Più di ogni cosa, detestava la pianta di glicine. Con gli anni era arrivato a odiare tutto quello che un tempo lo aveva reso felice, mattino dopo mattino, nelle sue uscite di pesca. Il fruscio dell'acqua nera sullo scafo della barca. Il vento leggero dell'alba, che spazzava via l'oscurità. La vista del porticciolo che si allontanava, e degli alberi secolari protesi sul lago come volessero specchiarsi sulla superficie.
Un compleanno sul lago in barca che si
trasforma in tragedia quando, nell'aria silente del mattino l'ideale
per pescare, due colpi di pistola ravvicinati squarciano il
silenzio. Un uomo che cade riverso su un canotto legato ad una barca,
al largo del porticciolo di Pescallo.
«Proprio nel momento in cui il glicine entrò nel paesaggio, sentì il primo scoppio. Un colpo secco e senza corpo. Uno sparo di pistola. Poi l’incomprensibile urlo di un uomo. Quindi il secondo colpo, simile al primo.»
Steso sul fondo di un canotto si trova
il corpo di Filippo Corti, che ora avrà poco da festeggiare
essendo stato ucciso con un colpo alla testa: del delitto si occupa
il maresciallo Salvatore Cinà, luogotenente della stazione
carabinieri di Bellagio nota località turistica, in mezzo ai due
rami del lago di Como.
Cinà è un maresciallo all'antica,
carabiniere fin nei capelli: catanese trapiantato da anni in riva al
Lago, senza alcuna simpatia per le investigazioni della scientifica e
per il pesce di lago.
Ma con ancora minor simpatia per i
giornalisti, che tiene bene alla lontana e per i poliziotti.
Ma a volte il destino è crudele,
perché suo figlio è proprio quel Raffale Cinà poliziotto e miglior
amico del giornalista Steno Molteni: bellagini tutti e due, compagni
di gioventù e ora entrambi trapiantati a Milano.
Ne La regola del lupo,
secondo romanzo del giornalista Franco Vanni, ritroviamo tutti i
protagonisti del suo primo romanzo (Il caso Kellan), in un racconto
che ha una cornice nuova, sia dal punto di vista temporale che dei
luoghi: l'azione si svolge in un continuo avanti e indietro nel tempo
e in un continuo cambio di scena, tra Milano, la città dove aveva
vissuto il morto, Filippo Corti, rampante manager nel settore delle
energie rinnovabili. E Bellagio, dove si svolgono le investigazioni
dei carabinieri.
Diceva Agata Christie che in un delitto
in una stanza chiusa, l'assassino è il maggiordomo: su una barca in
mezzo al lago, isolata rispetto alla terraferma, il ruolo del
maggiordomo lo può assumere solo uno dei tre amici di Filippo,
presenti anche loro sulla barca per quel compleanno.
Tutti e tre avevano dei motivi di
rancore contro la vittima: Andrea Castiglioni perché Filippo gli
aveva portato via con l'inganno la villa di famiglia in via Mozart e
anche un posto nella sua famiglia, di ricchi indistriali.
Marco Michelini, avvocato, perché in
modo anche meschino, Filippo gli aveva fatto saltare la carriera di
tennista professionista tanti anni prima, nonché l'amore di
Priscilla, la terza persona sulla barca, che Filippo gli aveva
portata via su un canotto sulle acque del Danubio in una vacanza a
Vienna.
A Priscilla Filippo aveva portato via
qualcosa di molto prezioso, lasciandola sola in un momento delicato
della sua vita.
Ok, uno dei tre è un assassino, ma chi
dei tre? E se si fossero messi d'accordo per fare un tranello all'ex
amico?
«Aspetta, prima osservali da qui, poi ci parliamo. Guardare le persone è importante per capirle», disse il vecchio maresciallo.
E' compito del maresciallo Cinà
capire la dinamica dell'omicidio, scoprire chi è (o chi sono)
l'assassino (o gli assassini), andando ad ascoltare uno per uno i tre
testimoni del delitto, cercando di carpirne le incongruenze nei loro
racconti.
Lasciarli parlare, senza fare troppe
pressioni ma senza aspettare troppo tempo:
«Perché alle persone, se le lasci
in pace, viene più voglia di parlare. È come con le vongole, che
dopo qualche ora in ammollo nell’acqua aprono il guscio e sputano
la sabbia»
I racconti dei tre amici, o ex amici,
di Filippo Corti, permettono al maresciallo di capire chi fosse quel
quarantenne brillante e ricco, che da figlio dell'ex portinaia di
casa Castiglioni era diventato manager di fiducia del patron, il
signor Rocco Castiglioni.
«Questa mattina hanno ucciso un uomo a Bellagio. Hanno trovato il cadavere sul tender di una barca a vela fuori dal porticciolo di Pescallo.»
A chilometri di distanza, un'altra
persona sta portando avanti una sua indagine, sempre su Filippo
Corti: è Steno che, per le sue origini bellagine, viene incaricato
di scrivere alcuni articoli per il suo giornale sulla vittima e sul
delitto. Ascoltando le persone che gli erano accanto, come Matilde la
cameriera della sua casa in via Mozart, ripercorre le tappe della
vita del Corti: quando era solo il figlio della portinaia di casa
Corti, l'amicizia col figlio dei signori Corti, Andrea, gli anni di
scuola assieme.
.. cominciò a raccontare la storia di come Filippo Corti, figlio della portinaia dello stabile, era arrivato a comprare l’enorme casa padronale del suo unico vero amico d’infanzia, Andrea Castiglioni.
Una vita scandita da alcuni episodi che
hanno cambiato la vita di Filippo e delle persone che gli stavano
accanto: l'episodio del cane e del bullo della scuola, la partita a
tennis in cui Michelini dovette rinunciare al tennis, la gita a
Vienna...
Vivevano in un mondo fantastico di cui solo loro tre – Andrea, Filippo e Marco– avevano le chiavi. Un regno in cui i coetanei potevano essere inclusi o esclusi secondo il loro capriccio.
Finita l'epoca delle feste e del
divertimento, le loro vite iniziarono a prendere strade diverse:
Filippo, che non era più il filippino, il figlio della
portinaia, aveva conquistato passo dopo passo, una posizione sempre
più alta dentro quella famiglia e poi anche dentro l'azienda di
famiglia.
In un flash back avanti e indietro nel
passato, scopriremo perché quei tre ragazzi, giovani e belli, si
erano persi di vista per anni. Fino a quella cena, organizzata da
Filippo, che aveva proposto loro di festeggiare i suoi quarant'anni
sul lago. Come una volta.
Un delitto, due colpi di pistola, tre
sospettati con più di un motivo per detestare (se non peggio) quella
persona. Ma chi è l'assassino?
Steno riuscirà a scrivere il suo
articolo in tempo? E il maresciallo Cinà potrà chiudere la sua
carriera nell'arma con la soluzione del caso?
Quei due colpi, di cui uno sparato
dall'alto e l'altro sparato dal morto, quel grido lanciato prima di
morire “lo sapevo” ...
A proposito, perché come si è
meritato il soprannome di lupo, Cinà?
Da settimane alla stazione dei carabinieri di Bellagio arrivavano segnalazioni di vacche e animali da cortile aggrediti durante la notte.
Un lupo che faceva strage di pecore e
mucche? No, un predatore più temibile,
«Non c’è lupo abbastanza forte da sopravvivere a un branco di cani», sentenziò, in tono definitivo.
«È questa la sua famosa regola?» domandò Sala.
Cinà annuì.
Attenzione, ho già detto che questo è
un romanzo assolutamente inedito come forma: non aspettatevi una
soluzione facile, il finale vi lascerà sbalorditi (e va fatto tanto
di cappello all'autore Franco Vanni per la scelta).
Esiste una verità dei fatti? Oppure
esistono diverse verità, a seconda di chi è lo spettatore dei
fatti?
Buona lettura e, se vi capita, andate
anche voi a farvi un giro a Pescallo, magari incrocerete anche voi
Steno e la sua amica, la bellissima fotografa Sabine.
La scheda del libro sul sito di Baldini
e Castoldi
L'intervista a Franco Vanni su
Milanonera
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