Sto leggendo il libro di Gianluigi Nuzzi, Via Crucis: l'autore l'ha scritto utilizzando dei documenti usciti dal Cosea, l'ente istituito da papa Francesco nel 2013 per un'analisi approfondita delle finanze del Vaticano.
Documenti segreti, ma che sono arrivati al giornalista da delle fonti interne al Vaticano: non si tratta dunque di furto, come in tanti stanno scrivendo.
L'accusa, per i due giornalisti ora a processo, è aver divulgato notizie riservate che mettono a rischio la sicurezza.
In Italia (e in tutte le democrazie) oltre all'articolo 21, esistono sentenze che garantiscono il lavoro del giornalista: se la divulgazione di un atto segreto aveva funzione di informare l'opinione pubblica, questo fatto prevale sul resto.
In Vaticano tutto questo non c'è.
E non c'è anche quanto racconta Nuzzi in "Via crucis": non esiste un catasto degli immobili, alcuni sono affitati a prezzi di favore (come un palazzo a Banca Intesa), altri a canone zero.
Mentre ci sono beni acquistati dal Governatorato che poi non risultano.
C'è la storia dei beni acquistati senza IVA da dipendenti e cittadini all'interno piccolo Stato, peccato che la tessera (per avere questo sconto) sia posseduta da 41mila persone.
C'è la storia dell'Obolo di San Pietro che anziché finire per opere di bene serviva a pagare le spese correnti della curia.
Insomma, è il racconto della via Crucis che sta portando avanti il papa e dalla Commissione referente sulle strutture economiche e amministrative della Santa sede.
In tutto questo, perché prendersela col dito e non con la luna?
Ovvero i cardinali nei palazzi da centinaia di metri quadri, i conti in rosso, il buco finanziario per le pensioni ..
Forse tutto ciò (il processo, la probabile condanna ai giornalisti) serve solo per una prova di forza: ora comando io e non accetto che altri dettino l'agenda sulle riforme in Vaticano.
Nessun commento:
Posta un commento