Tutto sul mondo dei vaccini: come funziona la loro produzione, il ruolo della ricerca, a che punto è il vaccino italiano, chi ci ha guadagnato tanto dai vaccini e infine lo scandalo dei paesi poveri, lasciati soli con la pandemia.
I vaccini basati su mRNA sono nati grazie al lavoro di ricerca di scienziati incredibili: tra questi la biochimica ungherese Katalin Karikò, la pioniera dell'RNA messaggero, la prima ad averne intuito le capacità ben prima dell'arrivo del covid.
“Ero ossessionato da questa proteina” racconta a Presadiretta, partendo dalla sua infanzia, dalla scelta di diventare scienziata da grande, gli studi in Biologia. La scoperta del RNA messaggero fatta nel 1961 iniziò subito ad interessarla: ci si chiedeva chi trasporta le informazioni del DNA fuori dal nucleo alle cellule? E' proprio il mRNA che venne sintetizzato in laboratorio in Ungheria da Katalin Karikò.
Col crollo del muro di Berlino e la realizzazione che in Ungheria non avrebbe potuto proseguire le ricerche, Katalin mise da parte i soldi e riuscì ad andare in America per poter riprendere i suoi studi.
Ma anche in America i primi anni sono stati difficili, per lo scetticismo nei confronti dell'RNA, ma lei sapeva che poteva servire a qualcosa, Katalin.
Ci sono voluti tanti sforzi, tanti fallimenti, prima di poter iniettare un mRNA artificiale dentro un organismo senza che si scatenasse nessuna infiammazione: dal 2005 la svolta, la sua ricerca inizia ad interessare anche altre aziende, come Biontech che inizialmente usarono questa scoperta contro il cancro.
Ma poi, nel 2020, l'arrivo del Sars Cov2, gli studi di Biontech “mutano” verso la sperimentazione di un vaccino contro questo virus, per arrivare poi al vaccino Biontech, il primo vaccino mRNA della storia.
Ci sono effetti a lungo termine per questo vaccino? Nel corpo si inietta solo una piccola parte del virus, per scatenare una reazione immunitaria, il virus è molto più pericoloso – la risposta immediata della scienziata ungherese.
Viva la ricerca, dunque: la gara al vaccino l'hanno vinta i paesi che nella ricerca hanno creduto e investito, ma come mai l'Italia a questa gara non ha nemmeno partecipato?
In Italia si fa solo “infialamento”, la fase finale della produzione, quella a minor valore aggiunto, seppur importante: i siti di produzione esteri portano in Italia la materia prima, che viene custodita in caveau, tanto è importante.
I vaccini sono prodotti biologici, sviluppati attraverso cellule viventi, non sono prodotti di sintesi chimica come l'aspirina: per produrre vaccini servono competenze e investimenti, servono i bioreattori per realizzarli, diventati oggi quasi un bene introvabile.
Dietro ogni fiala c'è una lavorazione di cento giorni, con 5000 passaggi diversi: le aziende specializzate per la produzione di questi vaccini sono altamente specializzati, con reparti asettici, con controlli ossessivi, come nello stabilimento belga GSK che Presadiretta ha visitato.
GSK non è riuscita a produrre un suo vaccino, ma ha stretto accordi con altre aziende per la produzione: inizialmente fu scelta Sanofi, per un vaccino proteico, per poi tornare indietro da questa scelta dopo il fallimento di questa strada.
Altri vaccini non sono andati avanti, dopo le prime sperimentazioni: il vaccino tedesco di Kurevac è fallito, così come la procedura per autorizzare Sputnik è ferma, racconta Guido Rasi, ex direttore Ema.
La primavera scorsa, per rafforzare una campagna vaccinale a singhiozzo, tra ritardi di consegna dei vaccini autorizzati e incognite sugli altri candidati, il commissario all’industria europeo, Thierry Breton, chiama a raccolta le aziende di tutta Europa per chiedere rinforzi alla filiera e anche l’Italia si dice pronta.
E il 4 marzo 2021 il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti lancia il piano di produzione di vaccini made in Italy, da realizzarsi nel nostro Paese in tempi rapidi e con obiettivo ambizioso: indipendenza vaccinale entro l’anno.
Sul piatto si mettono anche i soldi: 200 milioni di euro sono sbloccati subito nel decreto sostegni “per interventi di ricerca e riconversione industriale nella produzione di vaccini”. Altri finanziamenti, fino a 400 milioni, arrivano nel decreto sostegni bis, ma il consorzio italiano ancora è fermo oggi.
Cosa resta dei proclami del governo? Dei quattro vaccini contro il Covid finora autorizzati in Europa, nessuno è fabbricato in Italia a partire dal principio attivo. Da noi, si fa l’ultima parte della filiera, quella che in gergo tecnico si chiama “fill and finish”, cioè la fase di infialamento e confezionamento.
“Quella dell’infialamento non è alta tecnologia. Quindi l’Italia non ha voce in capitolo sulla parte produttiva. La parte produttiva rimane in capo al produttore”. Per Guido Rasi – microbiologo, ex direttore dell’EMA intervistato da Daniela Cipolloni – “la capacità produttiva dell’Italia è zero”.
In Puglia, alla Lachifarma si lavora per la produzione di un vaccino: qui hanno investito 20ml per fare produzione, non della materia prima, e stanno anche cercando un accordo col Mise.
Servono soldi per produrre vaccini e fare ricerca, come ha fatto l'America che nel marzo 2020 ha messo sul piatto 15 miliardi, mentre qui pur avendo un'industria farmaceutica, siamo rimasti indietro, e lo stesso è successo col vaccino italiano di ReiThera.
Presadiretta è entrata nei reparti di ricerca di ReiThera dove ha incontrato Stefano Colloca, responsabile della ricerca: qui hanno lavorato sul vaccino a partire dalla ricerca sul gorilla, si basa su un principio simile a quelli di Astra Zeneca, Johnson & Johnson o il vaccino russo Sputnik, si usa cioè un virus inattivo di scimmia che contiene le istruzioni genetiche per produrre la proteina spike del Sars-Cov2 e quindi generare gli anticorpi.
Qui sono pronti, con strutture nuove, enormi bioreattori, capaci di produrre fino a 100ml di dosi l'anno, partendo sin dalla materia prima del vaccino e diventando così la prima azienda italiana capace di produrre un vaccino anti-covid.
La sperimentazione del vaccino ReiThera si è fermata alla soglia della fase 3, quella che coinvolge migliaia di persone per verificare sicurezza ed efficacia: “stiamo aspettando di trovare il sostegno finanziario per passare alla fase 3, che è quella che costa di più e che noi non possiamo sostenere con le nostre risorse finanziarie, avremmo bisogno di circa 60ml” .
Fino a pochi mesi fa ReiThera aveva il vento il poppa, per il supporto della regione Lazio, dell'istituto Spallanzani, tutti facevano il tifo per il vaccino italiano.
La fase prima della sperimentazione fatta alla Spallanzani arrivano ad inizio 2021 ed erano incoraggianti: il governo Conte scommetteva su questo vaccino, lo Stato era entrato in ReiThera acquistandone delle quote tramite Invitalia.
Ma alla fine la Corte dei Conti ha bloccato tutto, bloccandone il finanziamento per la parte che riguardava il mutuo della sede di produzione.
Il blocco dei soldi sta fermando i lavori, poi è arrivato anche la questione Astra Zeneca, col rischio trombosi perché bisogna capire se tutti i vettori virali come quello ReiThera hanno questo rischio.
Anche il supporto dello Spallanzani cala, come anche quello della regione Lazio, la cui attenzione si è spostato sul russo Sputnik.
Ad aprile si è siglato un accordo con Mosca, per questo vaccino: un accordo di tre anni in cui si studierà la variazione dei virus, con uno scambio di dati e conoscenze tra Spallanzani e la Russia. Va ricordato che lo Spallanzani è stato il primo istituto ad isolare il virus.
Come mai lo Spallanzani ha abbandonato ReiThera? Come mai è la regione che sta seguendo gli accordi tra Spallanzani e la Russia, e non il ministero della Salute?
A rispondere alle domande di Presadiretta è stato il direttore scientifico Girardi che ha preso il posto del dottor Ippolito che spiega che hanno preferito seguire Sputnik dopo la pubblicazione dei risultati su Lancet della sua efficacia. Sputnik avrebbe una efficacia dell'81% mentre Pfizer è pari all'88%, non molto distante.
E il vaccino italiano ReiThera? Come spiega Stefano Colloca “non è vero che siamo fuori tempo massimo, ci sono le varianti che impazzano, c'è il mondo che ha bisogno di dosi di vaccino, c'è interesse in paesi esteri che hanno difficoltà ad approvvigionarsi del numero sufficiente di dosi e quindi riteniamo che un vaccino come il nostro che ha un costo decisamente più basso di quello dei vaccini RNA possa essere importante.”
Anche perché si conserva in condizioni più agevoli, a 4 gradi, in un normale frigorifero: anche se il vaccino ReiThera non ci avrebbe reso indipendenti, la nascita di un polo industriale avrebbe rappresentato un volano per la ricerca italiana: perché la ricerca è un'attività costosa e rischiosa – prosegue Stefano Colloca – perché non puoi sapere quando inizia a sviluppare un prodotto se avrà successo o no. Questa attività non può essere, specie nel caso di piccole biotech come ReiThera, finanziata a debito, devono essere finanziamenti a fondo perduto, ci deve essere una condivisione del rischio, in cambio si ha un ambiente favorevole alla ricerca sulle biotecnologie e che sarà utile sfruttare nel futuro.
In questo senso il confronto con paesi come Stati Uniti è impietoso: Moderna è stata finanziata in una fase molto precoce della pandemia con 1,2 miliardi dal governo americano, il finanziamento ricevuto da ReiThera, solo in parte a fondo perduto è di 60ml.
Il governo andrà avanti nella sperimentazione del vaccino italiano, assicurano Giorgetti e Speranza, il progetto ReiThera non verrà abbandonato.
Ma una cosa è certa, le aziende che hanno investito sui vaccini hanno ora il pallino in mano: possono imporre all'Europa e ai paesi nel mondo il prezzo per le fiale.
Nel 2022 a dominare la scena in Europa sui vaccini, dopo l'estromissione di Astra Zeneca, ci sono le multinazionali americane: Pfizer con la fornitura di 1 miliardo di dosi e Moderna per altre 150ml di dosi. Entrambe le compagnie con i contratti stipulati con la commissione europea hanno aumentato il prezzo del loro vaccino, come trapela da una rivelazione del Financial Times.
Una fiala di Pfizer ora ci costa 19,50 euro, contro i 15,50 di prima, mentre una fiala di Moderna 25,50 dollari rispetto ai 22,60 dollari precedenti (19 euro precedenti).
A giustificare i rincari sarebbe l'efficacia contro la variante delta.
Per capire se sono prezzi giusti i giornalisti di Presadiretta sono andati a Ginevra da una esperta di politica sanitaria globale a capo del Global Health Center, Suerie Moon: “non c'è una legge che regola i prezzi a livello internazionale, per questo quando i paesi hanno un disperato biisogno di vaccini, come è successo, il venditore ha un forte potere negoziale e può chiedere un prezzo più alto. Per me però idealmente le aziende dovrebbero vendere ad un prezzo vicino al prezzo di produzione, specie durante una pandemia, questa non è una situazione normale e a maggior ragione perché molte aziende non si sono assunte grandi rischi e non hanno messo molti investimenti di tasca propria. La maggior parte degli investimenti sono arrivati dal settore pubblico, dai governi. Ma davvero non credo ci sia alcuna giustificazione nel far pagare un prezzo alto.”
LE case farmaceutiche hanno ricevuti sussidi pubblici in tempi record, con ordini di pre-acquisti da parte degli Stati, anche se il vaccino non fosse stato efficace, altro che rischio di impresa. Ma le case farmaceutiche non la pensano così.
Secondo un rapporto pubblicato da Publiccitizen, organizzazione statunitense a tutela dei consumatori, produrre un vaccino mRNA costerebbe meno di tre euro a dose, mentre un vaccino a vettore virale, come quello di Astra Zeneca, poco più di 1 euro.
Ci sono vaccini economici come Astra Zeneca, venduto quasi a prezzo di produzione, al più caro, Moderna: per il 2021 Pfizer prevede un fatturato di 33 miliardi di dollari solo dalle vendite del suo vaccino. Moderna sfiora i 20 miliardi.
Pfizer racconta che sta offrendo questi vaccini al costo di un pasto completo, ma è una cosa giusta in un momento di pandemia?
Spiega Nicholas Lusiani di Oxfam America: “tutte le aziende comprese Johnson e Johnson e Astra Zeneca hanno dichiarato che quando la pandemia sarà finita non ci saranno più vincoli sul prezzo. Il direttore finanziario di Pfizer ha dichiarato che potrebbero alzare il prezzo a 150-175 dollari a dose, sarebbe un aumento di quasi il 900% sul costo dei richiami.”
Frank D'Amelio, CFO di Pfizer, ammette che a fine pandemia il vaccino sarà venduto a prezzo di mercato, perché è una importante occasione commerciale.
Ma come la mettiamo coi paesi poveri?
Non c'è niente di sbagliato nel profitto di per sé – continua Lusiani - ma ci sono due condizioni: se questi profitti vanno a discapito dell'accesso ai vaccini, allora è un problema. La maggior parte dei paesi poveri non avrà pieno accesso ai vaccini fino al 2024, e la massimizzazione dei profitti delle case farmaceutiche è uno dei responsabili. Il secondo aspetto riguarda ciò che fanno le aziende coi loro profitti, perché è logico pensare che se ci sono stati investimenti pubblici debba esserci anche un ritorno pubblico, un beneficio pubblico, ma non è stato così.
Ci sono esempi virtuosi, come Biontech, che ha investito tutti i profitti in ricerca, per le cure sul cancro ad esempio.
Ma altri colossi farmaceutici hanno pensato solo alla loro fortuna, pagando dividendi milionari che avrebbero potuto essere usati per vaccinare paesi africani. MA come hanno fatto ad ottenere questi prezzi alti?
Si torna alla Commissione Europea, agli accordi secretati, ai negoziatori degli accordi, alla scarsa trasparenza che purtroppo l'Europa ha mantenuto.
Certo c'era una grande pressione, sia da parte dei paesi europei, sia da parte delle aziende farmaceutiche, che hanno strappato quasi un accordo in bianco.
Nessun obbligo di consegna, nessun obbligo per gli indennizzi, a pagare in caso di problemi saranno gli stati, si sta creando un precedente per scaricare sul pubblico la parte negativa degli accordi.
Perché i verbali dei negoziati non sono pubblici? Il potere delle lobby in Europa è molto alto, come se la commissione avete più a cuore gli interessi commerciali che non la salute delle persone.
Nel mondo le dosi di vaccino non sono arrivate in modo equo: nei paesi poveri sono arrivate meno del 3% delle dosi, i paesi più ricchi si sono accaparrati le dosi per i loro cittadini (alle condizioni delle aziende, come si è visto) mentre in altri paesi le dosi sono un bene raro.
OMS sta criticando l'uso della terza dose da parte dei paesi europei: la questione cruciale è quella dei brevetti, grazie a cui le aziende possono dettare legge sulla produzione.
Alcuni paesi avevano proposto la sospensione dei brevetti, ma l'Unione Europea, Svizzera e Giappone si sono opposti alla votazione al WTO.
Altrimenti il rischio è far proliferare le varianti, che potrebbero bypassare questi vaccini.
Ma per big pharma il problema sono le materie prime, che iniziano ad essere scarse, citando il caso di Moderna che però non ha liberalizzato il suo brevetto, ha solo spiegato che non avrebbe fatto cause.
Ma oggi, con la pandemia in corso, con i governi che hanno pagato in anticipo la ricerca e la produzione dei vaccini ad aziende private, ha ancora senso parlare di brevetti e di tutela della proprietà intellettuale?
Suerie Moon è convinta che adesso si deve fare lo sforzo di andare oltre questo limite, per tutelare il mondo di domani.
Liberalizzare la produzione dei vaccini significa tutelare anche noi stessi: la variante delta è l'emblema di quello che può succedere in un ambiente con poca vaccinazione.
In India il virus ha trovato le condizioni migliori per mutare: terminata la prima fase sono cessate le restrizioni, niente mascherine né distanziamento e questa è stata la miccia della seconda ondata. In India sono arrivate a morire 4000 persone al giorno, ed era una stima in difetto: la variante delta, causata anche dalla scarsità di vaccini, ha poi attaccato l'Europa.
Eppure l'India è una potenza di fuoco in ambito farmaceutico: qui si producono i vaccini Astra Zeneca, ma ad un prezzo più altro del valore di produzione e così il paese è rimasto senza vaccini, causando anche situazioni di speculazione.
Non possiamo lasciare questa partita nelle mani del libero mercato: per capirlo, Presadiretta è andata assieme ad Amref per seguire la vaccinazione in Kenia.
Dove le persone vivono con pochi dollari al giorno, dove la salute delle comunità è in mano a pochi volontari scelti, dove l'acqua si paga, il governo non garantisce acqua o altri beni primari.
Sono operatori volontari come Patrick che si muovono nelle comunità locali, per spiegare come gestire il covid. Qui sentir parlare di no vax fa quasi rabbia.
Abbiamo fatto solo promesse ai paesi africani, arrivano poche dosi e pure in ritardo, altro che finta generosità da parte della ricca commissione europea.
Metà della popolazione del mondo è rimasta fuori dai vaccini, finché rimarrà questa situazione non potremmo pensare di eradicare il virus: a fine anno si deciderà della sospensione dei brevetti, nella speranza che questa volta il peso di miliardi di persone sia superiore a quello di poche migliaia di azionisti.
L'ultima parte del servizio è stata dedicata al centro oncologico di Nerviano, uno dei punti di ricerca sui tumori più importante in Italia, creato dalla ex Carlo Erba.
I suoi problemi sono nati col passaggio del centro al controllo dei frati dell'immacolata concezione che hanno indebitato il centro, nemmeno la regione Lombardia è riuscita a salvarlo.
Ora il centro di Nerviano è stato acquistato da un fondo cinese e non ci sono garanzie per il futuro.
Futuro che è nero in Italia, sia per il settore farmaceutico, da cui di fatto siamo stati tagliati fuori, sia in generale per la ricerca: dovremmo investire molto di più, come altri paesi europei, come Francia e Germania. Per non essere dipendenti da altri paesi, per vaccini e medicinali. Per la salute degli italiani. Ma evidentemente i governi, compreso quest'ultimo, hanno altre idee per la ricerca.
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