Domani si apre la settimana per l’anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio, trent’anni fa: autorevoli testimoni diquegli anni, Alfredo Morvillo (fratello di Francesca, la moglie di Giovanni Falcone morta anch’essa a Capaci) e di Maria Falcone hanno lanciato il loro grido d’allarme: “a trent’anni dalle stragi la Sicilia è nelle mani dei condannati per mafia”.
Si riferiscono alle elezioni amministrative in regione e nei comuni, dove le liste sono state scelte anche da Cuffaro e Dell’Utri.
Quella di quest’anno rischia di essere l’ennesima celebrazione piena di parole vuote, la solita retorica della guerra alla mafia, la vittoria dello stato che ha arrestato l’ala stragista dei corleonesi (seppellendo in carcere Riina e Provenzano coi loro segreti).
Ma, d’altronde, possiamo pretendere da queste istituzioni che facciano chiarezza sui tanti perché ancora irrisolti di quelle stragi? Alcune piste portano dritto al cuore nero dello Stato, quello stato dentro cui troviamo i nominati dei partiti che si fanno fare le liste da condannati per mafia, per esempio.
Può questo stato fare luce sul perché della scelta della scelta del botto, in stile terroristico, a Capaci? O perché dei depistaggi di stato per l’attentato a Borsellino?
Possiamo pretendere da questo Stato, da queste istituzioni che faccia luce sui legami tra mafia, massoneria, servizi più o meno deviati, gli ex gladiatori che a fine anni ‘80 pretendevano la loro pensione dallo stato?
La credibilità di questa democrazia passa anche dal saper dare risposte a domande come queste.
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