Il libro “Il giorno della civetta”
è stato scritto nel 1960: Leonardo Sciascia ha dovuto
lavorare a lungo, dopo la prima stesura, per cavare via quello che
era in più, per ridurre la scrittura (e anche alcuni personaggi)
all'essenziale.
Nel 1960, la mafia semplicemente non
esisteva nei rapporti ufficiali, veniva negata la sua esistenza nel
corso delle interrogazioni al governo, in Parlamento (ad una di
queste si è poi evidentemente ispirato, Sciascia, mettendola dentro
il racconto).
La mafia? Quale mafia, dov'è questa
mafia?
La forza di questo libro non sta solo
nei dialoghi, nella caratterizzazione dei personaggi, ma nel suo
saper ricostruire relazioni, rapporti di potere, che legano assieme
persone della città di S. (il paese dell'interno della Sicilia dove
si svolge la storia) e Roma.
La mafia è anche questo, non è solo
una questione di lupara, coppole storte, piccola criminalità locale:
fosse solo questo, lo Stato (e i carabinieri come Bellodi, che sono
tanti), l'avrebbero già sconfitta.
Avrebbero cioè arrestato i
responsabili della morte di Colasberna, il piccolo costruttore ucciso
ad inizio racconto, e i suoi mandanti. Senza perdersi dietro le voci
su delitti passionali..
La forza della mafia sta nel sapersi
infilare dentro gli interstizi lasciati liberi dallo Stato,
offrendosi come intermediario per facilitare gli affari, per spianare
problemi (per le autorizzazioni, nei rapporti coi sindacati o dei
lavoratori), per portare voti quando serve.
Per arrivare a questo serve un forte
controllo del territorio, ma anche la capacità nel saper avvicinare
le persone che contano a livello più alto: dentro la macchina
amministrativa dei comuni e della regione, dentro il mondo della
magistratura e dell'imprenditoria. Fino ad arrivare a Roma, in
Parlamento.
Nel film che Damiano Damiani ha tratto
dal libro di Sciascia questo livello romano del racconto sparisce,
forse i tempi non erano maturi per mostrare al pubblico cosa fosse la
mafia e dove fosse arrivata.
I due signori che parlano e discutono
dell'indagine dei carabinieri a S. e di quel comunista di Bellodi,
temendo che porti all'onorevole Livigni e al ministro Mancuso.
Per colpa di quella foto dove
l'onorevole si è fatto ritrarre assieme a “Zicchinetta”:
c'era anche, nel fascicolo, un rapporti relativo a un comizio dell'onorevole Livigni: che circondato dal fior fiore della mafia locale, alla sua destra il decano don Calogero Guicciardo, alla sua sinistra il Marchica, era apparso al balcone di casa Alvarez, e ad un certo punto del suo discorso aveva testualmente detto «mi si accusa di tenere i rapporti coi mafiosi, e quindi con la mafia: ma io vi dico che non sono finora riuscito a capire che cosa è la mafia, e se esiste; e posso in perfetta coscienza di cattolico e di cittadini giurarvi che in vita mia non ho mai conosciuto un mafioso»
Sono gli stessi personaggi che, sempre
a Roma raccontano al lettore della loro visione della democrazia, del
popolo, delle corna
«Il popolo» sogghignò il vecchio «il popolo... Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna»
[…]«Il popolo, la democrazia» disse il vecchio rassettandosi a sedere, un po' ansante per la dimostrazione che aveva dato del suo saper camminare sulle corna della gente «sono belle invenzioni: cose inventate a tavolino, da gente che sa mettere una parola in culo all'altra e tutte le parole in culo all'umanità, con rispetto parlando .. Dico con rispetto parlando per l'umanità .. Un bosco di corna, l'umanità, più fitto del bosco della Ficuzza, quand'era bosco davvero. E sai chi se la spassa a passeggiare sulle corna? Primo, tienilo bene in mente: i preti; secondo: i politici, e tanto più dicono di essere col popolo, di volere il bene del popolo, tanto più gli calcano i piedi sulle corna; terzo: quelli come me e te.. E' vero che c'è il rischio di mettere il piede in fallo e di restare infilzati, tanto per me quanto per i preti e i politici: ma anche se mi squarcia dentro, un corno è sempre un corno; e chi lo porta in testa è un cornuto.. La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione: mi va male, muoio, ma siete dei cornuti ...»
La democrazia, la politica solo una
sceneggiata da tenere in piedi, uno spettacolo buono per il
popolino che va a votare per i signori capaci di promettere, i
difensori del popolo. Come vedete, non si è inventato nulla, in
questi anno, il populismo era cosa già nota a Sciascia negli anni
sessanta.
Intanto a S. l'inchiesta per la morte
di Colasberna, va avanti.
Grazie all'ultima confidenza di
Parrinieddu e a quanto raccontato dalla moglie di Nicolosi, vengono
arrestati Pizzuco, un altro costruttore e Marchica, un piccolo
criminale uscito per amnistia.
Grazie ad un astuto tranello di Bellodi
e dei suoi marescialli, che riescono a mettere i due indagati
Marchica e Pizzuco, l'uno contro l'altro, l'indagine arriva a don
Mariano Arena, arrestato pure lui.
A Roma altri due gentiluomini discutono
di questo arresto, in un dialogo che è l'apoteosi del garantismo dei
signori.
«E' questo il punto: l'amministrazione della giustizia è compito dello Stato: e non si può ammettere che ..»«Parlo del senso della giustizia, non di amministrazione della giustizia .. E io vi dico: se noi due stiamo a litigare per un pezzo di terra, per una eredità, per un debito; e viene un terzo a metterci d'accordo, a risolvere la vertenza .. In un certo senso, viene ad amministrare la giustizia: ma sapete cosa sarebbe accaduto di noi due, se avessimo continuato a litigare davanti alla vostra giustizia? Anni sarebbero passati ...»
Cos'è
la mafia, dunque? È sempre il galantuomo a spiegarlo:
“ammettendo che la mafia esista, io posso dirvi: è un'associazione di segreto mutuo soccorso, né più né meno come la massoneria”.
Ma
nonostante tutto, nonostante la mafia non esista, nonostante tutti i
delitti siano ascrivibili a questioni di corna, motivi passionali
(cercate la donna, dicono a Bellodi le lettere anonime, cercate la
donna dicono i giornali che seguono l'inchiesta dei carabinieri),
bisogna fermare quella catena che lega assieme il piccolo criminale,
l'imprenditore edile che si era limitato solo a dare buoni consigli
al Colasberna e il don del paese, don Mariano Arena. Perché poi a
tirarla, quella catena poteva arrivare fino a Roma.
Meglio
il delitto passionale, dunque, tutto in famiglia:
“ciò discendeva dal fatto, pensava il capitano, che la famiglia è l'unico istituto veramente vivo nella coscienza del siciliano [..] La famiglia è lo stato del siciliano. Lo Stato, quello che per noi è lo Stato, è fuori: entità di fatto realizzata dalla forza; e impone le tasse, il servizio militare, la leva, il carabiniere.”
Nel
finale del libro, i due principali protagonisti si incontrano in un
dialogo serrato che poi è passato alla storia come quello della dei
quaquaraquà.
Ho
letto dei commenti, a proposito di quanto ho scritto in un precedente
post su questo libro: è vecchio, va aggiornata la visione della
mafia, si basa sulla mafia degli anni 60-70..
In
parte è vero: il don Mariano Arena ricalca un prototipo di mafioso
che forse non esiste. L'uomo con delle sue regole che vanno
rispettate. Che mai si metterebbe a trattare con lo stato, coi
carabinieri.
Eppure
in quel dialogo, in cui Bellodi muove le sue pedine come una partita
a scacchi, Sciascia fa un'enorme intuizione, valida ancora oggi: per
colpire i mafiosi inutile seguire ogni singolo delitto sperando di
trovare un testimone, inutile chiedere super poteri o, peggio, la
sospensione dei diritti costituzionali come fece Mori ai tempi di
Mussolini (che pure si fermo quando toccò il livello politico della
mafia).
Bisogna
colpire i don Mariano nel loro patrimonio, che è quanto poi fece il
segretario PCI Pio La Torre con la legge che porta il suo nome, sulla
confisca dei beni. Legge che pagò con la vita.
"Questo è il punto su cui bisognerebbe far leva. È inutile tentare di incastrare nel penale un uomo come costui: non ci saranno mai prove sufficienti, il silenzio degli onesti e dei disonesti lo proteggerà sempre. Ed è inutile, oltre che pericoloso, vagheggiare una sospensione di diritti costituzionali. Un nuovo Mori diventerebbe subito strumento politico-elettoralistico, braccio non del regime, ma di una porzione del regime. Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell'inadempienza fiscale come in America. Ma non soltanto le persone come Mariano Arena e non soltanto qui in Sicilia. Bisognerebbe di colpo piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuoriserie, le mogli, le amanti di certi funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi e tirarne il giusto senso. Soltanto così ad uomini come don Mariano comincerebbe a mancare il terreno sotto i piedi. In ogni altro paese del mondo, una evasione fiscale come quella che sto constatando, sarebbe duramente punita. Qui con Mariano se ne ride, sa che non gli ci vorrà molto ad imbrogliare le carte."
C'è
dentro tutto il lavoro di La Torre, di Boris Giuliano, di Chinnici e
del pool antimafia suo e poi di Caponnetto, con Falcone e Borsellino.
Seguire il denaro, attraverso tutti i suoi movimenti, anche dentro le
finanziarie e le banche.
Evitare
di fare grandi battaglie antimafia col rischio che vengano poi usate
o strumentalizzate per colpire una cosca a favore di un'altra, un
politico non più utile con un altro pronto a prestare il volto ai
mafiosi.
Quante
persone sono state arrestate, che erano dentro associazioni
antimafia?
Provenzano
stesso aveva plaudito all'iniziativa di premiare l'attore Bova, per
la sua interpretazione di Ultimo.
E
poi il racconto dell'umanità divisa in cinque categorie:
«Io» proseguì don Mariano «ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà... Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini... E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora di più: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito... E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre... »
I
due personaggi si sono incontrati e si sono riconosciuti: ciascuno
vede nell'altro il nemico, ma lo riconosce come uomo.
Forse
è questo l'unico vero appunto che si può fare a Sciascia: per
quanto don Mariano Arena sia una persona intelligente, rimane un
mafioso che fa uccidere le persone, che si spartisce soldi pubblici,
favorendo aziende di amici a discapito di aziende oneste e magari più
capaci (che non facevano lavori che alle prime piogge si
squagliano).No, uno così non è un uomo come Bellodi.
Quanto
è cambiata la mafia da allora ad oggi?
Non
ci sono più solo gli appalti pubblici per strade e case (che hanno
arricchito le famiglie della borghesia mafiosa dopo il sacco di
Palermo): oggi ci sono gli appalti nella sanità (come ha ricostruito
l'inchiesta sull'ex governatore Cuffaro, Guttadauro e sul ministro
mafioso dei lavori pubblici Siino).
Non
ci sono strade ma ci sono appalti per l'eolico, un settore dove era
entrato anche Messina Denaro, attraverso prestanome.
C'è
la mafia che prendo fondi europei per l'agricoltura, per non lavorare
le terre in Sicilia.
Non
ci sono le case da costruire ma c'è il mega progetto del Ponte sullo
Stretto di Messina.
E
ci sono, ancora oggi, gli impresentabili, ovvero persone come don
Mariano, che vengono ritratti, che sono considerati vicini a quel
politico o a quel deputato regionale.
In
queste settimane che hanno anticipato il voto regionale in Sicilia,
la parola impresentabile è stata ripetuta tante volte, come quella
di voltagabbana (signori che portano voti passati da destra a
sinistra o viceversa).
Senza
che sia stato fatto nulla.
Addirittura,
Berlusconi, incandidabile perché pregiudicato (dunque in prima fila
nella campagna elettorale siciliana) rimbrottava il candidato di
centro destra Nello Musumeci per avera pronunciata quella parola,
“impresentabili”.
Certi
meccanismi del grande gioco per il potere sono sempre validi, allora
come adesso.
Scriveva
nella prefazione all'opera del 1972:
"Ma la mafia era, ed è, altra cosa: un sistema che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel «vuoto» dello Stato (cioè quando lo stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma «dentro» lo Stato. La mafia, insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta.
Il giorno della civetta, in effetti, non è che un «per esempio» di questa definizione. Cioè l'ho scritto, allora, con questa definizione. Ma forse è anche un buon racconto".Leonardo Sciascia, 1972 appendice al libro scritta in occasione dell'uscita del Giorno della civetta nella collana letture di Einaudi.
Anzi,
siccome oggi la linea della Palma ha oltrepassato il Po, assieme
all'aggressione mafiosa del tessuto sociale ed economico del nord,
queste definizioni dovrebbero essere tenute in considerazione in
tutto il paese.
Ma,
forse è la politica (e una certa magistratura, e un certo
giornalismo di stampo garantista verso i potenti, verso i don) che è
rimasto attaccato alla vecchia idea del mafioso con la lupara.
La
mafia oggi non spara. Almeno qui al nord non c'è bisogno di
uccidere. Si intimidisce, si incendiano i capannoni, si spara qualche
colpo di avvertimento quando proprio è necessario.
Ma
sempre mafia rimane.
Altri
post sul libro di Sciascia
-
Conoscere la Sicilia per comprendere l'Italia
Il
giorno della civetta – Adelphi
Nessun commento:
Posta un commento