Parliamo di Europa, l’area più ricca del mondo. Insieme, i paesi europei potrebbero andare ben oltre l’unione monetaria, competendo con chiunque su democrazia ed economia. Ma non è così.
Questa sera Report si occupa di Europa,
quella che è ora e quella che potrebbe essere, immaginandosi un
nuovo stato federale, l'unione di Stati Uniti Europei, come
l'America: il servizio è diviso in due parti, la prima a cura di
Paolo Mondani spiegherà cosa non funziona dell'Unione oggi, chi ne
osteggia una maggiore unificazione tra i paesi (e non sono solo i
populisti) e infine chi ci ha guadagnato da “questa” Europa.
La seconda parte del servizio è una
previsione, come potrebbe essere un'Unione dove si mettono in comune
le funzioni e le politiche: che Europa sarebbe?
Una staffetta tra Paolo Mondani e Michele Buono: la diagnosi e la cura. Perché l’Europa langue? E come potrebbe risollevarsi?
L'anteprima della puntata è comunque
dedicata all'Unione di oggi: il servizio di Giorgio Mottola farà le
pulci all'Unione che ci dice cosa mangiare, le dimensioni dei
prodotti. Che ci controlla i conti e le manovre economiche (in questo
momento in discussione al Senato e alla Camera).
Ma “Chi controlla il controllore
”?
Per esempio: Solo per gli spostamenti
tra le sedi di Strasburgo e Bruxelles il Parlamento europeo prevede
di spendere nel 2018 29 ml di euro, 4 in più dell'anno precedente.
Si spostano i parlamentari e anche le
carte di cui ha bisogno per il suo lavoro, riempiendo bauli che
viaggiano in parallelo al personale.
Più volte si è provato ad unire le
due sedi, per tagliare i costi – racconta l'europarlamentare Lavia
del Partito Popolare – peccato che la sede del parlamento sia
stabilita dai trattati, dunque per cambiarla servirebbe l'accordo di
tutti i paesi, basta un solo paese contrario (magari quello che
perderebbe la sede) per annullare tutto.
La scheda del servizio: Chi
controlla il controllore? Di Giorgio Mottola (l'anteprima su
Raiplay)
Collaborazione di Alessia Marzi e Raffaele MancoL’Italia è spesso sotto la lente dell’Europa per sprechi e problemi di bilancio. Ci viene chiesto, quasi sempre a ragione, maggiore rigore e attenzione. Ma quanto è rigorosa l’Unione europea rispetto ai propri bilanci? Molto poco, secondo la Corte dei conti europea, che nell’ultimo decennio ha riscontrato errori gravi e rilevanti nei pagamenti effettuati dalle istituzioni comunitarie. Nel solo 2015, le irregolarità hanno pesato per oltre 6 miliardi di euro sul bilancio europeo: soldi, secondo la Corte dei conti, spesi in modo non legittimo. Ma fuori controllo è l’intero sistema degli appalti: oltre il 40% delle gare pubbliche svolte dall’Ue è irregolare.
L'Europa che è e l'Europa che
potrebbe essere: i servizi di Michele Buono e di Paolo Mondani
L'Europa a trazione tedesca ha
applicato ai paesi dei sud, quelli a rischio debito, la linea del
rigore: con quali risultati? La cura dell'austerità non ha portato
benefici ai greci che hanno dovuto privatizzare ferrovie, terreni,
aziende del gas e dell'elettricità.
E cedere degli asset strategici per il
paese: la società tedesca Fraport
ha avuto in concessione per 40 anni 14 aeroporti turistici e sappiamo
quanto sia importante per l'economia greca il turismo.
A 25 anni dal trattato di Maastricht è
arrivato il momento di fare un bilancio dell'Europa che è stata:
alcuni paesi si sono arricchiti con
questa Europa altri sono finiti sul lastrico (per esempio la Grecia).
Come ha fatto la
Germania a diventare la numero uno? Ce lo racconta Paolo Mondani
La scheda del servizio:
L'occupazione
tedesca
di Paolo Mondani
In Europa vince la linea di austerità tedesca che ha condizionato i paesi del Sud. Da parte sua, la Germania non fa abbastanza per ridurre il suo surplus commerciale, che fin dal 2012 continua a sforare la soglia raccomandata dall'Europa. Compete abbassando il costo del lavoro e riversando le sue merci a basso prezzo su tutto il continente. Scelte che separano anziché unire, che fanno deperire l’occupazione e la produzione degli altri paesi, che spengono le speranze di una Europa unita. Report è stata tra i lavoratori della Ruhr, della grande distribuzione alimentare, tra gli agricoltori della Baviera, nelle miniere di carbone dell’Est. Ha ascoltato le voci di un paese che non è più un paradiso e i risultati delle ultime elezioni lo stanno a dimostrare.
State
Uniti di Michele Buono
Un’inchiesta in forma di simulazione: siamo gli Stati Uniti d’Europa. Un governo federale con un ministro degli esteri, un sistema di difesa unico, una sola politica fiscale e regole comuni su lavoro, previdenza e formazione. Un’area con un mercato unico dell’energia, con un euro che non genera più condizioni sfavorevoli per alcuni paesi e favorevoli per altri, una politica industriale e un sistema di ricerca di scala continentale. Quale sarebbe l’impatto sulla crescita e l’occupazione?
Il nostro debito
pubblico.
L'ultimo servizio
riguarda il nostro debito pubblico che, nonostante le cure dei
tecnici, nonostante la flessibilità concessa dall'Europa, nonostante
abbiamo fatto tutte le riforme che l'Europa ci ha chiesto, è in
crescita.
Ma all'Europa
abbiamo promesso la sua riduzione e coi vincoli che ci siamo imposti
(come il pareggio di Bilancio) non si scherza: rischiamo di arrivare
ad una nuova procedura di infrazione.
Ecco che spuntano
le clausole di salvaguardia, una specie di cambiale in cui barattiamo
un pezzo di spesa oggi con una voce in incasso domani (con la
copertura dell'aumento dell'IVA, ovvero altre tasse che aumentano se
non si trovano i soldi per coprire l'uscita).
Finché il gioco
dura va bene.
IN
GUARDIA DALLA SALVAGUARDIA DI Antonella Cignarale
Il debito pubblico è sempre più grande, siamo a quasi 2300 miliardi di euro. Se l’Italia fosse una famiglia si direbbe: “Forse è meglio non prendere altri soldi in prestito e tirare un po’ la cinghia”. Invece le forze politiche non hanno dubbi: “Basta tagli e basta austerità” è la canzone che ripetono tutti. E visto che i soldi non ci sono, lo stratagemma che si sono inventati gli ultimi governi è quello delle “clausole di salvaguardia”. Già la parola inganna, perché sono piuttosto una specie di “pagherò” fiscali, una spada di Damocle da 19 miliardi che pende sulla testa del contribuente, pronta a trasformarsi in aumenti d’iva e delle accise da qui al 2020. Un sistema opaco che scarica il peso del debito su chi verrà dopo, i giovani.
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