Lascia una sensazione angosciante, questo
film girato e interpretato da Luigi Lo Cascio: è la storia di un
cittadino ideale, che si è trasferito a Siena, la città perfetta
per voler raggiungere i propri ideali ecologisti.
Ha lasciato Palermo per Siena dove, nella sua casa, vuole
dimostrare che si può vivere un anno senza luce e acqua corrente.
L'acqua la raccoglie dal cielo, la corrente da suoi macchinari
ingegnosi.
Michele Grassadonia (Luigi Lo Cascio) è uno che non
transige sulle regole, sui suoi principi ecologisti: niente auto,
niente sprechi di luce, riscaldamento regolato al giusto.
Un giorno la sua vita cambia: in una sera di pioggia deve
raggiungere in auto una sua collega ad una festa, quando tampona
un'ombra, un qualcosa che poi fugge. Nel seguito del tamponamento va
a sbattere contro un'altra auto.
Proseguendo, trova sul bordo della strada un corpo riverso per
terra: si ferma a soccorrerlo e chiama i soccorsi. Ma le tracce del
precedente incidente convincono gli agenti della stradale che sia lui
l'investitore e che si sia inventato la storia (poco credibile)
dell'ombra e dell'auto tamponata.
Qui inizia un processo Kafkiano: Michele è stritolato dentro un
meccanismo giudiziario che non comprende (come tutti i cittadini
ideali non ha mai avuto a che fare con la giustizia). Gli viene
sequestrata l'auto, riceve l'avviso di garanzia e la notifica per
presentarsi di fronte al procuratore della repubblica.
La persona
investita è un uomo importante della piccola città e la notizia
dell'incidente ha una certa eco anche sulla stampa.
L'avvocato scelto per difenderlo gli consiglia di non aprire
bocca. Per prendere tempo, per capire che idea si è fatto il
procuratore.
Ma Michele è, appunto, un cittadino ideale che vuole chiarire
tutto e subito: non ha investito nessuno e non ha niente da
nascondere. Ma la sua storie, le sue fissazioni (sui rifiuti, sulle
auto), producono sul magistrato un effetto contrario. Lo convincono
che sia una persona disturbata, che vuole prendere in giro gli
inquirenti.
Deve affittare casa sua e dormire in cantina, per poter mettersi
da parte i soldi per un buon avvocato. Perché un avvocato costa,
anche se sei innocente. L'inquilina è una studentessa con la
passione del disegno e che tappezza la camera con uno studio sulla
cattura dei predatori.
Il coccodrillo, il ragno, la gazzella che scappa …
Michele si rivolge allora al miglior avvocato della città, che
però assumerà l'incarico solo se ci sarà il morto (perché non può
abbassarsi ad un banale caso di incidente).
Costui non è interessato alla verità, ciò che sta a cuore
invece al protagonista. “La natura ventosa dei fatti rende
impossibile che la vita ritorni a ciò che era stata, si può solo
raccontarla”, spiega a Michele, non contano i fatti reali (perché
non possiamo ritornare al passato), ma come li si racconta. Come li
si presenta in aula, davanti al magistrato.
Quando Michele rifiuta il patteggiamento proposto dal famoso
avvocato, questo si stupisce: “il cervello degli uomini va sempre
in cerca della vittoria non della verità”. La vittoria, anche
raccontando delle bugie. E questo Michele, il cittadino ideale,
sdegnato, non può accettarlo.
Durante l'udienza di fronte al GUP, avvocato e procuratore
scherzano, ridono, come se fossero amici da lunga data. Che male c'è
in fondo ..
Lui, viene rinviato a giudizio ed è pure redarguito dal suo
difensore, per la sua ostinazione verso una verità cui nessuno
crede. Una verità cui nessuno importa.
Sarà la madre, che da Palermo viene a trovarlo, che lo convincerà
a rivolgersi all'avvocato palermitano Scalici (Luigi Maria
Burruano): aveva difeso il padre, anni prima, per una questione di
debiti, lasciati poi alla famiglia.
L'affannosa ricerca della verità lo porta a scoprire un indizio
importante, un quasi testimone, su quella sera: ma forse è ancora
troppo poco per convincere i giudici. Scalici lo tranquillizza: è
l'avvocato ideale di una giustizia non ideale. Quella per cui non
importano fatti e verità.
Importano le parole: se quello che in mano sono solo poche parole
“in bianco e nero”, “è l'avvocato che farà uscire
dal mondo grigio delle parole, il colore”.
In che modo? Andando a scavare
dentro la vita dei personaggi, perché “tutti sono fatti
di una porzione di fango, per questo si deve cercare nella vita delle
persone .. l'indagine è come un temporale, dove alla fine il fango
che scende arriva ad intasare i tombini”.Il
finale del film ricorda il celebre racconto di Sciascia “Una
storia semplice”: mentre
Michele, nel palazzo di Giustizia di Palermo osserva degli impiegati
che si lanciano dei faldoni con dentro atti giudiziari di altre
persone (metafora di una giustizia che gioca con la vita delle
persone), riecheggiano nella sua mente le parole del suo nuovo
avvocato. “Ma lei, lo rifarebbe?”.
Lo rifarebbe di fermarsi a
soccorrere una persona, lo rifarebbe di andare dal magistrato a
raccontare tutto e a non volersi inventare una storia credibile?
Lo rifarebbe a volersi fidare di
un sistema che ti lascia solo, dove ogni tua parola, ogni tuo
principio possono essere riletti in forma di fissazioni, manie?
“- Ha tante piccole manie Lei, eh?
– Lei sta entrando nel
merito di come sono fatto.”
Dove
la giustizia sembra essere fatta più per i potenti che non per i
cittadini ideali?
Il sito del film, la pagina Facebook e l'intervista all'attore regista
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