27 marzo 2019

Il popolo ha detto basta – da Il censimento dei radical chic



“Al cospetto di questa Assemblea e del popolo italiano, dichiaro che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. E' tempo di proclamarmi francamente ignorante. Ho sempre detto: prima il popolo italiano. E' forse una colpa? Ma il problema, cari signori dell'élite, è che è stato il popolo, prima ancora che lo dicessi io, a dire 'Basta! La misura è colma'. E' stato il popolo a dire basta con le provocazioni dei radical chic. Il popolo pretende che che i suoi rappresentanti, quelli che elegge e stipendia, parlino chiaro e in modo semplice”.[Dal discorso alla Camera del ministro dell'Interno nonché primo ministro]

In un presente ipotetico, in Italia viene instaurato un governo che disprezza le élite, gli intellettuali, i “professoroni” perché, parola del giovane ministro dell'Interno, il popolo ha detto basta.
Così, quando uno dopo l'altro, professori, studiosi, vengono uccisi (il primo perché aveva osato citare Spinoza in un talk), decide di schedare, pardon, di fare il censimento dei “radical chic”.
Perché gente che ha studiato, che ha passato anni sui libri per poi spiegare a noi persone semplici verità difficili da raggiungere, non è chiaro, ma tant'è, meglio non farsi passare per gente che legge, che studia, che perde tempo sui libri.
 
Sono tempi nuovi (per citare un altro romanzo molto attuale di Alessandro Robecchi) e così, gli intellettuali, anziché arrabbiarsi, mobilitarsi, scendere in piazza, protestare, scelgono di nascondersi e di nascondere libri, tomi profondi, maglioni di cachemire, qualunque cosa possa identificarli come “radical chic”.

Ma come ha fatto questo paese, che ricorda nemmeno troppo vagamente il nostro infame presente, a ridursi così? Con un ministro che bullizza intellettuali, persone che hanno la colpa di fare ragionamenti complessi?
E c'è speranza di uscirne fuori?
Lo scoprirete leggendo il romanzo di Giacomo Papi “Il censimento dei radical chic”.

PS: rileggetevi ancora il discorso citato all'inizio, ricorda un po' un altro discorso, tenuto alla Camera da un altro presidente del Consiglio nel 1925, in cui rivendicava la paternità politica del delitto Matteotti?


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