Un omaggio ai due giudici Falcone e Borsellino, morti assieme alle rispettive scorte (e alla moglie Francesca) nelle stragi di Capaci e via D’Amelio: chi sono i mandanti dietro la mafia e perché quelle stragi. Poi a seguire un servizio sul vaccino sviluppato a Cuba e infine un servizio sulla Trap.
Il cuore nero dentro le istituzioni italiane – a 30 anni da Capaci
Dentro Villa Palagonia, a Brancaccio, ci sono delle statue di mostri: sono riproduzione di animali, esseri umani deformi, mostri. È la metafora di come la retorica delle celebrazioni in ricordo di Giovanni Falcone hanno deformato la storia, rendendoci incapaci di ricordare.
Perché i mostri che
hanno voluto queste stragi, quelle della stagione 1992-93, sono
ancora tra noi.
A 30 anni dalla
strage di Capaci e via D’Amelio sono ancora tante le domande senza
risposta: perché quelle stragi e con quella modalità terroristica?
Perché l’accelerazione per uccidere Borsellino a soli 57 giorni
dopo la morte di Falcone?
Nonostante i tanti processi su questi
due attentati (e le tante condanne) ci sono ancora verbali nascosti e
piste investigative che nel passato sono state insabbiate e che
aiuterebbero ad avvicinarci alla verità. Il
giornalista di Report Paolo Mondani, con questo servizio in cui
si mostrano interviste esclusive, morta un quadro compatibile con
quella strategia della tensione degli anni settanta, dove si voleva
destabilizzare il paese per impedire ogni cambiamento.
Gli
uomini dell’eversione di destra, dei depistaggi e degli apparati
deviati dello stato, della massoneria piduista potrebbero non essere
estranei alle stragi di 30 anni fa. E iniziamo a scorgere il volto
dei mandanti, ben oltre il volto di Totò Riina.
Sono le menti
raffinatissime di cui parlava Falcone col giornalista Saverio Lodato:
nell’intervista diceva anche altro “ho l’impressione che per
comprendere le ragioni che hanno portato qualcuno a decidere e a
pensare di eliminarmi bisognerà pensare all’esistenza di centri
occulti di potere in grado di orientare certe azioni della mafia.”
Giuseppe Lombardo, un magistrato che ha indagato sulla ndrangheta stragista, aggiunte un altro pezzo: “io le dice sinceramente che si deve abbandonare una ipocrisia di fondo, che spesso ruota attorno al concetto di zona grigia, che è un concetto che non mi convince. Io sono convinto che il grigio in questo caso è una sfumatura del nero. E il nero è mafia. ”
La storia di quegli anni, tra fine anni 80 e inizio anni ‘90, la ricorda bene Antonio D’Andrea, vice segretario della Lega Meridionale centro sud e isole (una tra le più importanti leghe nate in quegli anni a cavallo tra prima e seconda repubblica) – a cui si iscrissero Licio Gelli (venerabile della P2), Vito Ciancimino (il più politico dei mafiosi – così lo descrisse Falcone) e il figlio di Michele Greco (il “papa” di cosa nostra) e Pino Mandalari, il commercialista Riina: obiettivo di questa Lega era dividere e destabilizzare l’Italia, in un piano che avrebbe portato ad un’Italia federale divisa in tre, col sud di fatto lasciato nelle mani della mafia.
Un’ipotesi
fantasiosa oppure un piano politico condiviso perfino ai piani alti
dello Stato?
“Questo progetto di dividere l’Italia non
era un progetto massonico” - spiega a Mondani D’Andrea –
“non era un progetto estraneo allo Stato, era un progetto nato e
partorito nato e partorito all’interno della vita politica italiana
e istituzionale, quindi di vertice.”
Un progetto
inizialmente appoggiato da Giulio Andreotti e Francesco Cossiga:
“Appunto,
quindi parliamo del presidente della Repubblica e del presidente del
Consiglio.”
Qual è il contesto che porta
all’uccisione di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino?
“Lo
Stato, quando non sa cosa dire, escono sempre fuori i servizi segreti
deviati. I servizi segreti deviati per definizione non possono
esistere e non esistono, i servizi segreti agiscono in base agli
ordini che ricevono dai ministri di riferimento e dalla presidenza
del Consiglio. Per cui l’omicidio di Falcone non può che essere
stato concepito all’interno del governo e delle più alte sfere
istituzionali. ”
Il fenomeno del leghismo meridionale, esploso negli anni tra il 1990 e il 1992, è stato studiato anche dall’ex procuratore aggiunto Roberto Scarpinato
“C’era una connessione molto stretta tra un progetto politico iniziale che era quello di creare un nuovo soggetto politico, la Lega Meridionale, che doveva agire di concerto con la Lega Nord per creare un’Italia federale nell’ambito del quale il sud doveva essere lasciato alle mafie. E la strategia stragista di destabilizzazione. Ce lo dicono vari collaboratori di giustizia che ci definiscono appunto che questo progetto fu discusso segretamente nel 1991, in tutti i suoi dettagli, e che dietro questo progetto c’erano Gelli, la massoneria deviata, esponenti della destra eversiva i quali avevano consigliato di rivendicare la strage con la sigla di Falange Armata.”
Destabilizzare il
paese con stragi e attentati, vecchi arnesi dell’area post-fascista
a servizio, la massoneria nera: sono gli stessi protagonisti che
abbiamo già visto all’opera in diverse fasi della storia italiana,
come hanno raccontato nel saggio “Le
menti del doppio stato” gli storici Giovanni Fasanella, Mario
José Cereghino. Era successo negli anni tra il 1944 e il 1948 quando
si doveva ostacolare a tutti i costi i governi di unità nazionale.
Poi le bombe erano esplose negli anni settanta, quando si doveva
bloccare le spinte progressiste nel paese e l’idea di governi di
centro sinistra, con la non astensione del PCI. Periodo culminato
prima col rapimento di Aldo Moro e poi con la strage fascista alla
stazione di Bologna.
Fino ad arrivare alle bombe della
stagione del 1992 – 1993: i segnali di continuità ci sono tutti a
ben vede, la sigla Falange Armata dietro cui si nascondevano gli ex
Gladiatori che avevano lavoratdietro le quinte negli anni della
strategia della tensione, la P2 di Gelli, lo stato che si dimostra
impotente, fino a quella sensazione di essere ad un passo dal colpo
di Stato. Lo ha raccontato Ciampi dopo le bombe esplose a Roma il 27
luglio del 1993
«Le comunicazioni erano misteriosamente interrotte. Non esito a dirlo, oggi: ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di stato.»
I
due autori del saggio, di fronte a queste bombe, Capaci, via
D’Amelio, Firenze, Milano, Roma, si chiedono se “Fu
solo la mafia, o dietro Cosa nostra si mossero anche pezzi deviati
dell’apparato statale, anzi dell’antistato annidato dentro e
contro lo Stato?”.
Ecco,
quell’antistato emerge anche dietro i delitti eccellenti che fino
ad oggi abbiamo addossato alla mafia, alle stragi del 1992-1993:
esistono delle connessioni con lo stragismo di destra responsabile
delle bombe degli anni settanta, stragi fatte in collaborazione con
esponenti della P2 e dei servizi segreti al nord.
Ed è per questo – spiega nel servizio l’ex magistrato Scarpinato – che la corte d’Assise di Bologna cita Falcone, il quale in una audizione alla commissione parlamentare antimafia del 1988 dice “forse dovremmo rileggere tutta la storia italiana.”
Paolo Mondani è
andato ad Alcamo ad incontrare un bandito-poliziotto, chiamato così
perché restio a seguire le regole, Antonio Federico: sulla base
delle indicazioni ricevute da un confidente nel 29 settembre 1993 in
una casa di Alcamo trovò un tesoro, una santabarbara detenuta da due
carabinieri. Esplosivi, pistole, fucili e una cassetta col simbolo
delle radiazioni: nella seconda perquisizione, il giorno dopo, la
cassetta era sparita. I due carabinieri sono stati condannati ad una
pena lieve, come fossero dei collezionisti di armi: il poliziotto,
nel mentre dei controlli, ebbe la sensazione che i carabinieri
fossero in contatto coi servizi.
Nella provincia di Trapani –
racconta Scarpinato – era presente Gladio e quell’arsenale
scoperto da Antonio Federico (di cui non si scoprì mai la
provenienza) fosse proprio un deposito della Stay Behind italiana
Nella casa viene trovata anche una foto di una donna sorridente. Racconta il poliziotto: “il confidente mi dice di far vedere la fotografia nell’immediatezza della perquisizione, ai presenti, che erano quasi duecento, tra poliziotti e carabinieri, compreso il generale Cancellieri. Il significato di far vedere la foto non l’ho mai capito, il senso era chi deve capire, capirà. ”
Questa foto, che sparisce e poi riappare nei verbali dopo 29 anni, ritrae una giovane donna che solo oggi è diventata un elemento di prova per la procura di Firenze.
Nella foto viene
riconosciuta Rosa Belotti, imprenditrice con qualche precedente
penale, ora accusata di essere coinvolta nell’attentato di via
Palestro a Milano del 27 luglio 1993. E forse anche in quello di
Firenze del 27 maggio. La Belotti si è riconosciuta nella foto ma
ha dichiarato di non avere nulla a che fare con le stragi.
“Io
penso che ci sia un secondo stato parallelo” – è la conclusione
dell’ex poliziotto a Mondani – “la criminalità organizzata è
pilotata comandata gestita da queste persone.”
Sul Fatto Quotidiano di oggi, Marco Lillo riprende questa inchiesta
Strage di Capaci, s’indaga di nuovo sulla pista nera e su Delle Chiaie
INCHIESTA A CALTANISSETTA - 30 anni dopo i pm verificano se vi fu un ruolo del neofascista nell’agguato in cui perse la vita Giovanni Falcone
La scheda del servizio: LA BESTIA NERA di Paolo Mondani
Collaborazione Marco Bova, Roberto Persia
Consulenza Andrea Palladino
A 30 anni dalla morte di Giovanni Falcone, emergono documenti e protagonisti dimenticati in grado di gettare una nuova luce su quei fatti. A Capaci, Cosa Nostra non ha agito da sola: estremisti di destra e uomini di mafia, secondo testimoni e documenti ritrovati, sarebbero stati di nuovo insieme, dopo gli anni della strategia della tensione, in un abbraccio mortale costato la vita ai giudici Falcone e Borsellino. I due magistrati avevano il quadro completo, e oggi, tornando ad ascoltare collaboratori ed ex carabinieri, Report prova a ricostruirlo.
Il vaccino cubano
Mancano tante cose a Cuba, compresa libertà completa di una vera
democrazia (che forse non manca solo a Cuba), ma non mancano i
vaccini, tanto da far diventare l’isola il secondo paese al mondo
per tasso di vaccinazione.
Ne hanno sviluppati ben due, Abdala e
Soberana: ma al centro di ingegneria biomedica e tecnologica non si
accontentano, oggi stanno sperimentando un vaccino intranasale, con
una tecnologia che non solo consentirebbe di fermare la malattia, ma
anche il contagio. Progetti del genere arrivati alla fase clinica nel
mondo sono solo 8, quello cubano si chiama Mambisa, di come funziona
e dei trial in corso ne ha parlato a Report la dottoressa
Gomez-Vazquez:
“è uno spray, una volta iniettato nelle narici dovrebbe coprire
tutta la zona della mucosa nasale, la porta d’entrata del virus e
quindi potrebbe fermare l’infezione, non agire solo sui sintomi.
Fino ad oggi tutti i pazienti su cui lo abbiamo sperimentato non
hanno mostrato sintomi di reazione avversa.”
Sembra
promettente ma, nel caso lo volessimo far arrivare in Europa, che
barriere avremmo con Cuba?
La scheda del servizio: IL VACCINO PUBBLICO CHE L’OCCIDENTE NON VUOLE Di Manuele Bonaccorsi e Alessia Marzi
A Cuba manca il latte, il pane, il sapone. Ma il piccolo Paese caraibico, sottoposto a 60 anni di durissimo embargo, è riuscito a fronteggiare il covid tutto da solo. Grazie a tre vaccini pensati e sviluppati dall’industria biotecnologica nazionale. Un'industria integralmente pubblica, eppure capace di importanti innovazioni scientifiche. Oggi Cuba è il secondo Paese del mondo per tasso di vaccinazione (dopo gli Emirati arabi, che hanno un reddito 13 volte superiore) e soprattutto l’unico che ha vaccinato anche la popolazione infantile, dai 2 anni in su. Merito di Soberana, prodotto dall’Istituto Finlay de L’Avana, e sviluppato a partire proprio dalla piattaforma di un vaccino pediatrico, con effetti collaterali vicini allo zero. Risultato? Oggi Cuba ha un tasso di contagi bassissimo, e anche l’ondata di Omicron nell’isola caraibica è passata senza far danni.
Ora Soberana potrebbe essere importato anche in Europa, per completare la vaccinazione dei più piccoli, rimasta finora al palo. Ma gli ostacoli dei regolamenti di Bruxelles potrebbero essere insormontabili. Anche a causa dell’embargo, infatti, Cuba non può rispettare le buone pratiche di fabbricazione imposte in Europa. E perfino l’ipotesi di fabbricarlo in Italia, in un’azienda all’avanguardia, potrebbe non essere sufficiente per superare questo ostacolo. Un muro che impedisce ai Paesi in via di sviluppo, molti dei quali capaci di importanti innovazioni scientifiche, di accedere al ricco mercato farmaceutico del primo mondo.
Cos’è la Trap
Cosa sono in Italia
il rap e la trap?“il rap è una magia non è una cosa data per
scontato, devi avere la giusta base strumentale, le giuste
parole”.
Di rap e della trap ne parla a Report Fabri
Fibra, uno dei pilastri del rap italiano: in questi ultimi anni ha
avuto una evoluzione da cui è nata la trap, con le sue
caratteristiche, l’autotune, la correzione vocale con l’effetto
robotico
La scheda del servizio: LA TRAPPOLA di Chiara De Luca
La trap è un sottogenere della musica rap, molto in voga tra i giovani, che racconta in maniera brutale e compiaciuta la vita di strada. Questo stile, nato nel mondo delle gang americane di Atlanta, in Italia è stata strumentalizzata dalla criminalità organizzata, alcuni tra i più noti cantanti sono vicini a famiglie di mafia. Report ha incontrato alcuni dei più noti interpreti di questo genere.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
Nessun commento:
Posta un commento