Il made in Italy va difeso, per tutelare le nostre aziende, le competenze delle persone che vi lavorano: ma cosa si nasconde dietro un marchio italiano?
Presadiretta si occupa della filiera del calzaturiero
Luci e ombre sull’industria calzature. Come funzionano filiera e sistema appalti e subappalti? Chi controlla sostenibilità e catena produzione? Come funziona la certificazione? Qual è il vero costo delle nostre scarpe?
Ci sono le acque inquinate dall'industria della pelle da cui si producono le scarpe, le piccole ditte che lavorano in subappalto e che sono strozzate dal ricatto dei grandi brand che impongono prezzi bassi. E poi le fabbriche nell'est Europa che producono le scarpe che poi compriamo come made in Italy, a prezzi folli, con dentro persone pagate con salari da fame, da 1 euro all'ora, perché questa è la paga.
La filiera delle scarpe è una delle più complesse e meno indagate nel mondo della moda – racconta nell'anticipazione la giornalista Giulia Bosetti - i marchi del lusso si forniscono di fornitori di primo, secondo e terzo livello, appalti e subappalti, per ogni brand decine o centinaia di terzisti tagliano, cuciono e assemblano le varie parti della scarpa, dalla tomaia che è la parte superiore, alla suola.
Ci sono marchi dove la suola è fatta in Italia mentre il resto è fatto e assemblato in Turchia, con un costo da 25 a 27 euro, prezzo non paragonabile a quello che si trova nei negozi italiani, dove quelle scarpe si vendono anche a 400 euro.
Come è possibile che un prodotto venduto dal fornitore a 31 euro, arrivi ad un prezzo di mercato di 400 euro, con una ricarica di dieci volte?
Il produttore che ha accettato l'intervista non può fare il nome del brand, altrimenti perderebbe il contratto, perché tutti fornitori dei marchi del lusso sono costretti a firmare rigidissime clausole di riservatezza, se dichiari, per chi lavori, se ti lamenti dei prezzi che ti affamano, sei fuori dal mercato.
“Nessuno denuncia” racconta uno di questi, perché parliamo di un sistema - “ad un certo punto ho dovuto arrendermi all'evidenza e dire ho fallito, non ce la faccio e ho gettato la spugna”.
Questa imprenditrice che ci ha messo la faccia, ha chiuso la sua attività.
Un altro di questi imprenditori, che ha scelto di non mostrarsi, fa qualche nome di questi marchi, Givenchy, Barbery, il gruppo LVMH: “loro devono avere più margine possibile per avere il maggior profitto possibile.”
LVMH è una multinazionale del lusso, una delle più grandi al mondo, 75 maison, 44.7 miliardi di euro di fatturato, detiene brand come Luis Vitton, Fendi, Dior, Loropiana. L'azionista principale è Bernard Arnoult, molto felice del record di profitti raggiunto, uno dei tre uomini più ricchi al mondo, con un patrimonio, netto di 188 miliardi di dollari.
C'è poi il gruppo Kering, 10 miliardi di fatturato e una galassia di brand che vanno da Gucci a Yves Saint Loren, da Bottega Veneta a Valenciaga.
La persona intervistata dalla giornalista lavora per questi gruppi, il suo compito è fra produrre le collezioni in Italia e all'estero e vengono richiesti sempre tempi di consegna inferiori per prezzi sempre inferiori.
La differenza tra i prezzi con cui questi capi vengono venduti sul mercato e il prezzo a cui vengono pagati a queste aziende è enorme: “noi troviamo un capo spalla che il fornitore vende a 100 euro venire tranquillamente venduto a 2500, 3000 euro in negozio.. ”
Giuseppe Iorio è un manager del settore della moda, direttore della produzione della ITIERRE: a Presadiretta racconta di aver delocalizzato aziende del settore per anni per i grandi gruppi “da un punto di vista economico io posso dire che hanno fatto un'operazione brillante perché comprare a 12 e vendere a 200, vuol dire che veramente hai il cervello, ma da un punto di vista morale, non è concepibile. Questo gap, questa differenza finisce nelle tasche a dei produttori italiani che se ne sono andati in Romania, con la connivenza dei grossi marchi, con la connivenza di confindustria e soprattutto con la connivenza della camera della moda. ”
“Pochi lo sanno ma l'Italia ha il primato in Europa per l'industria della conceria” - racconta Iacona, ma ha anche un impatto ambientale della filiera: per produrre la pelle, il materiale base per le scarpe, servono tonnellate di agenti chimici, tra questi anche il cloro che è molto inquinante: ne sanno qualcosa nel distretto di Prato, dove la procura sta indagando per sversamenti illeciti da parte di industrie del settore, dove di mezzo c'era anche la ndrangheta.
O ad Arzignano, dove Presadiretta aveva fatto uno dei suoi primi servizi sul settore della concia della pelle: anche qui la pianura e la falda sono state inquinate dall'industria della pelle,
Salari da fame, inquinamento ambientale, ma chi controlla la filiera di queste aziende non si accorge di queste storture? Chi sono gli enti che danno le certificazioni alle aziende della moda?
Perché è un
problema che non riguarda solo le aziende nel sudest asiatico o
nell'est Europa, ma anche qui da noi: pochi giorni fa a Prato, gli
operai che stavano scioperando davanti la Dreamland (azienda
nel settore tessile) sono stati aggrediti con bastoni e mazze, come
era già successo gli operai della Texprint.
In questo paese pare stia diventando un rischio manifestare a difesa delle proprie
condizioni di lavoro: “mai più schiavi” è quello che chiedono queste persone assunte con contratto da apprendista e che però
lavorano da tre anni 12 ore al giorno per sette giorni, per una paga
da 950 euro al mese. E quando finisce il contratto da apprendista, il
padrone può cacciarli via: qui il contratto nazionale, con orari ben
definiti, con tutele per tutti, è un tabù. Gli operai intervistati
da Giulia Bosetti raccontano che se ti succede un incidente in
azienda, si viene portati in ospedale con una macchina privata, non
si chiama mai l'ambulanza per non tirare in ballo l'azienda.
Nel settore tessile a Prato c'è un sistema che si basa sullo sfruttamento (come anche in altre zone del paese) e queste persone stanno lottando per tutti, non solo per loro. E l'azienda cosa risponde? “hanno iniziato loro a picchiare, se la sono cercata”.
Lo stato, qui a Prato, come altre zone di caporalato e sfruttamento, dove sta?
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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