Solo nei gialli tre indizi fanno una prova, in politica le cose sono spesso più complicate, sottili, sfuggenti.
Gli indizi sono l'esito delle elezioni in Sicilia e ad Ostia (e prima ancora le sconfitte a Roma, Torino), la finta trattativa per unire la sinistra e l'intervista al fondatore di Repubblica Scalfari (tra Di Maio e Berlusconi voterei Berlusconi). E infine l'uscita di Salvini che ora chiede un patto davanti al notaio per prevenire eventuali ribaltoni o inciuci dopo il voto (che lui vorrebbe prima possibile).
La prova o, meglio, la conclusione che ne ricaviamo? Che a marzo (o forse dopo) non assisteremo ad uno scontro tra tre poli ma tra due poli e mezzo, dove il mezzo è il raggruppamento attorno al PD. Per la prima volta, dal 2013, il PD non è più davanti, il dato per vincente, anzi.
Tutto questo, gli indizi, la prova, ci dice quanto l'elettorato storico della "sinistra" abbia apprezzato le riforme e le politiche del governo del mille giorni (in buona continuità coi governi precedenti, se escludiamo qualche buona legge).
Anziché chiedersi su quale leader votare dovremmo chiederci: da che parte stiamo, dalla parte degli interinali che lavorano al polo di Piacenza o dalla parte delle multinazionali?
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