04 dicembre 2007

Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi

Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo .

In questo libro non troverete rabbia, rancore, desiderio di vendetta.
Non troverete alti ideali, utopie irrangiungibili portate avanti da riviluzionari autoeletti tali.
Mario Calabresi ci racconta della sua storia, della sua infanzia di figlio del commissario Luigi Calabresi, di figlio cui un gruppo di assassini, dopo una campagna diffamatoria portata avanti da Lotta Continua, piena di odio e falsità (il falso coinvolgimento per la morte di Giuseppe Pinelli) ha ucciso il padre.

Di come la sua vita e quella della madre siano state segnate in modo indelebile. Del dolore di essere sempre e prennemente additato come il figlio del commissario.
Un libro, per dirla alla Aldo Grasso, che parla al cuore: non troverete nè un parola di più, nè una parola di meno.

Asciutto essenziale, Luigi Calabresi ci mostra la sua storia che è l'altra storia, poco raccontata o conosciuta: quella delle vittime del terrorismo.
Luigi Calabresi ha intervistato la figlia di Antonio Custra, di Luigi Marangoni o il figlio di Emilio Alessandrini: a vedere come lo stato, cioè come noi società, abbia dimenticato queste vittime, negando ogni conforto, negando spesso il riconoscimento del loro valore, c'è da rimanare avviliti.

Per non parlare, nello specifico caso della famiglia Calabresi, di vedersi ogni volta affiancare il nome di Pinelli: la perversa logica per cui se si fa il monumento per il commissario Calabresi, allora deve esserci a fianco anche quello per Pinelli.
Siamo ancora oggi vittime della campagna di marketing, orchestata allora da Lotta Continua, che vuole legare due vicende separate. Calabresi conosceva Pinelli, è vero.
Era un giovane e brillante funzionario di polizia, venuto da Roma: perchè fu additato come quella campagna di stampa diffamatoria (tra l'altro senza il supporto di prove)?

Perchè era una persona aperta del dialogo, faceva da cerniera tra il mondo istituzionale, lo Stato, e il popolo di sinistra, quelli che manifestavano contro.In quel momento, di scontro tra le parti, le persone come Calabresi erano scomode.
Le persone in divisa, i funzionari dello stato ernao il nemico da abbattere: non importa se facevano funzionare ospedali, se scriveva pratiche per il patronato CISL come Antonio Coccozello, se erano dei brigadieri di polizia come Custra ....

La disparità di trattamento tra chi uccise e chi venne ucciso è irreparabile, continua negli ed è aggravata dal fatto che chi allora uccise scrive memorie, viene intervistato dalla tivù, partecipa a qualche film, occupa posti di repsnsabilità, mentre alla vedova di un appuntato nessuno va a chiedere come vive da allora senza un marito, se ci sono figli che hanno avuto un'infanzia da orfani, se il tempo trascorso ha chiuso le ferite, il rimpianto, il dolore.
"Uccisi perchè? Per il sogno di un gruppo di esaltati che giocavano a fare la rivoluzione, si illudevano di essere spiriti eletti, anime belle votate a una nobile utopia senza rendersi conto che i veri figli del popolo, come i chiamava Pasolini, stavano dall'altra parte, erano i bersagli della loro stupida follia".


Come hai fatto, si chiede il figlio Mario Calabresi, alla madre, ad andare avanti, senza lasciarsi andare allo sconforto nel vedere gli assassini uscire dal carcere, intervistati, graziati, spesso riveriti?

"Io tutte queste cose mi sforzo di tenerle ai margini del cuore, di dimenticarle, di non fissarmi sulle scortesie, gli insulti, per poter guardare avanti, per non farmi avvelenare"Mamma parla per telefono, le sto raccontando di quegli scatoloni pieni di carte che voglio buttare, di frasi spiacevoli che ho trovato tra i ritagli di giornale, di quante cose abbiamo dovuto digerire.

"Ma come hai fatto?" le chiedo.
"Ho scomesso sulla vita, cos'altro potevo fare a venticinque anni, con due bambini piccoli tra le mani e un terzo in arrivo? Mi sono data da fare tutti i giorni, unico antidoto alla depressione, e ho cercato di vaccinarvi dall'accidia, dall'odio, dalla condanna di essere vittime rabbiose.
Questo non significa essere arrendevoli o mettere la testa sotto la sabbia. Significa battersi per avere verità e giustizia e continuare a vivere rinnovando ogni giorno la memoria.
Fare diversamente significherebbe piegarsi totalmente al gesto dei terroristi, lasciar vincere la cultura della morte".

Leggetevi questo libro: c'è dentro un pezzo della nostra memoria.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Libro assolutamente straordinario. DA LEGGERE!