Come mai Putin è così interessato al Donbass, tanto da scatenare la terza guerra mondiale? Cos'è il soft power russo? Come mai non abbiamo ancora imboccato con decisione la via delle rinnovabili?
Nell'anteprima un servizio sul vetro che ci manca, per coprire il nostro fabbisogno.
UNA BOTTIGLIA È PER SEMPRE di Chiara De Luca
Produciamo
bottiglie o recipienti di vetro per un giro d'affari da 2,5 miliardi
di euro, siamo leader europei ma ne importiamo anche tanto di vetro,
dalla Turchia e dai paesi dell'est, come l'Ucraina. A causa della
guerra diversi forni sono stati chiusi: così le nostre vetrerie non
riescono a soddisfare la domanda, anche perché è aumentato il costo
del carburante.
Unionvini lancia l'allarme: manca il vetro, coi
prezzi aumentati del 30%, costi che si ripercuotono anche sui
consumatori.
Chi lo deve produrre il vino oggi è costretto a
rimanere fermo, in attesa delle bottiglie – raccontano i produttori
alla giornalista di Report.
Nonostante il prezzo fosse stato
stabilito, sono previsti cause di forza maggiore che giustificano gli
aumenti: alcuni hanno provato col tetrapak oppure col prodotto cinese
che ha costi ancora maggiori. Nell'estate ci sarà il problema del
pomodoro, con le conserve in vetro.
La
soluzione? Riciclare il vetro, col sistema del deposito con cauzione,
a beneficiarne sarebbe l'ambiente (tonnellate di bottiglie si
disperdono) e anche i consumatori.
È un modello che si sta
allargando in Europa, la Lituania è al primo posto per uso del
deposito, con distributori che raccolgono le bottiglie, le separano
per essere poi inviate alle aziende di riciclo.
Il governo ha solo definito il quadro giuridico, è compito dei produttori prendersi carico del riciclo delle bottiglie, questo in base alla legge europea: in questo modo la Lituania ha diminuito l'emissione di co2, mettendo d'accordo sia consumatori che produttori di cibo e bevande.
In Italia si è inserita una norma per il deposito cauzionale, ma manca un decreto attuativo per applicarlo: i 120 giorni per la sua emanazione sono scaduti, non c'è fretta in Italia per fare leggi a beneficio dell'ambiente.
BLOWING IN THE WIND di Giorgio Mottola
I nostri ministri stanno girando il mondo per trovare un'alternativa a Gazprom: per non dipendere dal gas russo, ci leghiamo a dittatori e democrazie fragili.
Un
gruppo di imprenditori si è reso disposto ad investire nelle energie
rinnovabili, chiedono solo al governo di sbloccare l'iter
burocratico.
Perfino
il presidente Draghi ha parlato di maggiori investimenti sulle
energie rinnovabili per far fronte alla crisi energetica, specie dopo
l’inizio della guerra in Ucraina e la necessità di rendersi
indipendenti dal gas russo. Di fronte ai deputati ha spiegato di come
il governo sia impegnato a diversificare le forniture, aumentare il
contributo delle fonti rinnovabili, che “resta l’unica strategia
fondamentale nel lungo periodo. Tutto quello che sperimentiamo finora
è transizione.”
MA
nonostante gli annunci la strategia si è concentrata solo sulla
ricerca di altro gas a migliaia di km di distanza, eppure potrebbe
esserci una soluzione a km zero, molto più economica e sostenibile,
costruire nuovi impianti di energia rinnovabile come chiedono di fare
dall'inizio della crisi in Ucraina gli imprenditori del
settore.
Agostino Re Rebaudengo è presidente dell’associazione
elettricità futura: “Noi chiediamo di poter fare 60 GW di nuovi
impianti in questo modo potremmo le importazioni di gas russo.”
Sono
60 GW di energia verde che potrebbero partire subito da qui ai
prossimi tre anni.
Oggi in Italia sono installati in
totale impianti di rinnovabili per 58 GW, se il governo autorizzasse
gli impianti pronti a partire si potrebbe in breve tempo raddoppiare
la quota di energia verde prodotta in Italia e dimezzare le
importazioni di gas russo.
Ma, a più di un mese dall’inizio
della guerra non è stato alcun atto formale per lo sblocco di questi
60GW: gli imprenditori non chiedono soldi, sono pronti ad investire
fino a 80 miliardi nei prossimi anni.
I contribuenti ci
guadagnerebbero, gli imprenditori sostengono anche che le bollette
scenderebbero: ma il governo come mai non si muove in questo senso?
Il
ministro Cingolani da la colpa alla rete elettrica che non è pronta
ad assorbire questa nuova energia, non abbiamo gli accumuli per i
60GW delle rinnovabili, non abbiamo le smart grid.
Ma è vero?
Report lo ha chiesto a Enel: non abbiamo problemi di accumuli, perché
la nostra rete è tra le più avanzate e su cui Enel investirà 10
miliardi nei prossimi anni, “ben vengano i 60GW di rinnovabili”
spiega il direttore generale di Enel.
Chi vuole investire
in rinnovabili deve fronteggiare tanti problemi autorizzativi: lo
sanno alla European Energy Italia che stanno costruendo parchi solari
in Sardegna, ma l'azienda danese sta aspettando il via per l'iter
autorizzativo da tre anni e così hanno dovuto ripartire da zero.
In
Danimarca fanno fatica a capire come mai in Italia si ostacola così
la transizione ecologica: dovremmo abbattere i tempi di attesa, oggi
in media a sette anni, come ci chiede l'Europa.
Ma adesso c'è
una accelerazione alla mano, si difende Cingolani: ma sono
accelerazioni che le aziende non percepiscono, servirebbe un
commissario per prendere in mano queste autorizzazioni, come per il
covid e per il ponte di Genova.
Ma per il ministro Cingolani
quella delle rinnovabili non è una emergenza: lo stato fa lo stato,
mentre gli imprenditori devono fare gli imprenditori. Eppure quando
si tratta di stipulare i contratti per il gas non funziona così:
assieme a Draghi e Di Maio viaggia l'AD di Eni, non Cingolani e alla
fine non ci guadagna l'ambiente e nemmeno i contribuenti.
Chi
fa la politica verde in Italia? Il governo ha un occhio di riguardo
con le energie del settore del fossile, basta vedere come si è
comportata l'Italia in Europa sulla legge della tassonomia.
I
commissari europei hanno messo nella tassonomia verde anche gas e
nucleare.
Sul come sia potuto succedere tutto questo, lo
spiega a Report il vicepresidente della Commissione ambiente al
parlamento europeo, Bas Eickhout, relatore della legge sulla
tassonomia.
“Il ruolo sulla legge per la
tassonomia lo ha avuto la Francia che ha dichiarato sin dall’inizio
di volere il nucleare dentro la tassonomia, ma visto che era
complicato lo ha legato al gas. Perché mettendo assieme nucleare e
gas poteva creare una coalizione di paesi più larga.”
E qual
è stato il comportamento del governo italiano?
“L’Italia
non ha preso una posizione precisa, ma posso rilevarvi che Draghi
dietro le quinte ha fatto pressioni per il gas, d’altronde il
ministro dell’Ambiente italiano è un sostenitore del nucleare, e
Draghi del gas, quindi questa tassonomia metteva tutti d’accordo. ”
Cosa
risponde il ministro Cingolani a questa ricostruzione?
“Noi
non abbiamo spinto per il gas, a noi è stato chiesto un parere da
tecnico, il nostro parere è stato che non potevamo che accettare
questo perché non c’è in questo momento un altro vettore di
transizione.”
Non è paradossale che in una tassonomia verde
ci sia anche il gas – ha chiesto Mottola? Visto che dovrebbe
indirizzare gli investimenti verso le energie veramente verdi.
“Non
lo è, ed è questo l’errore che fanno tutti quelli che vedono la
parola verde: siccome tutta l’Europa va avanti a carbone qual è il
modo migliore per accelerare l’uscita dal carbone? Passarlo al
gas.. ”
In Italia c'è un esempio che contraddice il
ministro: nel Sulcis Enel ha chiuso la centrale a Carbone e non l'ha
convertita a gas, ma l'ha convertita in un sistema ad accumulo per le
rinnovabili, le energie generate da sole e vento.
Tutta
l'Europa sta guardando a quello che è successo a Portoscuso: ma il
governo Conte e poi Draghi hanno deciso di costruire davanti al porto
un rigassificatore, una scelta non condiviso dal sindaco. Un
rigassificatore creato dalla Snam, l'azienda che assieme ad Eni ha
più da guadagnare dal gas: guarda caso Snam ed Eni fanno parte della
commissione che decide come spendere i soldi del PNRR sulla
transizione ecologica.
Re Common parla della pressione di queste
aziende sul governo: Cingolani ha spalancato le porte a queste lobby
del fossile, con differenti incontri avvenuti nei mesi precedenti la
presentazione del piano.
Contano i fatti, spiega Cingolani: ma
con i fatti come si spiega che i fondi per l'idrogeno sono aumentati
dopo gli incontri con Eni e Snam?
L'idrogeno prenderà 4
miliardi dal governo, dovrebbe rimpiazzare il fossile, ma per
produrre l'idrogeno serve molta elettricità, un limite enorme per il
nostro idrogeno verde.
Di fatto questo idrogeno non serve a
niente: di fatto è una scappatoia per continuare ad usare la stessa
rete del gas.
Eni e Snam stanno puntando sull'idrogeno blu, che
non è quello verde: la commissione europea ha bocciato il piano
iniziale che prevedeva l'idrogeno blu, il piano è passato solo dopo
le raccomandazioni fatte all'Europa che avremmo fatto solo quello
verde.
Che idrogeno avremo in Italia?
Il
think thank Ecco ha valutato le azioni presenti nel nostro Recovery
plan, giudicandole in buona parte inefficaci a combattere i
cambiamenti climatici.
Basterebbe sbloccare la burocrazia per
gli imprenditori che vogliono investire in rinnovabili, magari
sfruttando le aree industriali abbandonate.
LA GUERRA DEL CARBONE – CASUS BELLI Di Manuele Bonaccorsi
Non
manca solo il vetro e il gas, manca anche l'acciaio, che acquistiamo
in buona parte dal Donbass, al centro della guerra in Ucraina.
In
guerra il conflitto divide le famiglie, è una guerra civile, le
bombe colpiscono le persone da una parte e dall'altra, in quartieri
residenziali, lontano da obiettivi militari.
14Mila morti, 3000
civili: questo il costo della guerra in Donbass che dura da 8 anni e
che ha causato la separazione dall'Ucraina delle due repubbliche
autonome, di Donetsk e Lugansk.
Gli accordi di pace di Minsk
sono rimasti lettera morta.
E oggi abbiamo una guerra locale che
rischia di diventare una guerra mondiale: come mai?
Donetsk,
era chiamata la capitale sovietica del carbone, diceva Lenin la cui
statua campeggia in una piazza della città, che senza il Donbass il
socialismo rimarrà solo un sogno: perché quel carbone vuol dire
energia, elettricità, acciaio. Negli anni di Stalin migliaia di
cittadini arrivavano qui ad estrarre carbone.
Secondo gli
esponenti della repubblica separatista, quello successo nel 2014 è
stato un colpo di stato che poi ha portato agli scontri tra gruppi
filorussi e le milizie ucraine.
Ci sono due narrazioni opposte,
oggi, in Donbass, tra i due gruppi che accollano agli altri le colpe
della guerra e delle violenze.
Gli accordi di Minsk non
sono mai stati applicati, sia da parte dell'Ucraina che da parte
delle repubbliche separatiste: il Donbass vuole l'indipendenza non
l'autonomia, mentre l'Ucraina non vuole riconoscere
l'autonomia.
Nella guerra in Donbass sono morte così 14mila
persone, hanno attirato milizie come il battaglione Azov, coi soldi
degli oligarchi ucraini come Kolomoyskyy, amico del presidente
Zelensky.
Report ha visitato le miniere in Ucraina: le
condizioni di lavoro di chi estrae il carbone da sottoterra non siano
cambiate dai tempi di Stalin. Una volta il carbone era in superficie,
oggi si deve scendere a 750 metri di profondità per estrarlo, ma nel
Donbass ce ne sono anche che superano i mille metri di profondità e
ventilarle non è per niente facile – racconta uno dei responsabili
al giornalista.
Il punto è che il carbone ucraino è un buon
carbone, quando viene arricchito arriva all’80% di purezza.
Le
migliori miniere sono di proprietà dei privati, come il proprietario
dello stabilimento Azovstal Akhmetov, oggi circondato dalle truppe
russe.
I rapporti tra Akhmetov e Zelensky non sono stati buoni
nel passato, l'oligarca è stato accusato di tradimento, che è
proprietario di diversi stabilimenti anche in Italia, oggi fermi
perché non arriva l'acciaio.
Questo acciaio è strategico
anche per l’Italia – racconta Gianni Venturi della Fiom CGIL –
“la produzione dell’acciaio in Italia è particolarmente
dipendente dall’Ucraina, rischiamo di avere ripercussioni
particolarmente pesanti [sulla nostra industria]. Molto dell’acciaio
arrivava da Azovstal e noi abbiamo una condizione che è determinata
dal fatto che nel nostro paese di produzione di acciaio in un ciclo
integrale ormai abbiamo solo lo stabilimento di Taranto e questo
significa che non c’è ghisa disponibile nel nostro paese.”
Le aziende stanno provando a risolvere il problema importando la ghisa dal Brasile e dall’Indonesia ma i costi di trasporto sono destinati a salire di molto.
Continua il sindacalista “noi rischiamo di avere qualche decina di migliaia di lavoratori del settore siderurgico e nel settore degli utilizzatori finali in grave difficoltà. [..] Tutto questo si riversa sugli utilizzatori finali dell’acciaio in particolare per quanto riguarda il settore dell’automotive ma anche il settore dei semiconduttori perché non tutti sanno che nella produzione dell’acciaio da ciclo integrale si liberano dei gas particolarmente pregiati come il neon che vengono usati per la tracciamento dei semiconduttori.”
Il
controllo delle risorse minerarie e della lavorazione dell'acciaio
vale il 21% dell'export dell'Ucraina: Mariupol è diventata città
martire per colpa dell'acciaio allora? Perché c'è l'acciaieria e
per il porto così strategico?
Oggi siamo in un vicolo
cieco: Putin le vuole tutte queste risorse mentre Zelensky non può
rinunciarne, gli accordi di Minsk non bastano più alle repubbliche
autonomiste.
E
Putin ha condizionato la politica europea col suo soft power, su cui
ha investito 240 ml di dollari, arrivando a stilare accordi con
partiti europei, come la Lega di Salvini.
Il servizio di Emanuele Bonaccorsi - LA
LISTA RUSSA - ha raccontato della rete di influenza russa, che ha attratto gruppi di estrema destra, gruppi ultra cattolici, gruppi di sinistra anti atlantici.
Rapporti intensi con la Germania, con la Turchia, la Francia e anche l'Italia.
Nessun commento:
Posta un commento