distinguono da tutti gli altri, che sono chiamati «contrasti» o «carduni»."

"La struttura organizzativa di base è la «locale». Per costituirla servono almeno 49 affiliati".

"La locale più importante, detta anche «mamma», è a San Luca, in provincia di Reggio Calabria, dove si trova il santuario della Madonna di Polsi"

"Con il termine ’ndrina si intende la cosca, ovvero la famiglia di appartenenza del mafioso. Quella di capo ’ndrina o capofamiglia è una carica che generalmente si tramanda di padre in figlio."

"La «santa» o società maggiore è la vera e propria élite dell’organizzazione mafiosa, preclusa agli affiliati di grado inferiore. Ne fanno parte il «santista», il «vangelista»"

Questa struttura si è riproposta quasi uguale anche al nord: nell'hinterland milanese (come hanno raccontato Milosa e Barbacetto nel libro "Le mani sulla città"). Ma anche in Piemone e in Liguria:
"«L’organizzazione della ’ndrangheta a Torino replica in tutto quella della nostra terra madre. Ci sono le famiglie, le locali e il “crimine”, la cellula armata dell’organizzazione."
Come in Lombardia, anche in Piemonte si cercò di costruire una struttura chiamata "camera di controllo":
"Catalano aveva una dote superiore a quella di padrino e, com’è emerso dalle indagini, doveva diventare responsabile della nascente camera di controllo, una specie di cupola. «Una novità per l’organizzazione della ’ndrangheta, che è storicamente strutturata in linea orizzontale e non in modo verticistico. Invece negli ultimi anni si era spesso parlato di istituire una sorta di consiglio di amministrazione, sul modello della mafia siciliana, composto dai boss e dagli esponenti più importanti delle famiglie calabresi".
Cocaina e cemento.
Altro capitolo importante, il business delle costruzioni, cui con le cosche hanno potuto riciclare i guadagni del traffico di droga.
Spiega Varacalli:
«Grazie al suo potere fondato sulla corruzione e sul terrore, la ’ndrangheta ha riciclato decine di milioni di euro nei grandi cantieri del Nord. Le ditte calabresi hanno operato in tutti i business più importanti: la ferrovia ad alta velocità e la nuova autostrada tra Torino e Milano, le Olimpiadi invernali del 2006, il porto di Imperia, solo per citare gli affari più clamorosi.»
[..]
«i soldi sporchi si usano per pagare il materiale, i dipendenti e i macchinari, poi ci si fa pagare il lavoro con denaro pulito direttamente sul conto corrente. Basta poco e si perdono le tracce. E il gioco è fatto.»
Tutto questo succede nonostante i controlli (almeno sulla carta): "È nel labirinto dei subappalti e delle gare al massimo ribasso che s’insinua la criminalità organizzata".

In che modo la ndrangheta è riuscita ad entrare in questo settore:
"Il controllo capillare del territorio è fondamentale, così come i contatti con l’amministrazione pubblica: politici e tecnici collusi fanno vincere le gare di appalto a chi di dovere e poi chiudono tutti e due gli occhi quando si tratta di andare a spulciare"
Rocco Varacalli cita un episodio in particolare: l'inaugurazione del centro commerciale a Grugliasco, costruito coi soldi della criminalità e inaugurato tra gli altri anche da Silvio Berlusconi prima della discesa in campo:
«All’inaugurazione del centro commerciale Le Gru di Grugliasco, il 9 dicembre 1993, c’erano i carabinieri in alta uniforme, il sindaco Domenico Bernardi del Pds con la fascia tricolore, una sfilata di politici e persino il parroco con l’acqua santa. Silvio Berlusconi è arrivato in elicottero, accompagnato da Fedele Confalonieri.»
[..]
«Alle tangenti – sosteneva il Cavaliere – siamo estranei come mentalità, come sistema. Questo vale per me e per tutti i miei collaboratori. Le difficoltà con gli enti pubblici, siano Comuni, Regioni o Stato, nel campo delle concessioni, sono una realtà in tutto il paese. Dove ci sono i vincoli si annida la possibilità della corruzione. Noi abbiamo fatto tutto alla luce del sole.

Ad interessare alle famiglie c'è anche l'affare del TAV in Val di Susa (come anche le olimpiadi invernali a Torino negli anni precedenti), i cui "binari dovranno passare dalla ’ndrangheta":
"«Un altro suo grande business è stata la linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Milano, soprattutto nel settore del movimento terra.» La Tav fa gola alla ’ndrangheta moderna"
Su questo affare le cosche si sono mosse con rapidità:
"I tempi infiniti della Salerno-Reggio Calabria appartengono ormai al passato. E lungo il tragitto dove passerà il treno superveloce tra Torino e Lione le famiglie sono molto ben piazzate. «Pietro Pipicella, affiliato alla locale di Natile di Careri a Torino, ha lavorato nei cantieri della Tav.» Il tracciato, secondo il progetto, dovrebbe passare tra i comuni di Chiusa San Michele, Villardora e Sant’Ambrogio di Susa. Siamo a un tiro di schioppo da un locale dove avvenivano i riti della ’ndrangheta per il conferimento delle doti. Pochi chilometri più in là, a Rivoli, hanno comandato i fratelli Crea e Giorgio De Masi prima, Bruno Pollifroni e Gaetano Cortese poi. Uomini vicini alla ’ndrina dei Romeo di San Luca. Orbassano, altro centro che sarà interessato dalla Tav, è stato il regno di Giuseppe Catalano. Nella vicina Grugliasco risiedeva Francesco Tamburi, caposocietà della locale di Siderno a Torino"

L'aggancio con le amministrazioni pubbliche: appalti e voto di scambio
La ndrangheta non sarebbe arrivata dove è adesso (con i suoi miliardi) se non avesse trovato terreno fertile nelle amministrazioni locali e nei professionisti (avvocati, ingegneri, commercialisti):
«Per ripulire i soldi la ’ndrangheta non è in grado di fare da sola. Occorrono agganci con i politici e con i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in particolare degli uffici tecnici. Ma per certe operazioni bisogna rivolgersi a persone che abbiano competenze specifiche e molto raffinate. A veri e propri professionisti della contabilità e dell’ingegneria societaria.»
L'inchiesta Minotauro ha svelato questi preoccupanti rapporti tra esponenti delle famiglie calabrasi, con politici locali:
"ha fatto emergere una scomoda verità ed è stata accolta dalla società civile sabauda e dalla sua classe dirigente come un fulmine a ciel sereno. Il mondo politico ha reagito chiudendosi a riccio: destra, sinistra e centro hanno commentato l’inchiesta con il solito, formale elogio della magistratura e delle forze di polizia."
Giancarlo Caselli, nella conferenza stampa dopo gli arresti ha dovuto ammettere:
«È stato pesante scoprire che nella nostra città ci siano imprenditori, politici e persone apparentemente normali disposte a trattare con le cosche della ’ndrangheta, la mafia oggi più pericolosa»
Pericolosa perché gente armata e capace di sparare e uccidere
"Abbiamo Torino in mano, noi! Se decidono di sparare a qualcuno devono prima rendere conto a noi."
Giacomo Lo Surdo, uomo di fiducia di Adolfo Crea, il capo a Torino del “crimine” (la cellula armata della ’ndrangheta), si vanta con la fidanzata del potere del suo gruppo di fuoco.

Pericolosa perché tramite il voto di scambio condizionano il risultato delle elezioni:
«La ’ndrangheta ha bisogno della politica e viceversa. Il rapporto è molto stretto in Calabria, dove la mafia controlla interi consigli comunali e ha sindaci tra i suoi affiliati. Ma anche al Nord il legame si sta conformando al modello dell’Aspromonte. Lo scambio è molto semplice: gli affiliati controllano pacchetti di voti, soprattutto tra i loro conterranei emigrati, e sono disposti a metterli sul piatto. Ovviamente, i politici restituiscono il favore distribuendo lavori pubblici, appalti e affari. Così gli ’ndranghetisti possono riciclare il denaro del traffico di droga, delle estorsioni e del gioco d’azzardo clandestino»
Condizionamento che non ha pregiudizi politici:
«I mammasantissima non fanno differenze tra destra, sinistra o centro. Non hanno alcuna tendenza politica, sono interessati solo a fare soldi e a ripulire il denaro. Ci sono capibastone in grado di controllare migliaia di voti. Alla vigilia delle elezioni i candidati sanno benissimo a quali porte bussare. In Piemonte il giochetto va avanti da quarant’anni, sia nei paesi più piccoli sia nel capoluogo.»
E che possono arrivare molto in alto, grazie alla "Santa":
«La ’ndrangheta ha rapporti pure con la massoneria, che cura i rapporti ad alto livello con parti deviate dello Stato nelle forze dell’ordine e nelle istituzioni. Il capo della locale di Natile, Salvatore Giugno, è iscritto alla massoneria ed è stato per dieci anni vicesindaco. Ha un figlio primario all’ospedale di Locri»
Anche le elezioni di Fassino a sindaco di Torino sono state toccate da questa inchiesta (sebbene Fassino non sia stato in alcun modo indagato).
"Diciamo a questi che conosciamo che facciamo votare Fassino."
Salvatore De Masi detto “Giorgio”, capo della ’ndrangheta a Rivoli, al telefono con il deputato Domenico Lucà del Pd che gli chiede appoggio per la candidatura di Fassino alla carica di sindaco di Torino, 21 febbraio 2011.

Dalla telefonata intercettata si capice che Lucà si preoccupa di contattare direttamente De Masi per chiedere il suo appoggio e verificare la possibilità di raccogliere voti per Fassino tra alcuni non precisati «amici». De Masi si mette subito «a disposizione».
"La trascrizione della telefonata, registrata il 21 febbraio 2011 dai carabinieri, rivela l’assiduità di rapporti tra Lucà e De Masi. «Io sto
sostenendo Fassino […]. Volevo chiederti se magari… Perché la partita è molto dura con Gariglio» dice Lucà. «Eh, vuoi una mano» replica De Masi, e poi promette: «Diciamo a questi che conosciamo che facciamo votare Fassino»".

Ma ci sono altri casi:
"lo dimostra la storia dell’onorevole Gaetano Porcino, iscritto fino al novembre del 2012 all’Italia dei valori, il partito che più di ogni altro ha fatto della lotta al malaffare la sua bandiera [..]
Porcino si è imbattuto almeno due volte in ’ndranghetisti di chiara fama. Gli incontri, sia chiaro, non prefigurano nessun reato"

Però, come scrive sconsolato il gip antimafia Giuseppe Gennari, «alla fine – sarà uno sfortunato caso – sono sempre gli stessi politici a frequentare i mafiosi».

Nel libro Varacalli parla di un incontro elettorale con l’imprenditore Nevio Coral, ex sindaco di Leinì, a caccia di voti per il figlio Ivano.

Per gli inquirenti, Coral: era perfettamente consapevole «dello spessore criminale dei suoi interlocutori». L’intreccio con la consorteria mafiosa è anche societario.

La vita da collaboratore.
Infine, la decisione della collaborazione con la giustizia, dopo che la stessa ndrangheta lo aveva abbandonato nelle mani di una banda di albanesi: che fine avevano fatto i valori della ndrangheta secondo cui ci si protegge sempre all'interno della stessa famiglia?

Era l'ottobre 2006:
“Mi chiamo Rocco Varacalli, da quindici anni sono affiliato alla ’ndrangheta, ho trafficato quintali di droga, posso svelare omicidi, estorsioni, traffici loschi con l’economia e la politica.”
Lettera con cui Rocco Varacalli manifesta al pm di Torino Roberto Sparagna la sua intenzione di collaborare con la giustizia, 17 ottobre 2006.

Dopo il pentimento l'abbandono della sua famiglia, della moglie e delle figlie. Le accuse e le minacce, anche sui giornali:
“Non siamo più la sua famiglia. Non è degno, come non lo è mai stato, di dire che fa parte di una famiglia unita, pulita e onesta come la nostra.”
Lettera di alcuni familiari di Rocco Varacalli pubblicata sul quotidiano “Calabria Ora” il 22 aprile 2010, dopo le sue rivelazioni al processo Stupor Mundi sul ruolo delle cosche calabresi nel traffico internazionale di droga.

Ma nonostante alcune altre traversie (come il coinvolgimento nell'omicidio di un pastore in Sardegna) , Rocco Varacalli è rimasto fermo nelle sue scelte: "So bene che posso essere ucciso da un momento all’altro. La ’ndrangheta non perdona. Ma questa è la strada che ho scelto."

Completano il libro due capitolo: il primo riassume la cronaca dell'inchiesta Minotauro del 2011-2012. Il secondo è un compendio sulla legge dei pentiti, per sfatare tutti i luoghi comuni a riguardo.

La scheda del libro su Chiarelettere.
Il link per ordinare il libro su ibs.

L'intervista a Rocco Varacalli durante la puntata di Presa diretta "Mafia al nord".

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