22 ottobre 2021

Chi ha ucciso Sarah, di Andrej Longo

 


«Marò, che caldo» ha detto Cardillo. «Ma secondo voi è normale tutto 'sto caldo?».
E si sciosciava col berretto della divisa a cercare un refolo di fresco.

Io stavo provando a sistemare certe pratiche sopra al computer che da un mese tenevamo in dotazione. Però non ci capivo niente e un altro poco si squagliava pure il cervello.

Quello che state per leggere, o che avete già letto, è la storia di una indagine. La morte di una ragazza di poco più di vent'anni trovata morta dentro l'androne di un palazzo signorile, in via Cipriani, zona Posillipo, a Napoli.

Ma, attraverso le indagini portate avanti dal protagonista, l'agente Acamfora,io narrante di tutta la storia, l'indagine si allarga a tutto il palazzo, a tutto il quartiere, a tutta Napoli. Chi ha ucciso quella ragazza, così giovane e così bella, che conduceva una vita normale, gli studi, un ragazzo?

Stava sdraiata per terra, tra le scale e il portone dove mi trovavo io, con la faccia girata verso il pavimento. E stava intorcinata su sé stessa, come una gatta che dormiva.

Ma lei non dormiva.

Era morta.

Sarah Longo viveva in quel palazzo, assieme ai suoi genitori. Un fidanzato, con cui aveva litigato poco prima, che l'aveva lasciato a casa mentre lui era partito a Capri, per le vacanze.

E' lui l'assassino?

Gli occhi erano ancora aperti, spaventati, e neri, uguali a due pezzi di carbone. Pareva che mi guardava e voleva dirmi qualcosa. I capelli invece erano biondi, un po' arricciati. In mezzo alla fronte ci stava uno sgarro, una ferita bella profonda, come se l'avessero colpita in testa.

O forse è stato l'ex fidanzato, uno poco di buono, per dei precedenti e perché viene da un quartiere con una brutta nominata, non come a Posillipo, dove tutto e lindo e pulito e ci sta solo brava gente.

Forse è lui, l'assassino di Sarah, Genny, uno che viene chiamato “il pianista”, per quella sua tendenza ad alzare le mani.

Assieme al commissario Santagata, l'agente Acanfora inizia quell'indagine così difficile che lo coinvolge direttamente, perché è il suo primo delitto, perché non riesce a togliersi dalla mente quegli occhi che lo guardano fissi, quasi ad implorarlo nella ricerca dell'assassino e dei perché di quella morte:

Però a un certo punto, che finalmente pareva arrivato il momento, mi sono comparsi davanti gli occhi di Sarah. Io li chiudevo ma loro tornavano ad aprirsi, e mi guardavano fissi, che volevano dirmi qualcosa. Ho cambiato posizione, mi sono sforzato di pensare a un altro fatto, ma gli occhi stavano sempre là.

Avrebbe potuto fare altro nella vita, Acanfora, un ragazzo come tanti di Torre del Greco, per esempio il barcaiolo come il nonno oppure prendere una brutta strada, magari rimanendo invischiato nel giro della droga, come alcuni suoi amici.

Invece il posto fisso, la divisa e ora quell'indagine per un delitto che finisce sulle prima pagine dei giornali perché avvenuto in un quartiere della Napoli bene, in quel palazzo dove vive tanta brava gente, un avvocato, un ingegnere, gli stessi genitori di Sarah.

Eppure, nessuno ha sentito niente se non quell'ultimo incontro col fidanzato, quel pomeriggio, prima che tutto accadesse.

Forse si chiedeva perché mi interessavo tanta quella storia. La verità non lo sapevo nemmeno io. L'unica cosa era che, da quando avevo visto Sarah morta dentro al palazzo, mi pareva che quello che stava attorno non era più tale e quale a prima. E mi ero fatto la convinzione che solo se scoprivo come erano andate le cose, solo se pigliavamo a chi l'aveva ammazzata, riuscivo a trovare di nuovo un poco di tranquillità.

Una strana coppia, questi investigatori: da una parte il giovane poliziotto che vuole rendere giustizia a Sarah per trovare una sua pace interiore, dall'altra quello strano commissario - “non riesco mai a capire che gli gira per la testa” pensa Acanfora, che però piano piano riesce a conquistarsi una certa confidenza per scoprire i pensieri del commissario e anche le cause di quel peso che sembra portarsi dentro.

Ma l'indagine è anche l'occasione per vedere Napoli con occhi diversi, più maturi: una città piena di contraddizioni, palazzi residenziali dove tutto è pulito e lindo e quartieri popolari dove è meglio farsi i fatti propri, non vedere certe cose, non cercare di applicare la legge a tutti i costi.

Ma ci sono anche altre contraddizioni, più sottili: forse tutto quel lustro, quella pulizia nei quartieri alti è solo una questione di facciata, dietro c'è tanta sporcizia, tanta ipocrisia, un pizzico di razzismo contro gli altri, quelli che vengono da fuori.

Perché questa è una città che vede la monnezza solo quando arriva fin sulle strade dei ricchi:

«E' vero» ha detto mia madre, «è diventata una città pericolosa. Adesso non si può stare tranquilli neanche in casa propria».

Io non l'ho risposta, però mi è sembrato che era proprio come diceva il mio commissario, che si preoccupano solo quando la monnezza arriva nelle strade dei ricchi.

Oppure che vede la corruzione sugli appalti per la ricostruzione post terremoto, solo dopo che sono partiti gli avvisi di garanzia e gli arresti contro politici e professionisti.

Io stavo là, senza sapere che fare. Neanche capivo a che serviva che ero andato a quel funerale.

O forse sì che lo capivo.

Ero andato perché uno non può campare così, facendo finta di non vedere quello che gli capita attorno. Perché io, fino ad allora, era sempre a quella maniera che avevo fatto. Che solo delle cose mie mi interessavo. E il resto niente.

Forse ad uccidere fisicamente Sarah è stato uno solo. Ma le ferite, dentro, nascoste, gliele hanno lasciate in tanti, tra le persone che aveva attorno.

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