"Politici
e innocenti non hanno niente in comune. Niente".
Incipit:
Sebastiano Laurenti contemplava lo spettacolo del caos dietro i vetri oscurati dell'Audi A6 nera.Roma bruciava.Da cinque giorni la città intera er ain ginocchio. Immobilizzata da uno sciopero selvaggio dei trasporti. Sommersa dal blocco totale della raccolta rifiuti. Ammorbata dal puzzo dei roghi che i cittadini esasperati appiccavano agli angoli delle strade.
Tutto era cominciato quando una ragazzina di Tor Sapienza aveva denunciato di essere stata aggredita da due negri. Le periferie si erano immediatamente rivoltate.Roma bruciava.Era esplosa la rivolta contro i centri di accoglienza per gli immigrati. Nelle borgate, era partita la caccia allo zingaro. I piccoli rom disertavano le scuole. Intorno ai campi nomadi si istituivano posti di blocco. Tirava aria di pogrom.La stampa di tutto il mondo accorreva a Roma. Nei suoi resoconti, un incubo a nove colonne. Un kolossal nero da prime time. Impallidiva il ricordo di Napoli sepolta dalla monnezza. Nella sua omelia di Pasqua, papa Francesco aveva rivolto un appello accorato alla misericordia degli uomini. E, prima ancora, alla loro umanità, se ne restava. Il presidente del Consiglio aveva formato un'unità di crisi permanente al Viminale, con protezione civile, forze dell'ordine, vigili del fuoco, esercito.Ma non c'era ruspa, presidio, blindato, intervento di piazza in grado di invertire o quantomeno arrestare il crollo. Era come se la città avesse deciso di richiudersi su sé stessa, ingoiando tutto e tutti nel suo sottosuolo di rancore, odio, miseria.[..]Erano comparse scritte anarchiche di rivendicazione.Non ci credeva nessuno.Le autorità, con il sindaco in testa, vagavano da un presidio all'altro. Le autorità rincuoravano, rassicuravano, facevano promesse che non sarebbero state mantenute. Le autorità non capivano. Quello che stava accadendo a Roma era fuori da ogni logica.Ed era lui il motore di tutto questo. Sebastiano.
Il
romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo si compie tutto in un
mese: tra marzo e aprile del 2015, a partire dall'annuncio del
Giubileo da parte del papa. Evento che scatena gli appetiti dei
signori che comandano veramente nella giunta di Roma.
Politici
di maggioranza, di opposizione, i costruttori, i rappresentanti della
criminalità organizzata.
I
protagonisti sono gli stessi che abbiamo conosciuto in Suburra:
ci sono quelli del palazzo, come Chiara Visone, onorevole del
Partito Democratico, che ha in mano le redini del partito a Roma. "Io
sono la prima attrice. O non sono": sensuale e consapevole
del fascino che esercita sugli uomini, decisa e forte come un
cristallo. Sa che per governare non si deve guardare troppo per il
sottile a chi ti porta soldi e voti.
Adriano
Polimeni è un ex senatore dello stesso partito che rappresenta
l'altra faccia: quella cresciuta nelle scuole quadri del partito, che
non è disposta al compromesso. A lui il sindaco Martin Giardino,
il tedesco (per le sue origini altoatesine), affida la gestione dei
lavori per il giubileo. Sindaco tedesco, ma anche vanesio, non
immanicato con i trafficoni di Roma, che non conosce la città e
anche un po' ingenuo. E nella Roma della Suburra anche questo è un
peccato.
Dello
stesso partito fa parte il vice, Temistocle Malgradi, l'uomo per
tutte le stagioni, da destra a sinistra.
Il
vescovo Giovanno Darè è invece l'uomo scelto dal papa, il
comunista, il tupamaros, come responsabile dei lavori. Lo stesso
incarico, ma dall'altra parte del Tevere, di Polimeno. Amico di
gioventù e non solo..
Tutto
parte dai lavori del Giubileo, che il papa ma anche il sindaco
vogliono gestire in modo trasparente e senza dare lavori agli
impresentabili.
Quelli
della terra di Mezzo.
A
comincuare dal Samurai, ora rinchiuso in galera in attesa del
pronunciamento della Cassazione. Il re di Roma ha lasciato il potere
nelle mani di Sebastiano Laurenti, l'erede designato, che in
questo nuovo ruolo cerca anche un riscatto per il passato che gli è
stato tolto (il suicidio del padre, finito nelle mani degli
strozzini).
Gente
come Danilo Mariano, ultimo rappresentante di una dinastia di
costruttori, che ha sempre lavorato per i papi e i potenti della
città.
Gente
come Fabio Desideri, il pretendente al trono, uno che dsi è
fatto un nome spacciando droga ai vip, creandosi un suo giro d'affari
e anche un suo esercito.
E poi,
gli Anacleti, la famiglia di rom Sinti che comandano a Roma sud.
Le
famiglie siciliane e calabresi.
Ex
terroristi di destra, che si godono la pensione (e fanno cassa per i
signori della terra di mezzo) a Londra.
Infine,
la criminalità varia: ultras, ragazzini cresciuti nella
strada che si sono fatti un nome andando a sgomberare campi rom, a
creare casino attorno ai centri di accoglienza, perché "è
proprio vero che con la carità si guadagna meglio che con la droga".
Tutto
si svolge nel giro di un mese o poco più: la tensione nata dal
Giubileo mette in crisi l'equilibrio dei signori della Terra di mezzo
(la cerniera tra politica e criminalità). Equilibrio già messo in
crisi dalla lontananza del Samurai. La natura tende a riempire i
vuoti, anche quelli di potere: nuovi pretendendi ambiscono a
prendersi il controllo di Roma e anche una bella percentuale sui
lavori. Gente come Fabietto.
E per
Sebastiano non è facile tenere a bada le sue ambizioni e allo stesso
tempo, trovare il modo di costringere la giunta comunale a trovare un
accordo.
Sebastiano
però ha un altro problema: non è nato sulla strada e non intende
finire come il Samurai. Deve ascoltare la testa e seguire i consigli
del Samurai dal carcere, ma anche quello che gli dice il cuore.
E il
cuore batte per una ragazza tanto bella ma anche tanto dura. Chiara.
La politica in vertiginosa ascesa nel partito e anche dalla
vertiginosa bellezza.
Che si
innamora del bandito, anche ricambiata e non si fa troppi problemi
per queste sue frequentazioni:
"Milano ha avuto l'Expo, Roma avrà il Giubileo. Faremo le cose nel rispetto delle regole, per quanto è possibile. Non voglio morire innocente, non si governa con l'innocenza. Io voglio vivere".
Si accorgerà di chi sia Sebastiano prima che sia troppo tardi, messa sull'avviso da Adriano, l'ex con cui aveva avuto una relazione.
Perché
Adriano ha capito, prima di altri, cosa si sta muovendo dietro gli
appalti. E capisce anche chi sta dietro la guerra che, ad un certo
punto si scatena a Roma. Lo sciopero selvaggio degli autisti
dell'Atac, il blocco della raccolta dei rifiuti da parte dei
dipendenti dell'Ama.
Sono
gli ordini che arrivano dall'erede del Samurai, a persone che il
Samurai ha piazzato dentro le municipalizzate del comune.
Roma
brucia. Per i roghi.
Roma
puzza. Per i troppi compromessi dei signori che siedono al palazzo
comunale, i giochetti per far fuori chi si mette di mezzo. Giochetti
cui troveranno anche un ruolo, nel ruolo di utili idioti, i ragazzi
del M5S.
Roma
puzza per le rivolte nei quartieri, per gli articoli diffamatori
fatti uscire su certa stampa.
Come
andrà a finire la battaglia?
Il
finale scelto dagli autori lascia poco spazio all'ottimismo.
Non
c'è spazio per i puri e nemmeno per gli ingenui.
Roma
deve rimanere sempre in mano alle stesse persone: "non esiste al
mondo una città più scivolosa di questa", dice l'ex senatore
Polimeni al sindaco. Il don Chisciotte senza paura all'uomo troppo
sicuro di se.
Il
comunista, anzi, peggio di comunista, che coi comunisti si può
sempre trovare un accordo. Un moralista: una persona pericolosa –
commenta uno dei politici per tutte le stagioni – "perché
intorno a loro si poteva costruire la maledetta santa alleanza tra
gli incorruttibili, la Chiesa francescana, la sbirraglia e mettiamoci
pure le toghe. L'uragano che ciclicamente tornava ad imperversare
sulla vita pubblica".
La
notte di Roma è un romanzo che parte dalla cronaca degli eventi
romani degli ultimi mesi, prendendosi però delle sue licenze. Alcuni
personaggi sono ritagliati su persone reali (il sindaco Martino),
altri sono la somma di tante persone, come l'onorevole Visone.
È un
racconto dal di dentro: dentro i palazzi, dentro le stanze, dove si
decidono le cose.
Dal di
dentro, anche per le persone: gli squali della politica e i piccoli
re della strada.
L'ambizione
di chi vuole fare nuova politica ma rischia di portarsi dentro chi
non deve.
I
tormenti di un vecchio relitto della politica, che vede arrivare il
pericolo che lo toccherà da vicino.
I
tormenti di un giovane re, seduto su un trono che vacilla, perché
sono in tanti che ambiscono a sedere su quella poltrona ma per
arrivarci bisogna prima buttar giù chi ci si siede sopra.
Re che
si sente come il personaggio di "Delitto e castigo",
che vorrebbe sfuggire a quel mondo di mezzo in cui si è trovato
dentro. Ma, come racconta Dostoevskij, non si può arrivare
alla redenzione senza passare prima per il pentimento:
"Non sapeva, e neppure si chiedeva dove andare; sapeva una cosa sola: «che bisognava farla finita con tutto questo oggi stesso, una volta per tutte, subito; altirmenti non sarebbe tornato a casa, perché non voleva vivere così»".
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