Commentando la storia delle mazzette (presunte) internazionali di Finmeccanica con degli amici, spiegavano saggiamente che i magistrati stanno sbagliando.
Ma come, ingenuo, non lo sai che tutti pagano le tangenti?
Se le mazzette non le dava Finmeccanica, la avrebbe pagate un altra azienda .. meglio noi che loro.
E, pure sulla lotta al terrorismo, mica possiamo contrastare Al Qaeda senza sporcarci le mani ..
Di questo passo andremo a sdoganare anche la schiavitù, perché dobbiamo fare concorrenza con la Cina e le altre nazioni dove il costo del lavoro è più basso (e i diritti di chi lavoro non esistono).
Leggetevi l'articolo di Bruno Tinti su Il fatto:
Quelli che la corruzione è inevitabile
E le mazzette sarebbero un interesse nazionale?
di Bruno Tinti
Certamente per via di B. (ma anche di tanti altri) l’Italia, da patria del diritto ne è diventata la tomba. Prova di ciò non sono solo le leggi vergogna che B. si è fatto per non andare in prigione, sulla quali si è sviluppato un dibattito giuridico surreale, quasi fossero cosa seria e non grimaldelli apri (anzi chiudi preventivamente) cella; in fin dei conti erano la reazione tipica di ogni delinquente (nel senso etimologico: persona che delinque; e B. è stato ritenuto 7 volte colpevole ma prescritto) che cerca di farla franca, una patologia ancora tollerabile per un Paese civile. È il diffuso atteggiamento della politica e dei cittadini: quando l’applicazione della legge ha costi economici, sociali e politici molto elevati, la sua disapplicazione pare soluzione non solo accettabile ma doverosa.
Diritto e opportunità
Che dire degli omicidi di Ilva legalizzati per legge? Non si può certo mettere sulla strada 20.000 famiglie. E delle perplessità sulle condanne di Pollari e degli altri funzionari che hanno collaborato con la Cia? A che serve un servizio segreto che non può rapire o uccidere supposti nemici dello Stato; mica si possono fare processi a spie e terroristi internazionali; e, soprattutto, mica si può rifiutare l’aiuto al potentissimo alleato. E ora, delle tangenti Finmeccanica e Saipem? Non si può rinunciare ad appalti miliardari; se non si pagano intermediari e funzionari si è fuori dal mercato.
Che il codice penale contenga norme che considerano reato tali comportamenti; e che la Costituzione (art. 112) prescriva l’obbligatorietà dell’azione penale non imbarazza questi saccenti maîtres à penser. Per costoro il diritto è gerarchicamente subordinato all’opportunità: se oggi conviene lasciamo perdere; ma domani, oh domani, saremo inflessibili (forse).
Per stare tra i Paesi civili
Restiamo a Finmeccanica e Saipem. La corruzione internazionale è punita dall’art. 322 bis del codice penale, in applicazione della Convenzione Ocse (17/12/97) sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali. Non è l’Italia, dunque, che una bella mattina ha deciso di collocarsi tra i Paesi civili con una nuova legge in questo settore (e già basterebbe): è la Comunità internazionale che ha ritenuto di “reagire a pratiche diffuse distorsive della concorrenza internazionale” (parole del ministero della Giustizia italiano, pensate un po’). Sicché non processare Orsi & C. significherebbe uscire da questa Comunità.
Ma molti Paesi hanno fatto finta di aderire alla Convenzione Ocse; e, più in generale, fanno solo finta di applicare leggi giustamente severe in materia di corruzione e anche di diritti umani e inquinamento. Perché, quando serve, utilizzano la discrezionalità dell’azione penale, prevista nel loro ordinamento e non nel nostro. Così obiettano i difensori dell’opportunità contingente; e dunque – dicono – altro che tutela della concorrenza internazionale: è l’Italia a essere emarginata, costretta a lottare con le mani legate. Non si tratta di argomento da prendere alla leggera; però bisogna riflettere sulle sue conseguenze, se attuato. Prima di tutto l’Italia non è gli Stati Uniti: in quel Paese l’abuso del potere di impedire un processo penale sarebbe immediatamente svergognato dai media e causerebbe la rovina dell’uomo politico che ne avesse abusato e perfino dell’intero Governo.
Da noi ci si è baloccati per anni con la legge bavaglio, in modo da impedire il controllo dell’informazione sul malaffare della politica. Tutto indica che l’abolizione della obbligatorietà dell’azione penale sarebbe sfruttata da B&C (i C apparterrebbero trasversalmente all’intera classe politica) per impedire il controllo di legalità sulle loro malefatte: corruzione, concussione, peculato, frode fiscale, falso in bilancio, diverrebbero, dall’oggi al domani, reati non perseguibili.
Guardare da un’altra parte
Ma c’è di più: la discrezionalità dell’azione penale può servire a coprire le più terribili violazioni dei diritti umani. Basta pensare al processo Abu Omar, dove si è opposto il segreto di Stato per evitare l’accertamento dei reati commessi dalla Cia e dai nostri Servizi. Cosa ci differenzierà a quel punto dalla Russia di Putin e dagli altri paesi canaglia, dove la gente viene ammazzata e incarcerata dalla polizia segreta? E del resto la vicenda Ilva non dimostra la stessa indifferenza per il diritto alla salute della gente di Taranto? Real politik, opportunità contingente, la legge ridotta a ostacolo da superare.
Non nego che questa visione possa sedurre molte persone che vedrebbero con favore la trasformazione dell’Italia in una grande Cayman, in una nuova Svizzera, dove l’afflusso di denaro sporco, anche sporchissimo (riciclaggio, sequestro di persona, traffico di armi, droga e persone) ci renderebbe ricchi e ci permetterebbe il pagamento di tangenti senza nessuna difficoltà. Un nuovo tipo di Stato canaglia: terrorismo finanziario ed economico in luogo di quello militare. E chi non vuole accettare il nuovo corso se ne vada.
Chissà quanti si opporrebbero a questa illuminata visione. Non credo molti: tanti studenti mi guardavano senza comprendere quando cercavo di trasmettere loro l’insegnamento del mio maestro (Barbero, Manuale di Diritto Civile): “Se al mondo ci fossero solo due persone e queste fossero San Francesco e Santa Chiara, il diritto starebbe tra loro a indicare quello che è giusto”.
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