Come mai Putin è così interessato al Donbass? Cos’è il soft power russo con cui il Cremlino ha influenzato i paesi europei, spendendo 240 ml di dollari, passando per società fantasma e offshore? A seguire un servizio sul gas e sul perché non abbiamo mai puntato sulle rinnovabili e nell’anteprima in servizio sul riciclo del vetro.
L’influenza russa in Europa
La democrazia liberale è una ideologia identitaria, sostiene il filosofo russo Dugin, considerato uno dei consiglieri di Putin, ispiratore delle sue politiche di espansione e di influenza fuori dai confini nazionali.
Questa influenza è avvenuta grazie al gas russo, ai soldi degli oligarchi (i cui beni sono solo in parte congelati, la maggior parte stanno al sicuro in paesi offshore), all’aiuto che la Russia in questi anni ha dato alle formazioni dell’estrema destra in Europa, arrivando a condizionare la politica interna di quei paesi.
Fino a ieri stendevamo i tappeti rossi agli oligarchi, sapendo benissimo chi fossero loro e chi fosse Putin, oggi gli congeliamo i beni con l’accusa di riciclaggio e terrorismo, col rischio poi, se non fossimo in grado di dimostrare le accuse, di doverglieli restituire.
L’invasione russa era stata prevista da Dugin: il servizio di Emanuele Bonaccorsi cercherà di spiegare il suo ruolo nel panorama russo.
In un video amatoriale girato durante il suo ultimo viaggio in Italia Dugin racconta di aver percepito l’odio nei confronti della Russia e contro di lui da certi “centri di influenza liberisti, globalisti che hanno fatto la guerra culturale contro me”.
Questo viaggio, durato 14 giorni, ha portato Dugin in dieci città italiane in cui ha partecipato a incontri, convegni, interviste.
In una di queste gli è stato chiesto come mai lei (Dugin) fa così paura: “sono chiamato da alcuni giornali americani il filosofo più pericoloso del mondo”.
Questo forse perché è considerato l’ideologo a cui si ispira il presidente russo Putin: secondo gli analisti occidentali, le sue teorie sull’euroarianesino avrebbero ispirato il progetto da parte della Russia dell’invasione dell’Ucraina.
Ma
in cosa consiste questa idea di Dugin di Euroarianesimo?
Risponde
il direttore del Center for Democratic Integrity Anton Shekhovstov:
“io definisco l’euroarianesimo come una forma di fascismo, nella
logica dell’euroarianesimo c’è la concezione dello scontro con
l’occidente finalizzato non solo a garantire la sopravvivenza della
Russia, ma a farla tornare grande.”
Ma Dugin ha agito non solo
come filosofo e ideologo, oggi è possibile ricostruire la rete di
relazioni che per anni ha tessuto tra il Cremlino e personaggi
influenti in occidente. In una lettera di cui Report ha preso visione
elabora un
elenco diviso per singoli paesi. Il titolo è emblematico: Paesi e
persone in cui vi sono motivi per creare un club d'élite e/o un
gruppo di influenza informativa sulla falsariga di Russia Today.
Lo
scopo è diffondere posizioni filo russe, coltivare l’ideologia
euroasiatica e minare i principi che fondano l’Europa e
l’occidente.
La scheda
del servizio: LA
LISTA RUSSA di Emanuele Bonaccorsi
Collaborazione
Chiara D’Ambros, Edoardo Garibaldi
L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia era stata teorizzata e prevista dal filosofo e ideologo russo Aleksandr Dugin le cui teorie, secondo molti analisti, sarebbero di ispirazione per la politica di Vladimir Putin. Una lettera riservata inviata da Dugin a un suo collaboratore svela il progetto del Cremlino, messo in atto nell'ultimo decennio: generare un sentimento filo-russo nei Paesi europei, minare dall'interno i valori fondanti dell'Europa, contrastare la gestione unipolare del mondo guidata dagli Stati Uniti. La diffusione di questi valori e la loro penetrazione in Occidente viene spinta da Mosca attraverso un sofisticato quanto poderoso meccanismo di "soft power". Investendo oltre 240 milioni di euro, filtrati attraverso società off-shore e compagnie fantasma, la Russia ha stretto rapporti di collaborazione con forze politiche europee di estrema destra e con esponenti del mondo politico e culturale, indirizzando in alcuni casi perfino le scelte politiche e di governo dei Paesi Europei.
Perché la guerra in Donbass
Donetsk, era
chiamata la capitale sovietica del carbone, diceva Lenin la cui
statua campeggia in una piazza della città, che senza il Donbass il
socialismo rimarrà solo un sogno: perché quel carbone vuol dire
energia, elettricità, acciaio. Peccato che da allora le condizioni
di lavoro di chi estrae il carbone da sottoterra non siano cambiate:
quando la miniera visitata da Report è stata aperta il carbone era
in superficie, oggi si deve scendere a 750 metri di profondità per
estrarlo, ma nel Donbass ce ne sono anche che superano i mille metri
di profondità e ventilarle non è per niente facile – racconta uno
dei responsabili al giornalista.
Il punto è che il carbone
ucraino è un buon carbone, quando viene arricchito arriva all’80%
di purezza.
Questo acciaio è strategico anche per l’Italia – racconta Gianni Venturi della Fiom CGIL – “la produzione dell’acciaio in Italia è particolarmente dipendente dall’Ucraina, rischiamo di avere ripercussioni particolarmente pesanti [sulla nostra industria]. Molto dell’acciaio arrivava da Azovstal e noi abbiamo una condizione che è determinata dal fatto che nel nostro paese di produzione di acciaio in un ciclo integrale ormai abbiamo solo lo stabilimento di Taranto e questo significa che non c’è ghisa disponibile nel nostro paese.”
Le aziende stanno provando a risolvere il problema importando la ghisa dal Brasile e dall’Indonesia ma i costi di trasporto sono destinati a salire di molto.
Continua il sindacalista “noi rischiamo di avere qualche decina di migliaia di lavoratori del settore siderurgico e nel settore degli utilizzatori finali in grave difficoltà. [..] Tutto questo si riversa sugli utilizzatori finali dell’acciaio in particolare per quanto riguarda il settore dell’automotive ma anche il settore dei semiconduttori perché non tutti sanno che nella produzione dell’acciaio da ciclo integrale si liberano dei gas particolarmente pregiati come il neon che vengono usati per la tracciamento dei semiconduttori.”
La scheda
del servizio: LA
GUERRA DEL CARBONE Di Manuele
Bonaccorsi
Collaborazione Giulia Sabella
La Russia vuole annetterlo, l'Ucraina non vuole cederlo. Il Donbass è la regione contesa, dove la guerra è iniziata ormai otto anni fa. I nostri inviati si sono recati a Donetsk, capitale della Repubblica popolare filorussa, che si è proclamata indipendente dopo la rivolta Euromaidan del 2014. Ma cosa rende il Donbass così importante? Patria dei più ricchi oligarchi ucraini, il suo carbone e le sue acciaierie lo rendono strategico. Non solo per Putin e l’Ucraina, ma anche per l'Italia, che a causa della guerra rischia di veder crollare la sua produzione di acciaio e l'indotto connesso.
La mancata transizione energetica
Perfino il presidente Draghi ha parlato di maggiori investimenti sulle energie rinnovabili per far fronte alla crisi energetica, specie dopo l’inizio della guerra in Ucraina e la necessità di rendersi indipendenti dal gas russo. Di fronte ai deputati ha spiegato di come il governo sia impegnato a diversificare le forniture, aumentare il contributo delle fonti rinnovabili, che “resta l’unica strategia fondamentale nel lungo periodo. Tutto quello che sperimentiamo finora è transizione.”
MA nonostante gli annunci la strategia si è concentrata solo sulla
ricerca di altro gas a migliaia di km di distanza, eppure potrebbe
esserci una soluzione a km zero, molto più economica e sostenibile,
costruire nuovi impianti di energia rinnovabile come chiedono di fare
dall'inizio della crisi in Ucraina gli imprenditori del
settore.
Agostino Re Rebaudengo è presidente dell’associazione
elettricità futura: “Noi chiediamo di poter fare 60 GW di nuovi
impianti in questo modo potremmo le importazioni di gas russo.”
Sono
60 GW di energia verde che potrebbero partire subito
da qui ai prossimi tre
anni.
Oggi in Italia sono installati in totale impianti di
rinnovabili per 56 GW, se il governo autorizzasse
gli impianti pronti a partire si potrebbe in breve tempo raddoppiare
la quota
di energia verde prodotta in Italia
e dimezzare le importazioni di gas russo.
Ma, a più di un mese
dall’inizio
della guerra non è stato alcun atto formale per lo sblocco di questi
60GW: gli imprenditori non chiedono soldi, sono pronti
ad investire fino a 80 miliardi
nei prossimi
anni.
Cosa dice il ministro Cingolani: “Macron ha fatto un
piano da 100GW in dieci anni, noi abbiamo
fatto un piano
da 70GEW in sette anni. Si sbagliano tutti?”
D’altronde
l’Italia si è battuta in Europa affinché nell’elenco della
tassonomia verde fosse presente anche il gas: Sul come sia potuto
succedere tutto questo, lo spiega a Report il vicepresidente della
Commissione ambiente al parlamento europeo, Bas
Eickhout, relatore della legge sulla tassonomia.
“Il ruolo sulla
legge per la tassonomia lo ha avuto la Francia che ha dichiarato sin
dall’inizio di volere il nucleare dentro la tassonomia, ma visto
che era complicato lo ha legato al gas. Perché mettendo assieme
nucleare e gas poteva creare una coalizione di paesi più larga.”
E
qual è stato il comportamento del governo italiano?
“L’Italia
non ha preso una posizione precisa, ma posso rilevarvi che Draghi
dietro le quinte ha fatto pressioni per il gas, d’altronde il
ministro dell’Ambiente italiano è un sostenitore del nucleare, e
Draghi del gas, quindi questa tassonomia metteva tutti d’accordo. ”
Cosa risponde il
ministro Cingolani a questa ricostruzione?
“Noi non abbiamo
spinto per il gas, a noi è stato chiesto un parere da tecnico, il
nostro parere è stato che non potevamo che accettare questo perché
non c’è in questo momento un altro vettore di transizione.”
Non
è paradossale che in una tassonomia verde ci sia anche il gas? Visto
che dovrebbe indirizzare gli investimenti verso le energie veramente
verdi.
“Non lo è, ed è questo l’errore che fanno tutti
quelli che vedono la parola verde: siccome tutta l’Europa va avanti
a carbone qual è il modo migliore per accelerare l’uscita dal
carbone? Passarlo al gas.. ”
La scheda
del servizio: BLOWING
IN THE WIND di Giorgio Mottola
Collaborazione
Norma Ferrara
Da settimane i ministri del governo Draghi girano il mondo a caccia di nuovi fornitori di gas che possano rimpiazzare la Russia. Finora sono stati portati a casa accordi con Paesi a democrazia limitata o con vere e proprie dittature. Accordi di cui non conosciamo i dettagli: non sappiamo quanto pagheremo il metano e nemmeno quali società lo esporteranno in Italia. Eppure, c’è una soluzione a chilometro zero molto più sostenibile dal punto di vista economico e democratico: gli imprenditori italiani e stranieri sono disposti a investire nel nostro Paese 80 miliardi di euro per costruire nuovi impianti di rinnovabili che consentirebbero in poco tempo di rimpiazzare metà del gas russo. Ma dal governo non è arrivata nessuna risposta. Report mostrerà in esclusiva con documenti inediti, come, sull’esecutivo guidato da Draghi, le lobby dell’industria fossile sembrano aver esercitato finora una forte pressione.
Il riciclaggio del vetro
C’era una volta la bottiglia di vetro per il latte, c’era quella dell’acqua (e in parte si usa ancora): poi è arrivata la plastica e ha spazzato via tutto. Eppure il vetro si può riciclare, non inquina, non rilascia nulla al liquido contenuto: ma ne produciamo poco e, lamentano le aziende del settore, non si riesce a coprire nemmeno il fabbisogno nazionale anche a causa dell’aumento dei prezzi, fino al +30%.
La scheda del servizio: UNA BOTTIGLIA È PER SEMPRE di Chiara De Luca
Il vetro cavo che oggi produciamo in Italia non basta a coprire il fabbisogno e i produttori non riescono a far fronte a questa carenza. Chi riesce a reperirlo deve fare i conti con un notevole aumento dei prezzi dovuto all'aumento del costo dell’energia e la guerra ha ridotto le importazioni. Quale potrebbe essere una soluzione? Report è andato in Lituania a vedere come funziona il sistema di deposito cauzionale per rimettere in circolo il vetro usato.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
Nessun commento:
Posta un commento