A 30 anni dalla strage di Capaci Report dedica il servizio di questa sera per seguire piste inedite sui mandanti e sui responsabili, vecchie conoscenze dell'eversione nera.
Un servizio poi sul vaccino cubano e nell'anteprima, un servizio dedicato alla trap
LA TRAPPOLA di Chiara De Luca
A parlare di rap Fabri Fibra, 1 milione
di copie vendute, uno dei pilastri del rap: oggi il messaggio del
rap, sopra le righe, viene più accettato, ma solo perché fa
guadagnare.
La trap è un sottogenere, dove si lavora sugli
effetti, anche sulla voce di chi canta: nasce in America ad Atlanta,
il nome nasce da “trappola”, quella dentro cui si rischia di
rimanere bloccati.
Nei testi si parla di soldi, di donne
come oggetti, i poliziotti sono sbirri: come il rap, anche la trap
racconta cosa c'è fuori, attirando anche l'attenzione delle
mafie.
La musica crea consenso, come per i neomelodici, può
essere usate dalle mafie per raccogliere consenso: come per Manuel Di
Silvio, arrestato per droga, come Samuel Casamonica, a
Spinaceto.
Come Nico Panghetta nasce come cantante neomelodico per
diventare un trapper famoso in tutta Italia: nelle canzoni si parla
dello zio arrestato per droga, viene oggi accusato di cantare la
mafia, di farne apologia.
A Rosarno sta spopolando un cantante che si fa chiamare Glock 21: la Glock, i gioielli mostrati nei video, i fucili mitragliatori nei video, sono messaggi chiari.
C'è un gruppo che si chiama P38 e inneggia alle BR, parla nelle sue canzoni del rapimento Moro: sono stati denunciati da un figlio di una vittima delle BR, per pagarsi le spese legali hanno fatto una raccolta fondi, ma sapranno chi sono state veramente le Brigate Rosse?
Bruno D'Alfonso, il denunciante, è stato minacciato dopo aver depositato la denuncia.
C'è un fenomeno che sta degenerando: la politica si sta muovendo, coi suoi tempi, per evitare che giovani che non hanno completa conoscenza delle mafie o dei terroristi, esalti le gesta della criminalità anche in modo non pienamente consapevole.
LA BESTIA NERA di Paolo Mondani
A 30 anni dalle stragi del 1992, Capaci e via D'Amelio, le ultime piste investigative mostrano che gli uomini dell’eversione di destra, dei depistaggi e degli apparati deviati dello stato, della massoneria piduista potrebbero non essere estranei a quelle stragi. E iniziamo a scorgere il volto dei mandanti, ben oltre il volto di Totò Riina.
Sono le menti raffinatissime di cui parlava Falcone col giornalista Saverio Lodato: nell’intervista diceva anche altro “ho l’impressione che per comprendere le ragioni che hanno portato qualcuno a decidere e a pensare di eliminarmi bisognerà pensare all’esistenza di centri occulti di potere in grado di orientare certe azioni della mafia.”
Giuseppe Lombardo, un magistrato che ha indagato sulla ndrangheta stragista, aggiunte un altro pezzo: “io le dice sinceramente che si deve abbandonare una ipocrisia di fondo, che spesso ruota attorno al concetto di zona grigia, che è un concetto che non mi convince. Io sono convinto che il grigio in questo caso è una sfumatura del nero. E il nero è mafia. ”
Ecco, quell’antistato emerge anche dietro i delitti eccellenti che fino ad oggi abbiamo addossato alla mafia, alle stragi del 1992-1993: esistono delle connessioni con lo stragismo di destra responsabile delle bombe degli anni settanta, stragi fatte in collaborazione con esponenti della P2 e dei servizi segreti al nord.
Ed è
per questo – spiega nel servizio l’ex magistrato Scarpinato –
che la corte d’Assise di Bologna cita Falcone, il quale in una
audizione alla commissione parlamentare antimafia del 1988 dice
“forse dovremmo rileggere tutta la storia italiana.”
Falcone era rimasto impressionato
dall'omicidio di Piersanti Mattarella, il politico DC che stava
cambiando la politica regionale: secondo il magistrato non era solo
la mafia responsabile della sua morte, dietro vedeva la massoneria di
Gelli e come autori i Nar.
Massoneria e destra eversiva avrebbero
avuto un ruolo anche negli altri delitti eccellenti in Sicilia: sono
gli stessi responsabili della strage di Bologna, come è emerso dalle
ultime indagini.
Dopo la morte di Falcone non si è
riletta la storia italiana ma leggendo le carte emerge una storia
straordinaria: da vecchi archivi emergono verbali mai considerati
come quelli del pentito Lo Cicero, autista di un boss mafioso. Pochi
mesi prima della strage aveva confidato all'ex brigadiere Giustina su
come catturare Riina.
L'informativa di Giustini se fosse stata
presa in considerazione poteva evitare la strage? Forse, in ogni caso
Riina verrà catturato a gennaio del 1993, mentre Lo Cicero continua
a fare da confidente ai carabinieri.
Il boss di cui Lo Cicero era
autista era Mariano Troia: era un personaggio mafioso vicino alla
destra, in quei mesi avrebbe incontrato anche Delle Chiaie, il
fondatore di Avanguardia Nazionale. Di Delle Chaie aveva parlato
anche la fidanzata di Lo Cicero: era stato visto perfino a Capaci,
prima della strage.
Delle Chiaie aveva avuto rapporti coi
servizi e con la massoneria: Vinciguerra, in carcere dove è
detenuto, ha esposto i dubbi sulle sue vicinanze con la mafia,
“l'estrema destra non è mai stata una forza opposta allo stato, ma
una forza per fare le cose che lo stato non poteva fare.”
Avanguardia Nazionale era una organizzazione per raccogliere le informazioni, che poi affluivano ai servizi segreti – racconta Vinciguerra.
Alberto Lo Cicero, il confidente,
avrebbe accompagnato Delle Chiaie a Capaci come se fosse un
sopralluogo per preparare la strage: l'ex compagna di Lo Cicero lo ha
raccontato a Mondani, aggiungendo che Delle Chiaie avesse un ruolo di
intermediario tra la mafia e “quelli di Roma”.
Lo Cicero
avrebbe incontrato anche Borsellino, dopo la strage di Capaci: al
magistrato avrebbe raccontato di Delle Chiaie, di averlo visto a
Capaci, dei contatti Roma Palermo tenuti da Delle Chiaie. Forse
Borsellino sapeva già queste cose, aveva già il quadro.
Per questo avrebbe poi convocato il
brigadiere Giustini, Borsellino, poco prima della sua morte in via
D'Amelio.
Raccogliendo la confidenza di Lo Cicero, il
brigadiere Giustini era sulla pista giusta, sulla strage di Capaci e
poi per la pista che da Biondino avrebbe portato a Riina. Ma le sue
informazioni sono rimaste lettera morta.
Il 19 maggio 1999 il magistrato
Chelazzi interrogò il collaboratore Sparacio, anche lui parlò del
ruolo di Delle Chiaie come suggeritore della strage di Capaci e poi
degli altri obiettivi storici.
Nel 1969 Delle Chiaie, assieme
a Borghese e Concutelli, sarebbe andato in Aspromonte per portare le
sue competenze alla ndrangheta, all'indomani del golpe Borghese e dei
moti di Reggio Calabria. Ma ebbe un ruolo anche nella stagione delle
leghe meridionali.
Il fenomeno del leghismo meridionale, esploso negli anni tra il 1990 e il 1992, è stato studiato anche dall’ex procuratore aggiunto Roberto Scarpinato
“C’era una connessione molto stretta tra un progetto politico iniziale che era quello di creare un nuovo soggetto politico, la Lega Meridionale, che doveva agire di concerto con la Lega Nord per creare un’Italia federale nell’ambito del quale il sud doveva essere lasciato alle mafie. E la strategia stragista di destabilizzazione. Ce lo dicono vari collaboratori di giustizia che ci definiscono appunto che questo progetto fu discusso segretamente nel 1991, in tutti i suoi dettagli, e che dietro questo progetto c’erano Gelli, la massoneria deviata, esponenti della destra eversiva i quali avevano consigliato di rivendicare la strage con la sigla di Falange Armata.”
La storia di quegli anni, tra fine anni 80 e inizio anni ‘90, la ricorda bene Antonio D’Andrea, vice segretario della Lega Meridionale centro sud e isole (una tra le più importanti leghe nate in quegli anni a cavallo tra prima e seconda repubblica) – a cui si iscrissero Licio Gelli (venerabile della P2), Vito Ciancimino (il più politico dei mafiosi – così lo descrisse Falcone) e il figlio di Michele Greco (il “papa” di cosa nostra) e Pino Mandalari, il commercialista Riina: obiettivo di questa Lega era dividere e destabilizzare l’Italia, in un piano che avrebbe portato ad un’Italia federale divisa in tre, col sud di fatto lasciato nelle mani della mafia.
Un’ipotesi fantasiosa oppure un piano
politico condiviso perfino ai piani alti dello Stato?
“Questo
progetto di dividere l’Italia non era un progetto massonico”
- spiega a Mondani D’Andrea – “non era un progetto estraneo
allo Stato, era un progetto nato e partorito nato e partorito
all’interno della vita politica italiana e istituzionale, quindi di
vertice.”
Un progetto inizialmente appoggiato da Giulio
Andreotti e Francesco Cossiga:
“Appunto, quindi parliamo del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio.”
Perché Delle Chiaie era interessato al progetto?
Perché anche lui aveva avuto
disposizioni dai vertici dello stato.
Una nazione si può unire
con la forza ma si può dividere anche con la forza.
Dopo
le leghe per dividere l'Italia, nascono altre leghe, quella pugliese,
quella marchigiana, quella siciliana, tutte fondate dal legale di
Delle Chiaie Menicacci, mentre Delle Chiaie fonda una nuova Lega di
tutte le leghe.
Tutti impazziti per il leghismo, come mai?
Chi
andava ad incontrare Delle Chiaie in Sicilia?
Secondo D'Andrea,
Delle Chiaie andava in Sicilia a trovare gente da usare, carne da
macello.
Qual è il contesto che porta all’uccisione di
Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino?
“Lo Stato, quando
non sa cosa dire, escono sempre fuori i servizi segreti deviati. I
servizi segreti deviati per definizione non possono esistere e non
esistono, i servizi segreti agiscono in base agli ordini che ricevono
dai ministri di riferimento e dalla presidenza del Consiglio. Per cui
l’omicidio di Falcone non può che essere stato concepito
all’interno del governo e delle più alte sfere istituzionali.
”
Le stragi del 1992 e
1993 come le stragi della strategia della tensione?
Erano gli anni
della caduta del muro, di Tangentopoli, della crisi dei partiti che
avevano governato l'Italia, tra cui quelli di riferimento della
mafia. C'era anche il problema dei pentiti, il bisogno di trovare
nuovi referenti politici. C'era il rischio che la sinistra vincesse
le elezioni, non c'era più lo spauracchio dei comunisti.
Così la mafia si mette in un viaggio
politico assieme alla massoneria e a pezzi dell'estrema destra: sullo
sfondo di questo viaggio ci sono Miglio, l'ideologo della Lega,
Andreotti e Gelli.
Delle Chiaie fonda la Lega Nazional Popolare,
Menicacci il suo avvocato ne fonda altrettante.
Se tutte queste testimonianze,
racconti, fossero confermati, emergerebbe il ruolo di ispiratore
della strategia stragista da parte di Delle Chiaie, strategia
inizialmente decisa già nel 1991, con le stragi da attribuire ad una
sigla, Falange Armata, che porta a Gladio.
Al processo sulla
Trattativa Stato mafia è emerso il ruolo di uomini dello stato nella
strage di Capaci: persone come Peluso, uomo dei servizi, di cui parla
il pentito Pietro Riggio.
Un uomo chiamato dallo stato per fare
delle “pulizie”, per fare pulizia di persone che davano fastidio
allo stato. Marianna Castro, la fidanzato, racconta che con lei
Peluso avrebbe confidato che Falcone sarebbe stato ucciso dai servizi
e non dalla mafia.
L'esplosivo usato a Capaci sarebbe stato
“rafforzato” con pentrite, un esplosivo di origine militare.
Pietro Riggio, sempre al processo sulla trattativa, racconta di un
tentativo di uccidere il giudice Guarnotta nel 2001, nei mesi in cui
quest'ultimo indagava su Dell'Utri.
Sempre Marianna Castro
parla di “faccia da mostro”, Giovanni Aiello, che era superiore
di Peluso, dentro una struttura che aveva a capo l'ex Sisde Contrada:
Mondani ha ascoltato l'ex funzionario del Sisde Contrada, prima
condannato per mafia e poi assolto dalla corte di giustizia europea.
Forse, racconta Mondani, la verità sulla strage l'avevamo davanti
sin dall'inizio senza vederla.
Paolo Mondani è andato ad Alcamo ad
incontrare un bandito-poliziotto, chiamato così perché restio a
seguire le regole, di nome Antonio Federico: sulla base delle
indicazioni ricevute da un confidente nel 29 settembre 1993 in una
casa di Alcamo trovò un tesoro, una santabarbara detenuta da due
carabinieri. Esplosivi, pistole, fucili e una cassetta col simbolo
delle radiazioni: nella seconda perquisizione, il giorno dopo, la
cassetta era sparita.
I due carabinieri sono stati condannati ad
una pena lieve, come fossero dei collezionisti di armi: il
poliziotto, nel mentre dei controlli, ebbe la sensazione che i
carabinieri fossero in contatto coi servizi.
Nella provincia di
Trapani – racconta Scarpinato – era presente Gladio e
quell’arsenale scoperto da Antonio Federico (di cui non si scoprì
mai la provenienza) fosse proprio un deposito della Stay Behind
italiana.
Nella casa viene trovata anche una foto di una donna sorridente. Racconta il poliziotto: “il confidente mi dice di far vedere la fotografia nell’immediatezza della perquisizione, ai presenti, che erano quasi duecento, tra poliziotti e carabinieri, compreso il generale Cancellieri. Il significato di far vedere la foto non l’ho mai capito, il senso era chi deve capire, capirà. ”
Questa foto, che sparisce e poi riappare nei verbali dopo 29 anni, ritrae una giovane donna che solo oggi è diventata un elemento di prova per la procura di Firenze.
Nella foto viene riconosciuta Rosa Belotti, imprenditrice con qualche precedente penale, ora accusata di essere coinvolta nell’attentato di via Palestro a Milano del 27 luglio 1993. E forse anche in quello di Firenze del 27 maggio. La Belotti si è riconosciuta nella foto ma ha dichiarato di non avere nulla a che fare con le stragi.
La fonte segnala anche l'esistenza di
un bunker dentro una villa nella campagna di Alcamo: dentro trova una
struttura, come gli strumenti a bordo di un aereo e poi
armi.
Nell'appostamento davanti la villa bunker, situato vicino ad
una pista di atterraggio, l'ex poliziotto ha riconosciuto Giovanni
Aiello, “faccia da mostro”.
La sua fonte gli aveva parlato di
un summit politico mafioso: la perquisizione che doveva essere fatta
nell'imminenza dell'incontro non fu poi fatta.
“Io penso che ci sia un secondo stato parallelo” – è la conclusione dell’ex poliziotto a Mondani – “la criminalità organizzata è pilotata comandata gestita da queste persone.”
Alcamo, Gladio, il centro Scorpione di
Trapani, gli incontri tra i gladiatori e i mafiosi.
Ciampi nel
1991 voleva sciogliere il settimo reparto del Sismi, ovvero Gladio,
ritenendoli responsabili delle bombe: gli orfani della guerra fredda
non volevano essere messi a riposo e soprattutto non volevano essere
messi sotto condanna dallo stato.
Questo spiega le bombe del 1993
fino alle due scoppiate nel luglio 1993 quando, sono le parole di
Ciampi, si ebbe il timore di un colpo di stato.
Era un primo
ricatto allo stato dei gladiatori. A cui seguì il ricatto di Matteo
Messina Denaro, custode di altrettanti segreti con cui tenere sotto
scacco un pezzo dello stato?
Del ruolo dello stato dentro le
stragi del 1992-93 e dei delitti politici degli anni '80 aveva
parlato per primo il collaboratore Luigi Ilardo, ucciso pochi giorni
prima di iniziare il programma di protezione.
Massoneria, Gladio, mafia, la
destabilizzazione: nel 1984 Falcone fu intervistato da un giornalista
brasiliano. Il giudice voleva avere maggiori informazioni sulla P2,
di cui il giornalista aveva parlato con Buscetta in carcere.
Il
giornalista, cercando notizie sulla P2, si imbattè sulla Bafisud, la
finanziaria di Ortolani, piduista anche lui, ritenuto uno dei
mandanti della strage di Bologna.
Al giornalista arrivarono
confidenza per cui l'opera di destabilizzazione nei confronti del
governo Alfonsin, nel 1983, era opera della P2.
LA corte
d'Assise di Bologna ha condannato lo scorso aprile Paolo Bellini,
uomo della destra eversiva, collegato ai servizi: nel 1991 è
presente ad Enna nel periodo in cui i vertici della mafia si sono
riuniti per decidere del progetto di destabilizzazione del paese
attraverso le stragi e la creazione di un nuovo soggetto
politico.
Nel 1992 lo stesso Bellini assieme a Gioè inizia una
sua trattativa con lo Stato: Bellini propone di fare attentati contro
monumenti per mettere in ginocchio lo stato.
Ritroviamo, a distanza di anni, gli
stessi personaggi: la P2, Gelli, Bellini, l'estrema destra. I soldi
da Gelli verso gli esecutori della strage, un documento nascosto per
anni grazie al ricatto di Gelli allo stato (il documento “artigli”
del 1987) e al capo della polizia Parisi.
Della vicinanza di
Gelli coi servizi ne parlò, in un passato servizio, l'ex generale
Notarnicola: a Report ha raccontato delle strategie di egemonia
americane, passate dai colpi di stato ad intossicazione delle
istituzioni dall'interno e alla destabilizzazione con le stragi.
Era
la dottrina Westmoreland: il tramite in Europa per questa strategia –
racconta Notarnicola – era Gelli.
Mostri: come i mostri
dentro villa Palagonia, corpi deformi, animali mitologici, statue
ritenute portatrici di un potere malefico.
Come i mostri che ci circondano e che
vollero queste stragi.
La retorica delle commemorazioni ha
deformato la storia – racconta Mondani - siamo incapaci di
ricordare, conviviamo con una manipolazione della realtà: ecco
perché villa Palagonia è così moderna, questo luogo rappresentò
una clamorosa critica dei potenti e ci fa vedere i mostri.
Forse dobbiamo iniziare a leggere e vedere la nostra storia con occhi diversi, perché senza la conoscenza del passato, non potremmo controllare il nostro futuro.
Chi controlla il passato, controlla il futuro – Orwell 1984.
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