10 marzo 2019

La versione di Fenoglio, di Gianrico Carofiglio



Pietro Fenoglio pedalava senza tropo entusiasmo, ma seguendo con disciplina il ritmo assegnato. Sobbalzò leggermente quando si sentì toccare la spalla. Era Bruna, la fisioterapista, 3 lui non si era accorto del suo arrivo per via degli auricolari e della musica. 
- L'ho spaventata, maresciallo? 
- No, cioè, sì. Insomma, mi ha sorpreso. 
- Cosa ascolta oggi? 
- Bach. Quando vengo qui ascolto sempre o Bach o Mozart. Li conosco meglio e non devo impegnarmi troppo a seguire i passaggi, visto che sono già abbastanza impegnato a farmi torturare da voi.Lei gli fece il suo solito sorriso enigmatico. 
Fenoglio non era ancora riuscito a capire cosa significasse. A momenti dava l'impressione di una totale presenza, una consapevolezza profonda della situazione della situazione e dell'interlocutore; a momenti la sensazione di un allegro distacco, di una distrazione gentile: un essere altrove, ma trattando con cortesia chi era lì.

Non è un giallo, quello che vi trovate tra le mani, il romanzo di Gianrico Carofiglio, nemmeno un saggio sulla fisioterapia, state tranquilli: è un racconto di un incontro, tra un signore anziano prossimo alla pensione, Pietro Fenoglio, e un ragazzo di nemmeno vent'anni, Giulio.
Costretti a fare fisioterapia assieme, sotto lo sguardo vigile di Bruna, sguardo che genera qualche sussulto all'anima di Pietro, trovano il modo di conoscersi meglio e di passare quel tempo raccontandosi storie.
Anzi, per la precisione, è quasi solo Pietro Fenoglio, maresciallo dell'arma con tanti, troppi, anni di servizio alle spalle, a raccontare a Giulio storie prese dal suo passato.
Il giovane e il vecchio: il primo si è appena affacciato al mondo degli adulti e ancora non ha capito cosa vuole fare da grande, oppresso in questa scelta anche dalla figura paterna.
Il secondo invece scopre, quasi inaspettatamente il piacere del racconto, con una persona appena conosciuta: una necessità che deriva dal vuoto di entrambi, che li spinge alla confidenza, ad un aprirsi e a raccontare anche aspetti intimi della vita.
La mancanza di un vero padre per Giulio, che lo aiuti ad avere maggiore consapevolezza di sé stesso, meno paura di osare e anche sbagliare.
La mancanza di un figlio, tanto voluto e mai arrivato, per Pietro Fenoglio.

Si parte dai libri, da un libro in particolare, Un anno sull'altipiano, che Giulio sta leggendo e che anche Pietro ha amato e che, come sempre accade tra amanti della lettura, li porta a parlare di altri libri.
- Mi piace molto. In sostanza mi sembra un libro sull'imbecillità e sui danni che può provocare.Fenoglio annuì. 
- L'imbecillità, hai ragione. Sai cosa diceva su questo argomento Alexandre Dumas? Il padre. Stava per precisare chi era Dumas, non era scontato che un ragazzo di quell'età lo conoscesse, ma non fu necessario. 
- Dumas .. ho letto tutto, da piccolo. Mi piacevano le storie di vendetta, ero fissato con Il conte di Montecristo. 
- Ecco, Dumas diceva: preferisco i mascalzoni agli imbecilli, perché a volte si concedono una pausa.

A proposito di libri, come in altri suoi romanzi, Carofiglio ne cita diversi anche in questo: io ho provato, a mo di sfida, ad elencarli tutti, gli autori citati:
  • Alexandre Dumas
  • Emilio Lussu
  • Andrea Camilleri
  • Nietzsche
  • Arthur Conan Doyle
  • Georges Borges
  • Lawrence Block

La lettura lega entrambi, come anche il desiderio di scrivere: Giulio, come un desiderio sopito dal padre, che lo ha indirizzato verso gli studi da avvocato, Pietro, che si è trovato iscritto al corso da sottufficiale dei carabinieri.
“L'unico modo di preservare le storie è raccontarle” - spiega ad un certo punto Pietro a Giulio: le storie da preservare sono la prima indagine, da giovane vicebrigadiere dove fece un'importante scoperta, che portò all'individuazione dell'assassino, perché aveva guardato dove altri non lo avevano fatto.
La prima indagine e la prima menzogna, perché il giovane vicebrigadiere non aveva rispettato molto né la gerarchia né le regole d'indagine.
Ma l'indagine è un qualcosa di complesso: bisogna osservare, senza luoghi comuni, cercando quello che manca nel quadro d'insieme: occorre “osservare lentamente”, cambiare se serve punto di vista, altrimenti si continueranno a vedere le stesse identiche cose.
L'arte di investigare:
- Quindi si potrebbe dire che l'arte di investigare è l'arte di costruire storie? Fenoglio ci pensò un po' su. 
- E' una buona definizione, ma forse ne sceglierei un'altra. Direi che l'investigazione è l'arte del guardarsi attorno; sia in senso materiale che in senso metaforico.
Come funziona un'indagine? Come capire quando un testimone o un pentito, sta mentendo? Come si costruisce una falsa pista a partire da qualche sentito dire che si ingigantisce man mano che passa di persona in persona (come nel gioco del telefono senza fili)?
Come si interroga un testimone senza condizionarlo, senza mettergli in testa quella storia, quella verità che l'investigatore vuole sentirsi confermare?
Pietro racconta dell'indagine in cui, partendo dalla deposizione di un pentito, riuscì a far riaprire un caso, che aveva portato già ad una condanna definitiva contro un innocente che aveva confessato sotto la pressione di due colleghi di Fenoglio.
Succede anche questo, purtroppo nelle caserme (e nei commissariati): le sberle, le urla in faccia, la pressione psicologica, la tecnica dello sbirro buono e dello sbirro cattivo.
A volte funzionano, certo, ma a che prezzo, specie nei confronti della persona sotto indagine? Quante volte portano alla pista sbagliata, solo perché la persona sotto pressione fa quel nome che gli inquirenti vogliono sentire?
Il problema più serio è quando la violenza viene esercitata per chiarire i rapporti di forza: il delinquente deve capire chi comanda e secondo alcuni può capirlo solo così. Oppure per dare al soggetto un anticipo di punizione.

A qualcuno viene in mente quanto successo a Genova col G8?

Tocca poi a Giulio raccontarsi: la difficoltà nel prendere una decisione, la disistima e il poco coraggio, la voglia di scrivere e quel quaderno a cui ha affidato i suoi pensieri. Pensieri in cui raccontava del suo male interiore, della sua dissociazione dalla realtà, una forma di “anestesia” nei confronti del presente.

Anche chi deve avere a che fare ogni giorno coi delitti e col dolore, deve avere questa dissociazione, per motivi diversi però: lo “sconveniente odore della morte” (una frase presa da un poliziesco, Lawrence Block) ti si può appiccicare addosso e condizionare il tuo lavoro.
L'unica morte che Giulio ha visto è quella della nonna, uno dei passaggi più intensi e forse più importanti del libro: le donne, le discriminazione, la caccia alle streghe (come era considerata per un certo senso la nonna)
- .. Secondo lei le streghe erano il simbolo della rivolta femminile. Avevano rappresentato le avanguardie nella lotta contro il potere dell'uomo. I roghi, e in generale la violenza contro sulle donne, erano stati ed erano la risposta dell'uomo che aveva paura di perdere il predominio. [..] 
E aggiungeva che non ci sarà autentica libertà finché un uomo che ha molte donne sarà considerato uno che si gode la vita e una donna che ha molti uomini una prostituta.
Un libro, ancora un libro, sancisce la fine, momentanea, di quei racconti in fisioterapia. È un libro scritto proprio dalla nonna di Giulio che questi regala al maresciallo Fenoglio.
Un libro per dire grazie per quelle storie, per quegli insegnamenti, da padre a figlio, storie che rischiavano di andare perse finché non le hai raccontate a qualcuno disposto ad ascoltarti.
“Le storie non esistono se non vengono raccontate”.

Un incontro, per caso, che cambia (in meglio) il destino di entrambi i protagonisti di questo romanzo, come nella frase finale scelta per chiudere tutto, presa dal film di Bertolucci, Ultimo tango a Parigi: “Cambieremo il caso in destino”.


La scheda del libro sul sito dell'editore Einaudi
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