05 gennaio 2007

La scomparsa dei fatti di Marco Travaglio

I fatti sono scomparsi o, meglio, sono scomparsi coloro che li dovrebbero raccontare: i giornalisti di razza. Quelli cioè capaci di fare domande scomode al politico di turno, di fare inchieste che raccontano verità nascoste, che non si preoccupano di dare notizie che possono urtare la maggioranza di turno (quale che sia).
Giornalisti che, per usare un espressione americana che Marco Travaglio riporta anche in questo libro, dovrebbero essere “il cane da guardia della democrazia” e che invece, almeno qua in Italia sono il cane da compagnia, o da riporto.


Riferimento per questo genere di giornalismo, né di destra né di sinistra, rimane Indro Montanelli che viene ricordato nel primo capitolo. Quando venne mandato per raccontare i fatti di Ungheria nel 1956: e riuscì a scontentare sia a destra che a sinistra, perché raccontò che la rivoluzione non la stavano facendo dei reazionari borghesi, ma solo delle persone che chiedevano un socialismo dal volto più umano.

A chi fa comodo un giornalismo che non racconta più i fatti, ma che fa spesso solo da portavoce al politico? Non di certo alle persone che dovrebbero essere informate del mondo in cui vivono (o nel quale credono di vivere). Non fa bene al mondo dei giornalisti: un giornalisti che racconta frottole scredita tutta la categoria. Come fai poi a fidarti?

Non fa bene nemmeno al mondo della politica: intendo della politica che risolve i problemi delle persone e non che li crea. Della politica che si preoccupa di amministrare la cosa pubblica con parsimonia, senza spreco di danaro. Della politica che investe in ricerca, in nuove infrastrutture, in nuovi ospedali ecc..
Il giornalismo, questa la tesi di Travaglio, deve essere imparziale e in buona fede. Senza inseguire la chimera dell'obiettività, poiché non si può proibire a chi scrive di avere delle sue opinioni. Ma se sbaglia (e il giornalista può sbagliare), deve essere capace di correggersi e chiedere scusa.

Il giornalista che sbaglia in cattiva fede, che inventa delle bufale, dei falsi dossier, che racconta dei fatti marginali per nascondere la vera notizia (guardare il dito per non vedere la luna), che non fa la domanda scomoda, che ha paura serve alla cattiva politica: la politica dei condannati, dei prescritti (che non sono innocenti, ma sospesi in un limbo per cui non si sa se innocenti o colpevoli), dei collusi, degli indagati ... ossia di tutte quelle persone che, tutto dovrebbero fare eccetto che far politica. Ma che invece ci ritroviamo sempre al loro posto, imperturbabili ad ogni cambiamento.
Il libro si apre con un lungo elenco, dedicato a tutti i colleghi giornalisti: “C’è chi nasconde i fatti perché ha paura delle querele, delle cause civili, delle richieste di risarcimento miliardarie, che mettono a rischio lo stipendio e attirano i fulmini dell’editore… C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti non lo invitano più in certi salotti... C’è chi nasconde i fatti perché così, poi, magari, ci scappa una consulenza col governo o con la Rai o con la regione o con il comune… C’è chi nasconde i fatti perché è nato servo…”.
Sembra la canzone di Jannacci.

La scomparsa del giornalismo che racconta i fatti, che li analizza viene mostrata nei nove capitoli nel quale è diviso il libro. Ogni libro meriterebbe un approfondimento a parte: come il capitolo dedicato a Tangentopoli. Oggi è opinione comune che nei primi anni 90 i giudici milanesi abbiamo compiuto una specie di colpo di stato per eliminare un classe politica. Escludendo i comunisti e ricorrendo ad un uso eccessivo della carcerazione preventiva, che portò a molti suicidi.
Indagini che non portarono poi a nulla.

È tutto falso, come documentato con molta cura, numeri alla mano: i vertici del PDS in Lombardia furono spazzati via; il comune rubare su appalti da parte dei partiti (tutti) aveva portato il paese alla rovina. Stavano rubando soldi nostri: è giusto allora chiamare quella classe politica col loro nome. Ladri.

Un po' di numeri per Milano:
1200 tra condanne e patteggiamenti solo a Milano. In due anni.
Un centinaio di prescritti.
Soltanto il 5% delle persone indagate sono risultate poi essere innocenti.
Le tangenti sull'Atm sono per 33 miliardi di lire.
Le tangenti per la terza linea del metrò sono state accertate in 50 miliardi.
Il numero dei suicidi, riconducibili a Mani Pulite è 0.

Perchè allora questo revisionismo? Basta vedere che fine hanno fatti gli ex di quegli anni. All'estero sarebbero in pensione da un pezzo. Qua gli dedichiamo le strade.

Un altro capitolo illuminante è quello relativo alla “Pandemia dei polli”, dove i giornalisti, senza ricercare i fatti reali, hanno contribuito a creare il clima di terrore. Che ha portato all'acquisto di vaccini (che non sappiamo nemmeno se efficaci). Per cosa? Per nulla.Chi ci ha guadagnato? Le multinazionali farmaceutiche (Roche, Gilled Science) e chi aveva azioni in queste aziende. Come il segretario alla difesa Rumsfeld.

Ma il giornalismo nostrano è anche “l'arte del parlar d'altro”: arrestano Provenzano e si parla del suo covo (e non della sua latitanza). Condannano Dell'Utri e Previti (uno in primo grado per mafia, l'altro per corruzione di giudici) e Vespa parla di intrattenimento (isola dei famosi, Cogne ...).

Quante bufale abbiamo sentito in questi anni? Non a caso un altro capitolo si intitola “Premiato Bufalificio Italia”: dai giornalisti schierati per il partito della guerra in Iraq che si inventano dossier sulle armi di distruzione di massa, alle false notizie per screditare i magistrati (come per i giudici di Milano), al bluff delle elezioni (dove Forza Italia, ad es. è calata dal 29 al 23%), a Prodi coinvolto nel rapimento Abu Omar, alle vacanze delle due Simone ... quante bufale ci siamo bevuti e senza una smentita ufficiale.

Una delle accuse fatte a Travaglio è che utilizza troppo spesso le sentenze come fossero delle verità: ma siamo un paese dove, per troppi fatti, non esiste una verità storica. Che cosa raccontiamo allora di Piazza Fontana, delle stragi della strategia della tensione?
Le sentenze sono importanti, perchè raccontano comunque dei fatti accaduti, accertati: i quali a volta, pur non costituendo un reato, sono altrettanto gravi.
Un esempio calzante, sulla discorso tra fatti e reati è quello relativo al politico che frequenta noti mafiosi. Il fatto, di per sé, non costituisce reato. Mentre il fatto di usare due volte lo stesso biglietto del treno, è già reato. Ma è per questo più grave del primo?
Stiamo, giusto per la cronaca, parlando dell'onorevole Vladimiro Crisafulli, dei DS. La cui indagine per associazione mafiosa è stata archiviata.

Il libro si conclude con una carrellata di giornalisti “transgenici”: dallo spione Farina, a Cesara Buonamici, ai giornalisti “tifosi” (Sposini, Damascelli, Tosatti ..), ai giornalisti portavoce (Armeni, Rondolino, Ferrara).
Chissà che fine avrebbero fatto all'estero? Travaglio ricorda il caso, negli Stati Uniti, dei giornalisti anticastristi licenziati in tronco dal quotidiano (Nuevo Heraldo, legato al Miami Herald) quando si è scopero che erano stati pagati dalla Casa Bianca.


Il libro online sul sito di internetbookshop.
Il sito di Marco Travaglio.
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1 commento:

Anonimo ha detto...

ciao ho messo un commento a proposito della pagina in cui parli di "viva la ricerca", ma poi mi sono resa conto che era un a pagina vecchia e volevo essere sicura che lo gardassi adesso
ciao