08 marzo 2019

La regola del lupo di Franco Vanni



Più di ogni cosa, detestava la pianta di glicine. Con gli anni era arrivato a odiare tutto quello che un tempo lo aveva reso felice, mattino dopo mattino, nelle sue uscite di pesca. Il fruscio dell'acqua nera sullo scafo della barca. Il vento leggero dell'alba, che spazzava via l'oscurità. La vista del porticciolo che si allontanava, e degli alberi secolari protesi sul lago come volessero specchiarsi sulla superficie.

Un compleanno sul lago in barca che si trasforma in tragedia quando, nell'aria silente del mattino l'ideale per pescare, due colpi di pistola ravvicinati squarciano il silenzio. Un uomo che cade riverso su un canotto legato ad una barca, al largo del porticciolo di Pescallo.
«Proprio nel momento in cui il glicine entrò nel paesaggio, sentì il primo scoppio. Un colpo secco e senza corpo. Uno sparo di pistola. Poi l’incomprensibile urlo di un uomo. Quindi il secondo colpo, simile al primo.»

Steso sul fondo di un canotto si trova il corpo di Filippo Corti, che ora avrà poco da festeggiare essendo stato ucciso con un colpo alla testa: del delitto si occupa il maresciallo Salvatore Cinà, luogotenente della stazione carabinieri di Bellagio nota località turistica, in mezzo ai due rami del lago di Como.
Cinà è un maresciallo all'antica, carabiniere fin nei capelli: catanese trapiantato da anni in riva al Lago, senza alcuna simpatia per le investigazioni della scientifica e per il pesce di lago.
Ma con ancora minor simpatia per i giornalisti, che tiene bene alla lontana e per i poliziotti.
Ma a volte il destino è crudele, perché suo figlio è proprio quel Raffale Cinà poliziotto e miglior amico del giornalista Steno Molteni: bellagini tutti e due, compagni di gioventù e ora entrambi trapiantati a Milano.

Ne La regola del lupo, secondo romanzo del giornalista Franco Vanni, ritroviamo tutti i protagonisti del suo primo romanzo (Il caso Kellan), in un racconto che ha una cornice nuova, sia dal punto di vista temporale che dei luoghi: l'azione si svolge in un continuo avanti e indietro nel tempo e in un continuo cambio di scena, tra Milano, la città dove aveva vissuto il morto, Filippo Corti, rampante manager nel settore delle energie rinnovabili. E Bellagio, dove si svolgono le investigazioni dei carabinieri.

Diceva Agata Christie che in un delitto in una stanza chiusa, l'assassino è il maggiordomo: su una barca in mezzo al lago, isolata rispetto alla terraferma, il ruolo del maggiordomo lo può assumere solo uno dei tre amici di Filippo, presenti anche loro sulla barca per quel compleanno.
Tutti e tre avevano dei motivi di rancore contro la vittima: Andrea Castiglioni perché Filippo gli aveva portato via con l'inganno la villa di famiglia in via Mozart e anche un posto nella sua famiglia, di ricchi indistriali.
Marco Michelini, avvocato, perché in modo anche meschino, Filippo gli aveva fatto saltare la carriera di tennista professionista tanti anni prima, nonché l'amore di Priscilla, la terza persona sulla barca, che Filippo gli aveva portata via su un canotto sulle acque del Danubio in una vacanza a Vienna.
A Priscilla Filippo aveva portato via qualcosa di molto prezioso, lasciandola sola in un momento delicato della sua vita.
Ok, uno dei tre è un assassino, ma chi dei tre? E se si fossero messi d'accordo per fare un tranello all'ex amico?
«Aspetta, prima osservali da qui, poi ci parliamo. Guardare le persone è importante per capirle», disse il vecchio maresciallo.

E' compito del maresciallo Cinà capire la dinamica dell'omicidio, scoprire chi è (o chi sono) l'assassino (o gli assassini), andando ad ascoltare uno per uno i tre testimoni del delitto, cercando di carpirne le incongruenze nei loro racconti.
Lasciarli parlare, senza fare troppe pressioni ma senza aspettare troppo tempo:

«Perché alle persone, se le lasci in pace, viene più voglia di parlare. È come con le vongole, che dopo qualche ora in ammollo nell’acqua aprono il guscio e sputano la sabbia»

I racconti dei tre amici, o ex amici, di Filippo Corti, permettono al maresciallo di capire chi fosse quel quarantenne brillante e ricco, che da figlio dell'ex portinaia di casa Castiglioni era diventato manager di fiducia del patron, il signor Rocco Castiglioni.
«Questa mattina hanno ucciso un uomo a Bellagio. Hanno trovato il cadavere sul tender di una barca a vela fuori dal porticciolo di Pescallo.»

A chilometri di distanza, un'altra persona sta portando avanti una sua indagine, sempre su Filippo Corti: è Steno che, per le sue origini bellagine, viene incaricato di scrivere alcuni articoli per il suo giornale sulla vittima e sul delitto. Ascoltando le persone che gli erano accanto, come Matilde la cameriera della sua casa in via Mozart, ripercorre le tappe della vita del Corti: quando era solo il figlio della portinaia di casa Corti, l'amicizia col figlio dei signori Corti, Andrea, gli anni di scuola assieme.
.. cominciò a raccontare la storia di come Filippo Corti, figlio della portinaia dello stabile, era arrivato a comprare l’enorme casa padronale del suo unico vero amico d’infanzia, Andrea Castiglioni.

Una vita scandita da alcuni episodi che hanno cambiato la vita di Filippo e delle persone che gli stavano accanto: l'episodio del cane e del bullo della scuola, la partita a tennis in cui Michelini dovette rinunciare al tennis, la gita a Vienna...
Vivevano in un mondo fantastico di cui solo loro tre – Andrea, Filippo e Marco– avevano le chiavi. Un regno in cui i coetanei potevano essere inclusi o esclusi secondo il loro capriccio.

Finita l'epoca delle feste e del divertimento, le loro vite iniziarono a prendere strade diverse: Filippo, che non era più il filippino, il figlio della portinaia, aveva conquistato passo dopo passo, una posizione sempre più alta dentro quella famiglia e poi anche dentro l'azienda di famiglia.

In un flash back avanti e indietro nel passato, scopriremo perché quei tre ragazzi, giovani e belli, si erano persi di vista per anni. Fino a quella cena, organizzata da Filippo, che aveva proposto loro di festeggiare i suoi quarant'anni sul lago. Come una volta.

Un delitto, due colpi di pistola, tre sospettati con più di un motivo per detestare (se non peggio) quella persona. Ma chi è l'assassino?
Steno riuscirà a scrivere il suo articolo in tempo? E il maresciallo Cinà potrà chiudere la sua carriera nell'arma con la soluzione del caso?
Quei due colpi, di cui uno sparato dall'alto e l'altro sparato dal morto, quel grido lanciato prima di morire “lo sapevo” ...
A proposito, perché come si è meritato il soprannome di lupo, Cinà?
Da settimane alla stazione dei carabinieri di Bellagio arrivavano segnalazioni di vacche e animali da cortile aggrediti durante la notte.

Un lupo che faceva strage di pecore e mucche? No, un predatore più temibile,
«Non c’è lupo abbastanza forte da sopravvivere a un branco di cani», sentenziò, in tono definitivo.
«È questa la sua famosa regola?» domandò Sala.
Cinà annuì.

Attenzione, ho già detto che questo è un romanzo assolutamente inedito come forma: non aspettatevi una soluzione facile, il finale vi lascerà sbalorditi (e va fatto tanto di cappello all'autore Franco Vanni per la scelta).
Esiste una verità dei fatti? Oppure esistono diverse verità, a seconda di chi è lo spettatore dei fatti?
Buona lettura e, se vi capita, andate anche voi a farvi un giro a Pescallo, magari incrocerete anche voi Steno e la sua amica, la bellissima fotografa Sabine.

La scheda del libro sul sito di Baldini e Castoldi
L'intervista a Franco Vanni su Milanonera
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

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