Date a Cesare ciò che è di Cesare ...
Ci sono gli stipendi peri 200 cappellani militari, oltre 10 milioni di euro l’anno, e le relative pensioni commisurate al grado: a fine servizio i generali di corpo d’armata, come il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, maturano quasi 4 mila euro mensili, per un totale di 7 milioni l’anno di spesa. In totale la previdenza pagata dallo Stato italiano ai dipendenti del Vaticano, ai loro familiari e al clero (tramite il Fondo Inps apposito, che non è stato toccato dalla riforma Monti-Fornero e ha un passivo da 2,2 miliardi) ammonta a 85 milioni l’anno.C’È L’ESENZIONE da qualsiasi tributo verso lo Stato di dignitari e salariati del Vaticano attivi nel territorio italiano, e l’esenzione fiscale e doganale, di sapore medievale, di cui beneficia l’organizzazione cavalleresca, dipendente dalla Santa Sede, Sovrano militare Ordine di Malta: in tutto fanno mancati introiti per il fisco italiano di 45 milioni l’anno. Ci sono 15 milioni di contributi all’editoria e alla stampa cattoliche, compreso il credito d’imposta del 10% sull’acquisto della carta, contributi straordinari come i 5 milioni spesi per la beatificazione di Karol Wojtyla a Roma e i 25 milioni per l’elicottero messo a disposizione di papa BenedettoXVI.MA CI SONO anche voci minori, per quanto curiose, come il milione e mezzo di euro speso per cerimonie di culto in orario di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, i 426 mila euro stanziati dal ministero dell’Istruzione, come fondi per la ricerca scientifica, in favore della Fondazione Scienze Religiose Giovanni XXIII, o il canone Rai ridotto agli apparecchi degli istituti religiosi, sconto che vale un danno erariale di circa 370.000 euro.Sono solo alcune delle oltre 50 voci che, con meticolosa di ligenza, ha messo insieme l’Uaar, unione degli atei e agnostici razionalisti, per calcolare quanto costa la Chiesa ai contribuenti italiani. La cifra complessiva che ne viene fuori è colossale: 6,4 miliardidi euro l’anno. Più di quanto basterebbe per evitare i tagli annui alle Regioni nel triennio 2017-2019 stabiliti nella manovra finanziaria.LE CIFRE, spiega l’Uaar, sono in molti casi delle stime: “Nessuno è al corrente della precisa entità dei fondi pubblici e delle esenzioni di cui beneficia la Chiesa cattolica nelle sue articolazioni. Non la rendono nota né la Conferenza episcopale italiana, né lo Stato”, spiega Raffaele Càrcano segretario dell’associazione, che conta tra i suoi soci il matematico Piergiorgio Odifreddi, l’etologo Danilo Mainardi e il sociologo Valerio Pocar, “ma abbiamo cercato di fare le stime più attendibili e accurate possibile, citando le fonti e utilizzando metodologie trasparenti”.Le voci più consistenti nell’elenco sono anche quelle su cui si dibatte da tempo: l’otto per mille dell’Irpef, sulla cui gestione, poco trasparente, si è pronunciata nei giorni scorsi anche la Corte dei conti, i finanziamenti alle scuole cattoliche e le imposte immobiliari. Dal versamento dell’otto per mille del gettito Irpef (di cui circa il 60% proveniente da scelte non espresse dai contribuenti) arriva nelle casse della Chiesa quasi un miliardo. Da notare che molto meno di un terzo di questo fiume di denaro è destinato ad attività assistenziali e caritatevoli.PER L’INSEGNAME NTO della religione cattolica nelle scuole, invece, nel 2015 si sono stanziati 1,2 miliardi; mentre 900 milioni sono stati stanziati in favore delle scuole cattoliche, compresi i contributi degli enti locali e una quota dei 66 milioni di detrazioni previsti dalla riforma della “buonascuola” per le scuole paritarie.C’È INFINE il capitolo delle imposte sugli immobili. Il patrimonio immobiliare della Chiesa è stimato in 2.000 miliardi di euro. Di oltre 600 milioni è la stima del mancato pagamento di imposte annue sulle proprietà in cui si esercitano attività commerciali. Solo a Roma è della Chiesa un albergo su quattro e ad evadere le imposte, secondo un conteggio fatto per la prima volta dalla giunta Marino (iniziativa che non ha contribuito alla popolarità del sindaco presso la Santa Sede) sono il 40% delle strutture. L’arretrato per tali beni, tra Ici, Imu, Tasi e Tari, secondo l’Agenzia delle Entrate nella Capitale ammonta a 19 milioni di euro
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