Come mai al nord gli impianti di
rifiuti bruciano? Chi gli ha dato fuoco, la criminalità?
E perché i rifiuti non li smaltiamo?
Queste le domande a cui la prima partedel servizio di ieri sera di Presadiretta ha cercato di dare dellerisposte.
La seconda inchiesta parla del
Costarica e dei suoi parchi: un paese che usa solo energie
rinnovabili.
L'incendio del 15 ottobre 2018, che
coprì il cielo di Milano con un fumo denso: a Quarto Oggiaro andò a
fuoco un capannone zeppo di rifiuti, dell'azienda IPB.
Fedrighini, esponente dei comitati
ambientali, ha mostrato alla giornalista una foto con tre diversi
focolai: forse un incendio doloso in un sito che non doveva contenere
rifiuti.
Si voleva nascondere qualche materiale
il cui smaltimento poteva avere costi onerosi?
La Mobile di Milano questa settimana ha
arrestato 15 persone con l'accusa di traffico di rifiuti: negli
ultimi mesi sono 261 gli incendi in impianti che trattano rifiuti, la
metà dei quali sono avvenuti al nord.
Colpa dei beni a basso costo prodotti
dalla Cina: per imballare i suoi prodotti la Cina ha importato per
anni plastica da riciclare. Fino a quando la Cina ha deciso di non
importare più queste plastiche per svilupparle in casa: la Cina ha
dunque capito che riciclare conviene, ma c'è anche una volontà
politica dietro, perché questa scelta discende dai dazi di Trump.
Cosa sta succedendo al nord? Che legame
c'è con lo scontro Usa Cina e la guerra dei dazi? Qual è il ruolo
delle mafie?
LE inchieste sui rifiuti raccontano
dell'arretratezza del nostro ciclo di riciclo dei rifiuti:
l'inchiesta di Sabrina Carreras è partita da Asti, dalla Benassi.
Esportavano plastica in Cina, prima del
blocco: ora hanno un surplus di materiale che si è deprezzato.
Stesso discorso per la carta riciclata:
i magazzini italiani si stanno riempiendo di plastiche e di carta,
che non riusciamo ad esportare.
Noi siamo leader nella raccolta della
differenziata: ma le aziende italiane non riescono a competere con le
concorrenti estere – racconta il capo della rete Relife – perché
non riescono a fare gli investimenti necessari per riciclare i
materiali.
Il rifiuto del riciclaggio va a
smaltimento con un costo a 160euro a tonnellata, un costo che è
quasi raddoppiato in pochi anni e sono pochi i siti che li accettano.
Ecco perché bruciano i siti: abbiamo
tanti rifiuti che non riusciamo a smaltire, quelli che una volta
mandavano in Cina.
E che rimangono stipati in capannoni
abbandonati e che oggi vanno a fuoco: ci sono imprenditori criminali
nel settore dei rifiuti che oggi stanno cercando di lucrarci sopra,
raccontano i carabinieri del nucleo rifiuti.
Il nord attira la maggior parte di
rifiuti, perché qui ci sono gli inceneritori: questi imprenditori
anziché trattare i rifiuti in modo corretto, li bruciano e così
risparmiano i costi.
E possono chiedere prezzi che mettono
gli altri imprenditori onesti fuori mercato.
A Corte Leona è stata scoperta una
organizzazione che aveva di mezzo trasportatori, un imprenditore che
procacciava capannoni dismessi: in questi i camion sversavano rifiuti
anche in pieno giorno.
La dottoressa Dolci della DDA,
intervistata, spiegava come oggi si stia cercando di capire se c'è
una regia unica della mafia: è un traffico che prevede pene molto
basse, dunque il traffico di rifiuti conviene, solo pochi anni di
carcere (se si prende il carcere).
Sui roghi degli impianti bisogna tenere
gli occhi aperti, si ripetono più spesso: dovremmo investire di più
nel riciclaggio, ma oggi, chi paga i roghi?
Dopo un rogo bisogna chiedersi cosa si
è liberato nell'aria, cosa si è deposita nei terreni: Tiziana
Siciliano, capo del pool ambientale di Milano, spiega che la legge
sugli ecoreati è poco chiara nello stabilire le soglie di
punibilità.
LA Diossina è pericolosa, anche a dosi
basse, se si è esposti nel tempo.
Ma a Corte Leona i rifiuti sono ancora
lì, all'aperto e sarà il comune a dover bonificare.
Anche a Gessate è stato trovato un
capannone di rifiuti in mano a società con strutture complesse, è
difficile risalire ai proprietari: così il sindaco ha ora l'onere di
gestire quella bomba ecologica, sia per il controllo che per la
bonifica.
Un costo stimato in 300 mila euro, una
spesa che bloccherebbe la spesa corrente del comune per diversi anni:
è un problema che anche altri comuni della Lombardia hanno e
servirebbe una legge organica.
Il TMB è un impianto di trattamento
rifiuti a Roma, pubblico, nel cuore di un quartiere di Roma: la puzza
dei rifiuti ha ammorbato un quartiere. È andato a fuoco nel dicembre
scorso e gli investigatori stanno cercando di capire se è stato un
rogo doloso o meno.
La gente del quartiere è esasperata
per la puzza e non solo per quella: qui arrivava il rifiuto “tal
quale” da tutta Italia, un impianto a poche decine di metri dalle
case delle persone, da un asilo nido.
L'impianto appartiene all'AMA, ha avuto
l'autorizzazione nel 2011: da quella data la puzza dei rifiuti ha
impregnato l'aria, le persone che abitavano a fianco erano costrette
a rimanere chiuse in casa e a coprirsi la bocca, poi i bruciori agli
occhi, alla gola.
Alle proteste dei cittadini l'AMA ha
risposto che avrebbe messo dei filtri, ma nel frattempo la gente se
poteva scappava, causando anche un danno ai commercianti.
Le istituzioni di Roma non hanno fatto
nulla, anche perché manca una legge nazionale che regoli la
questione degli impianti vicini alle case: la carenza normativa
implica che non si possa chiudere l'impianto, solo perché coi suoi
miasmi rende invivibile la vita attorno.
MA il TMB lavorava anche in modo
sbagliato i rifiuti: troppi rifiuti che riempivano le fosse, perché
Ama non aveva sbocchi per i rifiuti della capitale.
L'impianto era un modo per nascondere i
rifiuti della capitale, quando non si poteva portarli fuori regione
(visto che nella regione Lazio c'è carenza di inceneritori e di
discariche).
L'ex assessore Montanari aveva promesso
che l'impianto sarebbe stato convertito, ma le persone non si fidano
più del comune.
Il bilancio dell'Ama è stato bocciato,
si aspettano nuove nomine: si attende il nuovo piano industriale per
la città, visto che la percentuale di raccolta differenziata è
sotto la media nazionale.
Se non ricicliamo, se non sfruttiamo
l'economia circolare, andiamo a buttare un tesoro.
Il caso Treviso.
Treviso dovrebbe fare scuola per tutta
l'Italia: i cittadini virtuosi sono premiati, pagano il 34% in meno
rispetto alla tariffa nazionale, perché riciclando i rifiuti si
recuperano dei beni, da cui si ricavano dei soldi.
E riciclando si attirano investitori e
altre imprese: la Fater smart ricicla i pannolini, per le 900
mila tonnellate che oggi normalmente vanno in discarica. Alla Fater
smart recuperano cellulosa, plastica e altri polimeri: tutto con
tecnologia italiana.
Si è creata una nuova filiera ecologia
in cui tutti ci guadagnano: peccato che manchi una legge che consenta
a questa azienda di poter vendere i propri prodotti, che non sono più
rifiuti.
In un rimpalleggio di responsabilità
si aspetta un decreto da dieci anni.
Ecopneus è un consorzio che si occupa
del riciclo dei pneumatici: non si possono più portare in discarica
ma da loro si possono tirar fuori tanti prodotti.
Anche qui, come a Treviso, manca una
legge che consenta di vendere i prodotti che si ottengono dal
riciclo.
Ideaplast ricicla la plastica, per
realizzare prodotti come la cassetta in uso nei supermercati, che non
avrà mai fine vita, potrà essere riciclata a sua volta, per
diventare giocattolo.
Tutti ci guadagnano: i supermercati, i
cittadini, la Ideaplast.
Lo Stato e le pubbliche amministrazioni
dovrebbero scendere in campo: nel 2016 è stata emanata una legge per
invogliare l'acquisto di prodotti riciclati.
Significa, col Green impact
procurement, dare mercato ai prodotti green, riciclati, si creano
posti di lavoro in aziende che fanno riciclo, si tolgono rifiuti che
magari finiscono nelle mani delle mafie.
L'asfalto in plastica riciclata:
trent'anni fa era stato sperimentato in Italia l'asfalto in plastica
riciclata, l'inventore era il professor Ganapini ed era stato
prodotto dalla Enichem.
L'asfalto è stato sperimentato a
Ragusa, un posto con le condizioni peggiori, per il caldo e la
salinità.
Era un asfalto migliore di quello
“normale”: avevamo tutto, il bitume, la tenologia, i rifiuti, ma
poi alla fine la politica decise di bruciare quei rifiuti, per fare
energia.
E così alla fine non si è fatto
nulla: la politica decise che conveniva mangiare sopra le buche nelle
strade, nei costi per creare i costosi impianti inceneritori.
Abbiamo perso troppo presto la gara per
l'innovazione: fino agli anni 90 avevamo le migliori tecnologie per
le pali eoliche, facevano i gestori per i biogas, avevano a Nettuno
la fabbrica per fare il silicio, potevamo fare un circuito virtuoso
con cui mettere assieme la ricerca, l'industria per il bene
dell'ambiente.
Abbiamo perso tutte queste industrie,
spendiamo poco in ricerca. E la politica che fa?
Parla di immigrazione, di cantieri da
aprire, di TAV, sta dando alle regioni le chiavi per la gestione
dell'energia e dei rifiuti, ognuno potrà fare di testa sua ..
No, i temi ambientali sono decisamente
fuori moda.
Sulla pagina Facebook di Presadiretta trovate tutti i documenti citati nel servizio.
Il verde Costarica
Il Costarica fa 5 ml di abitanti: tutta
l'energia del paese arriva da fonti rinnovabili, una sola bolletta da
50 dollari al mese, per tutti gli elettrodomestici.
Pale eoliche per prendere energia dal
vento e realizzate da un'azienda pubblica (il privato non può per
legge superare la quota del 30%).
Centrali idroelettriche che sfruttano
l'acqua delle grandi riserve idriche.
Batterie che immagazzinano l'energia
prodotta che viene messa in rete in modo da non perderla: reti locali
che si scambiano energia uno con l'altro.
Tutti gli impianti sono realizzati
tenendo conto delle comunità.
L'energia in surplus viene venduta agli
altri paesi del centro America.
Altra risorsa che viene sfruttata è il
geotermico: ci sono diversi impianti, anche di provenienza italiana,
per estrarre il calore dalle profondità sottoterra e che emanano
solo vapore nell'aria.
Ci sono poi gli impianti solari, anche
quelli dei privati sui tetti delle case e degli hotel: gli impianti
solari costano alle famiglie 1000 dollari circa e si rientra nei
costi in tre anni.
La Costarica è una democrazia da 200
anni, dal 1949 non ha un esercito e i soldi risparmiati sono
investiti in istruzione e ricerca.
Le energie fossili non sono usate,
perché li costringerebbero ad importarli dall'estero, diventando
dipendenti.
Sono un piccolo paese ma hanno una
domanda di energia superiore ad altri paesi della stessa zona: il
Costarica è la dimostrazione che è possibile usare in un paese solo
energie rinnovabili, basta solo la volontà politica.
E anche i produttori di caffè hanno
seguito la scelta ecologista, per la raccolta e la produzione, in
modo sostenibile e senza carbone o petrolio.
Rimane da affrontare il problema delle
emissioni delle auto che costituiscono il 40% del totale: i trasporti
e la mobilità nelle città sono la prossima sfida del paese.
La direzione è quelle delle auto
elettriche, entro il 2035 si vieterà la vendita di auto a benzina,
che sono tassate per raccogliere soldi per la migrazione
all'elettrico anche nel trasporto pubblico.
Il prof. Micangeli ha parlato del
sistema minigreed, mini reti con cui scambiare quell'energia che uno
è in grado di produrre e che è in surplus: un modello che è
applicabile non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche qui da
noi.
Il Costarica difende e custodisce il
proprio patrimonio ambientale: difendono le piante, le biodiversità
degli ecosistemi. Si difendono piante e animali come si difendono le
persone.
Il tutto per dare al paese (e anche al
mondo) un futuro migliore.
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