10 aprile 2012

L'Italia della Uno Bianca di Giovanni Spinosa

L'Italia della Uno bianca

"Una storia politica e di mafia ancora tutta da raccontare"
Ecco un altro appassionato di dietrologia che vuole vedere misteri ed enigmi anche laddove non ce ne sono !
Questa potrebbe essere, più o meno, la reazione del lettore medio alla lettura del titolo di questo titolo, e soprattutto di quanto segue sotto: “una storia politica e di mafia ancora tutta da raccontare”.
Ma, come, non c'è già stato un processo, anzi più processi, contro
i membri della Uno Bianca? Non ci sono già state delle condanne con sentenza passata in giudicato? Non sono stati i fratelli Savi (Roberto il “ragioniere”, il poliziotto della questura di Bologna, e Fabio, il “fantasista”, con la complicità del fratello Alberto e di altri poliziotti) a compiere quella scia di sangue? 82 delitti, 23 omicidi, centinaia di feriti .. 

Tutto vero. 

E allora perchè questo libro?
Forse perchè, le sentenze, le confessioni (troppe confessioni), anche di delitti ancora da scoprire o di delitti per cui altri imputati erano già finiti davanti al giudice, (come per il processo Medda per lastrage del Pilastro e per il processo contro la banda Amato, composta da rapinatori catanesi), comunque lasciano scoperte delle zone d'ombra. 
Perché le confessioni dei due fratelli sembra costruite a tavolino perché entrambi non ricordano certi episodi e particolari specifici, su altri mentono entrambi o fanno finta di non ricordare. 
Mettendo assieme uno dopo l'altro i fatti, come ha fatto il magistrato autore del libro, si scopre che dietro i delitti della Uno Bianca, non possono esserci solo i Savi, ovvero una “impresa criminale a struttura familiare”.
Troppe testimonianze parlano di altre persone sui luoghi dei crimini, di altre macchine che si allontanavano dal luogo della rapina dopo aver raccolto i responsabili , ci sono pistole che hanno sparato contro delle vittime che non appartengono ai Savi ..

Bisogna iniziare a distinguere tra i delitti della banda della Uno Bianca e i delitti (non del tutto slegati) della banda dei fratelli Savi.
Che qualcosa non torni, in questa storia di rapine, assalti a banche e coop, omicidi gratuiti e senza un perchè ci sono tante cose: prima di tutto la pista che portò ai Savi, da parte dei due ispettori della polizia Baglioni e Costanza.
Da qui inizia il suo lungo percorso Spinosa: dalla scoperta casuale della residenza di Roberto Savi, a Torriana, seguendo una punto bianca con la targa sporca (che aveva attirato l'attenzione dei due ispettori), che però è risultata non appartenere a nessuno dei fratelli.
Una circostanza che la stessa corte d'Assise di Rimini ha stabilito essere una “concomitanza di circostanze fortuite e sicuramente irripetibili”.
“La Fiat Tipo bianca che passò davanti alla banca era, quindi, la macchina di uno sconosciuto; quella parcheggiata davanti all’abitazione di Fabio Savi apparteneva a un innocuo vicino. (…) (…) Baglioni e Costanza non avrebbero avuto alcuna ragione d’insospettirsi per il passaggio di una Fiat Tipo (macchina che, in teoria, non avrebbe dovuto nemmeno essere segnalata come collegata ai banditi della Uno bianca) davanti alla banca, se tale passaggio non avesse avuto caratteristiche particolarmente sospette e reiterate. Verrebbe da dire: adescanti.”
Non si fa della dietrologia spicciola allora se si inizia a chiedersi perchè i Savi si sono incolpati di crimini di cui altri erano già sotto processo (i catanesi del Pilastro, Marco Medda un camorrista vicono alla NCO di Cutolo).
Quale era il loro vero ruolo in certe rapine: forse erano solo i fornitori di mezzi e armi (da qui si spiega il perchè delle targhe anteriori delle auto smontate, forse come segnale per i veri rapinatori).
Qualcuno voleva imbeccare i due agenti sulla pista giusta, e consegnare i Savi alla polizia, quando ormai si sapeva che erano bruciati?
Perchè i Savi, quando ne ebbero la possibilità non scapparono all'estero, non nascosero le armi che li inchiodavano ai loro reati? Perchè raccontarono alcune delle loro “imprese” alle rispettive fidanzate (il “fumarone” alla coop di Casalecchio di Reno)? Che fine hanno fatto i profitti delle loro azioni (1,9 miliardi di lire)? Come mai nelle loro abitazioni sono state trovate così tante armi, che nemmeno usarono nella loro vita criminale? Per chi erano a disposizione?

Per arrivare a dare una risposta ai perchè (perchè quella violenza, hanno fatto tutto da soli, quali erano i loro reali obiettivi, perchè si sono presi anche colpe che potrebbero essere non loro, perchè non parlano, ..) Spinosa ricostruisce la storia della banda, seguendo le orme della sua evoluzione, dai primi colpi del 1987, fino all'arresto del 1994.
Mostrando una cosa all'apparenza poco scontata: la loro evoluzione criminale è stata tutt'altro che lineare, ovvero da piccoli furti, a furti via via più complessi, feroci o remunerativi.
No, usando una metafora dal mondo animale, Spinosa parla di evoluzione a “cespuglio”.
Ovvero una evoluzione con nel mezzo delle discontinuità, come se a compiere certe azioni non fossero le stesse persone. 

Dalla seconda parte del libro: “Una lunga scia di sangue”
- Dalle rapine ai caselli agli assalti alle coop (1987-1989)
Per quale motivo i Savi decisero di passare dai caselli, alle rapine alle coop, più complicate militarmente e logisticamente da gestire?
Nell'assalto alla coop di via Gorki, chi sparò alla guardia Picello, alle spalle, mentre i due malviventi furono visti scendergli dal davanti?
Perchè spararono ad Adolfino Alessandri, colpevole solo di avergli gridato “Sa fet, delinquent!”.
Perchè quel colpo di fucile gratuito al casello di S Lazzaro nel 1988: forse per collegare quella nuova arma (il fucile a pompa) ai delitti della Uno Bianca?
Perchè le auto senza targhe anteriori, perchè i Savi non ricordano questo particolare? 
Quale altra arma non posseduta dai Savi ha sparato ai carabinieri Stasi ed Erriu, colpevoli solodi essersi imbattuti nella banda della Uno Bianca che si stava preparando ad un altro colpo?

- Furore omicida. Dalla prova del fuoco ai delitti senza maschera.
Sono i mesi delle morti senza un motivo particolare: non è razzismo (Roberto aveva una fidanzata nigeriana), né può essere stata una scelta dettata da uno scatto d'ira. 
Il ferimento di Akesby (la prova del fuoco di Fabio Savi?), l'omicidio di Primo Zecchi, l'assalto al campo nomadi di Santa Caterina e quello in via Gobetti. Fino agli omicidi di Pasqui e Pedini, durante una rapina al distributore.

- L'eccidio del Pilastro. Una sistematica e consapevole ricerca del caos (4 gennaio 1991).
Qui, della ricostruzione dei Savi (che ha permesso la scarcerazione di Antonio Medda), non convince nulla.
La posizione degli spari, come è iniziato l'agguato, perchè sono stati uccisi i tre carabinieri Mitilini, Stefanini e Moneta (morto con le armi in pugno). Cosa avevano visto, nel loro giro di pattuglia?
- Omicidi senza un apparente perchè (9 gennaio – 28 agosto 1991).

L'omicidio nell'armeria di Volturno (Ansaloni e Capolungo), l'omicidio Mirri e Bonfiglioli durante una rapina ad un distributore di benzina. Chi era la persona distinta vista fuori dall'armeria? Infine l'omicidio dei tre senegalesi Cheick, Malik e Diaw.
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La stagione delle rapine in banca (novembre 1991 – novembre 1994).
In questa fase la banda della Uno bianca diventa sovrapponibile a quella dei Savi e il filone ecomomico diventa la leva principale del gruppo, che comunque non rinuncia a quello eversivo.

L'Italia della Uno bianca.
Quale era l'Italia negli anni della Uno bianca? Era il paese in cui il gruppo di fuoco dei corleonesi aveva deciso di lanciare la sua sfida allo stato, dopo le sentenze (passate in Cassazione nel 1992) del maxi processo di Palermo.
La teoria del giudice Spinosa, vede nella violenza della banda della Uno Bianca il braccio armato della mafia per il loro piano di terrore nelle strade, nelle banche, negli uffici postali.
E i Savi, non erano estranei a questa criminalità, come si crede.
I legami con la criminalità organizzata e le rivendicazioni della Falange Armata, confermano questa teoria.

Le varie corti che si sono occupate dei delitti della uno bianca hanno “parcellizzato” i fatti senza riuscire ad avere una visione d'insieme generale.
È diventato quasi un dogma, dice Spinosa, la permeabilità dei Savi alla criminalità organizzata (come la mafia, che in quegli anni si era ben radicata in Emilia Romagna). Eppure sono provati i contatti tra Fabio Savi e una certa Sabine Falschlunger, amante di Mario Iovine, esponente del clan dei casalesi.
Il racconto di Alberto Savi, in carcere, sui suoi rapporti per traffico d'armi con i camorristi della famiglia Jervolino.
I Savi, che in Italia si dice non avessero contatti con la criminalità, da chi avrebbero preso tutte quelle armi in loro possesso? E a chi le dovevano dare? E come mai Fabio Savi va in Ungheria per compare delle armi proprio dalla criminalità ungherese. Non è tutto questo poco ragionevole?

La sigla misteriosa di Falange Armata rivendicò molti delitti e stragi di mafia della stagione 1992-1993. 221 telefonate su 500 di questa struttura (probabilmente legata a cellule del Sismi) riguardavano proprio episodi della Uno bianca.

Così come i Savi servivano per portare il terrore nelle strade, la Falange Armata serviva come terrorismo mediatico: creare confusione e sfiducia nei cittadini nei confronti delle istituzioni. Una specie di sfida allo Stato, come lo è stata da un certo punto anche quella dei Savi, se si crede alle loro parole. Una banda familiare di criminali che non si riesce a prendere, e che praticamente si lascia arrestare quando alla fine viene scoperta (o fatta scoprire?).
Forse, parafrasando Fabio Savi, dietro la Uno Bianca c'è qualcosa di più della targa e del paraurti ….



"I DELITTI DELLA UNO BIANCA SONO UNO DEI PRIMI ATTI DELLA STRATEGIA TERRORISTICA E DESTABILIZZANTE CHE LA MAFIA SCATENA CONTRO LO STATO... CHI SI INOLTRA NELLA LETTURA DI QUESTO LIBRO DEVE SAPERE CHE NON RIUSCIRÀ PIÙ A SMETTERE."Marco Travaglio

Documentazione:

La lettera di Guglielmo Avolio, attualmente, è Presidente di Sezione del Tribunale di Trento, all'epoca giudice di Corte d'Assise presso il Tribunale di Bologna.

Sono stato estensore della sentenza che esitò il "primo" processo per i fatti della Uno Bianca, nel bel mezzo del quale, attraverso un'operazione che per me è ancora oscura (ma che qualcuno lega a risvolti addirittura boccacceschi), furono arrestati i Savi ed alcuni altri "poliziotti", e furono letteralmente cestinati anni di indagini ed oltre un anno di processo, che - attraverso riscontri oggettivi di non indifferente spessore - contestualizzavano, accanto a quelle belve, un ergastolano latitante legato ai servizi, ferito nella sparatoria e ucciso in casa sua a distanza di qualche anno, ed alcuni malavitosi locali imparentati o legati ad ergastolani "comuni". Emersero già in giudizio inquietanti collegamenti con esponenti dei Casalesi. Poi la bulimia confessoria di Roberto Savi cancellò tutto, compresi altri processi in cui si era già giunti, se non erro anche in secondo grado, alla cattura di rapinatori professionisti provenienti da Catania.


L'intervista a Giovanni Spinosa dove parla dei legami dei Savi con la mafia.

Un gioco infame, di Massimo Polidoro (la storia della banda della Uno bianca in versione romanzata).
Blu Notte - Il Caso della Uno Bianca
- La scheda sul sito di Chiarelettere e la prestentazione dell'autore sul blog Cadoinpiedi.

Il link per ordinare il libro su ibs.
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