L'Italia non sogna più. Ha smesso di farlo un mattino di maggio del 1978. Da allora ha imparato a rigurgitare di tutto pur di restare con gil occhi sbarrati. Non lucida. Soltanto sveglia. Un paese senza sonno. E senza sogni. Un paese in cui non c'è differenza tra il giorno e la notte. Un paese in cui sono successe troppe cose. Ma è come se niente fosse successo. Niente, dall'ultimo risveglio. Da quando ci siamo alzati e siamo usciti diretti al porto, per imbarcarci sull'unica nave galleggiante. La nave sulla quale abbiamo viaggiato fino a oggi. Navigando a vista.Questa non è la storia del sogno prima della veglia. E nemmeno del viaggio sul Titanic.Questa è la storia del tragitto dalle piazze al molo, dalle case al porto. E' la storia degli ultimi passi sulla terraferma. La storia di come è iniziato l'ultimo, vero, mutamento di questo paese. E' la storia d'un eterno presente e di un passato che ritorna. Di un modo, uno dei tanti, per uscire da una crisi gigantesca. E' la storia di come fabbricare esplosivo e ficcarlo nel culo dell'Italia, con un timer che segna la percentuale del debito pubblico e un innesco chiuso dentro una ventiquattore piena di soldi.
Questo è il racconto degli anni in cui il Nostromo studiava da ammiraglio. Il racconto di chi è salito prima degli altri sulla nave, per cadere in mare prima che il viaggio avesse inizio. E di chi ha preso un biglietto di terza classe, aggrappandosi a una passerella. Questo è il racconto dell'imbarco di corsari e bucanieri, promossi - sul ponte - al rango di ufficiali. Ed è il racconto d'una ciurma che aveva fretta di partire.
E questa è la storia di un uomo che ha sognato e poi s'è svegliato. Un uomo che ha vissuto, creduto e capito, che ha scritto e raccontato. E che se n'è andato un attimo prima che la nave salpasse.Roma gennaio 2010
Quel
qualcuno, di cui si parla in queste prime righe è Carlo
Rivolta, giornalista prima per Paese Sera e poi per la
Repubblica, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari nel 1976 di cui
Carlo fu uni dei migliori cronisti di strada. Quelli cioè capaci di
raccontare senza troppi foltri il mondo che sta là fuori.
Macchine bruciate, radio libere, eroina, operai, lotta armata, “La Repubblica”, Moro, indiani metropolitani, P2, studenti, chi va a sparare e chi va a ballare, riflusso, Lotta Continua, non cambia nulla in città.
Rivolta raccontò la Roma violenta di Johnny lo zingaro, le piazze dello spaccio della droga (e le difficoltà che le persone incontravano nei centri di disintossicazione) in mano ad una nuova criminalità organizzata, i movimenti extraparlamentari alla sinistra del PCI (e malvisti dal partito). Il rogo di Primavalle e l'errore della stampa di sinistra che si orientò subito sulla pista interna all'MSI (mentre invece di quelle morti sono responsabili tre esponenti di Potere Operaio). La situazione delle carceri, le prime rivolte dei detenuti contro la dura vita nelle celle.
Carlo raccontò dal di dentro le cronache di fiamme, del fumo, degli spari sparati sia dalla polizia che dagli autonomi, delle strade trasformate in campi di battaglia. Suo è il racconto del 77, così come suo è anche il racconto dell'assalto al palco del sindacalista Lama nel suo comizio di fronte La Sapienza.
I 55 giorni del rapimento Moro: suo l'articolo sull'agguato in via Fani e anche gli altri sulla vicenda che segnò lo spartiacque non solo per l'insurrezione armata, ma anche per la sua carriera in Repubblica.
Lui, cene sciolto, cronista abituato a cercarsi le notizie e geloso delle sue fonti, sentì di essere stato messo da parte per la sua linea garantista e contraria alla linea della fermezza. Che era quella del suo giornale, espressa degli editoriali del direttore Scalfari (“Sacrificare un uomo o perdere lo stato”), che era quella del PCI. Troppo troppo vicino al movimento per non esserne coinvolto,
Nonostante questo, anche dopo la fine del 1978, continua la collabolazione con Repubblica: “Continua a scrivere, lasciando in eredità una mappa del terrorismo nostrano utile a chi voleva davvero provare a capire l’Italia di quegli anni. Ma non solo. Ci sono i reportage dagli States, le cronache dalla terremotata Irpinia e i pezzi dalla sua Trebisacce, testimonianze di un modo di fare informazione che oggi si vede sempre di meno. "In teoria – dice Mauro Favale – i margini per raccontare la realtà, per osservarla con occhio critico, contestualizzando, creando legami, guardando oltre la superficie di un fatto esistono sempre. Esistevano allora e son possibili anche oggi. Dipende, come sempre, dalla curiosità personale e dalle opportunità che una testata giornalistica ti dà. Oggi, forse, certe dinamiche vengono ritenute marginali, appaiono sui giornali solo quando succede un “fatto” che di per sé fa notizia. Ecco, forse in questo modo ci si perde tutto il resto: tutto quello che c’è intorno e che aiuterebbe a capire da dove nasce 'il fatto'".” [paesesera.it]
A metà strada tra biografia del giornalista e biografia del paese, l'Aspra stagione è un racconto a più voci (gli amici giornalisti e le donne della sua vita, la madre e le fidanzate Francesca e Antonella) degli anni della contestazione prima e del riflusso poi, visto con la particolare lente del giornalista giornalista (come raccontava nel film Fortapasc il caporedattore a Giancarlo Siani): uno che non si accontentava della velina preimpostata dal portavoce, della versione ufficiale della polizia o della Questura.
Rivolta, che si era fatto le ossa nella redazione di Paese Sera, aveva i contatti giusti nel mondo della sinistra estrema, nella zonea grigia tra eversione e contestazione. Per i suoi articoli ricevette persino delle minacce, ma nonostante questo continuo a fare quello che sapeva fare bene: girare nelle piazze, nelle strade, cercare di capire, di interpretare i fatti.
Capire per esempio del legame tra il consumo di stupefacenti tra i giovani e il disagio di una generazione con sempre meno speranze. La droga come rifugio sicuro dai problemi: un rifugio in cui anche Carlo cercò riparo. I suoi problemi con la droga lo portarono all'incidente nel febbraio 1982, la caduta dal quarto piano, l'agonia di sette giorni.
L'aspra stagione inizia a finire col 1978, con quella R4 fatta ritrovare in via Caetani, con l'inizio della dissociazione dei due postini Morucci e Faranda, con la fine del partito della fermezza, e l'ingresso sulla scena politica dei socialisti di Craxi (quello che invece era per la trattativa e che aveva tenuto rapporti, nei giorni del sequestro, con personaggi di Pot.Op. In contatto con le Br), fino alla coppa del mondo sollevata da Dino Zoff in Spagna, nel luglio 1982.
Era già un'altra Italia, pronta ad essere telecomandata dalle televisioni (come la triste storia di Alfredino Rampi aveva fatto capire), da una nuova razza politica. Gli anni del riflusso, della Milano da bere, del pentapartito, del riformismo che attaccava i diritti dei lavoratori (come adesso d'altronde), fatto ancora piùù incredibile se si pensa che arrivava dal partito socialista.
“E la nave va …” avrebbe detto quel politico. E dove saremmo arrivati lo abbiamo visto: con gli ex contestatori di una volta rientrati nei salotti e nei giornali: il “ritorno all'ordine” ispirato al libro di Mughini dove si mettono assieme Sofri, Ferrara e Baged Bozzo.
Tutte cose che Carlo Rivolta non avrebbe visto più.
Il suo articolo critico contro la rigidità del giornalista, come egli la percepiva, dopo i giorni del sequesto Moro.
Quello che è il suo testamento professionale: la scelta della diserzione
“è meglio non essere ipocriti e dire chiaramente che dai giornalisti oggi si vuole un lavoro di schieramento e non di testimonianza. Credo che ci vogliano tutti convinti di dover difendere ad ogni prezzo questo stato cisì com'è. Ma questa non è la nostra funzione, questa è una scelta individuale, soggettiva, non coatta. A questo punto, tra le revolverate dei terroristi che non apprezznao i giornalisti indipendenti e le galere di chi vuole i giornalisti poliziotti per sopperire alle insufficienze dell'apparato repressivo dello Stato non resta che una scelta: disertare. Nel nostro caso, concretamente, vuol dire non occuparsi più di terrorismo, abbandonare il campo, lasciare che a scrivere siano gli iscritti ai partiti, i reporter stipendiati dai palazzi del Sid e dalle veline dei tribunali. Gli altri, bisto che non possono informare seriamente, che restino a guardare ”
Dalla lettera di Carlo Rivolta a Lotta Continua, nel 1980.
L'attacco dell'articolo di Carlo Rivolta sull'assalto al palco di Lama nel 1977 a La Sapienza: “Quel giorno a Roma, l'assalto a Lama va in scena la tragedia della sinistra italiana”
ROMA - Alle otto del mattino, sotto un cielo plumbeo e le prime gocce di pioggia, gli schieramenti nell'Università erano già formati, anche se la tensione era ancora minima. Nel piazzale della Minerva il servizio d'ordine del sindacato e del Pci con i cartellini rossi appuntati sul bavero della giacca, qualche giovane della Fgci, molte persone un po' attempate, due o tre tute blu, presidiava la piazza del comizio. Armati di pennelli e vernice sindacalisti e comunisti cancellavano le scritte degli "indiani metropolitani", (l'ala "creativa" del movimento, composta essenzialmente da militanti dei circoli del proletariato giovanile). Prima fra tutte una a caratteri cubitali accanto ai cancelli principali dell'ateneo: "I Lama stanno nel Tibet".
Macchine bruciate, radio libere, eroina, operai, lotta armata, “La Repubblica”, Moro, indiani metropolitani, P2, studenti, chi va a sparare e chi va a ballare, riflusso, Lotta Continua, non cambia nulla in città.
Rivolta raccontò la Roma violenta di Johnny lo zingaro, le piazze dello spaccio della droga (e le difficoltà che le persone incontravano nei centri di disintossicazione) in mano ad una nuova criminalità organizzata, i movimenti extraparlamentari alla sinistra del PCI (e malvisti dal partito). Il rogo di Primavalle e l'errore della stampa di sinistra che si orientò subito sulla pista interna all'MSI (mentre invece di quelle morti sono responsabili tre esponenti di Potere Operaio). La situazione delle carceri, le prime rivolte dei detenuti contro la dura vita nelle celle.
Carlo raccontò dal di dentro le cronache di fiamme, del fumo, degli spari sparati sia dalla polizia che dagli autonomi, delle strade trasformate in campi di battaglia. Suo è il racconto del 77, così come suo è anche il racconto dell'assalto al palco del sindacalista Lama nel suo comizio di fronte La Sapienza.
I 55 giorni del rapimento Moro: suo l'articolo sull'agguato in via Fani e anche gli altri sulla vicenda che segnò lo spartiacque non solo per l'insurrezione armata, ma anche per la sua carriera in Repubblica.
Lui, cene sciolto, cronista abituato a cercarsi le notizie e geloso delle sue fonti, sentì di essere stato messo da parte per la sua linea garantista e contraria alla linea della fermezza. Che era quella del suo giornale, espressa degli editoriali del direttore Scalfari (“Sacrificare un uomo o perdere lo stato”), che era quella del PCI. Troppo troppo vicino al movimento per non esserne coinvolto,
Nonostante questo, anche dopo la fine del 1978, continua la collabolazione con Repubblica: “Continua a scrivere, lasciando in eredità una mappa del terrorismo nostrano utile a chi voleva davvero provare a capire l’Italia di quegli anni. Ma non solo. Ci sono i reportage dagli States, le cronache dalla terremotata Irpinia e i pezzi dalla sua Trebisacce, testimonianze di un modo di fare informazione che oggi si vede sempre di meno. "In teoria – dice Mauro Favale – i margini per raccontare la realtà, per osservarla con occhio critico, contestualizzando, creando legami, guardando oltre la superficie di un fatto esistono sempre. Esistevano allora e son possibili anche oggi. Dipende, come sempre, dalla curiosità personale e dalle opportunità che una testata giornalistica ti dà. Oggi, forse, certe dinamiche vengono ritenute marginali, appaiono sui giornali solo quando succede un “fatto” che di per sé fa notizia. Ecco, forse in questo modo ci si perde tutto il resto: tutto quello che c’è intorno e che aiuterebbe a capire da dove nasce 'il fatto'".” [paesesera.it]
A metà strada tra biografia del giornalista e biografia del paese, l'Aspra stagione è un racconto a più voci (gli amici giornalisti e le donne della sua vita, la madre e le fidanzate Francesca e Antonella) degli anni della contestazione prima e del riflusso poi, visto con la particolare lente del giornalista giornalista (come raccontava nel film Fortapasc il caporedattore a Giancarlo Siani): uno che non si accontentava della velina preimpostata dal portavoce, della versione ufficiale della polizia o della Questura.
Rivolta, che si era fatto le ossa nella redazione di Paese Sera, aveva i contatti giusti nel mondo della sinistra estrema, nella zonea grigia tra eversione e contestazione. Per i suoi articoli ricevette persino delle minacce, ma nonostante questo continuo a fare quello che sapeva fare bene: girare nelle piazze, nelle strade, cercare di capire, di interpretare i fatti.
Capire per esempio del legame tra il consumo di stupefacenti tra i giovani e il disagio di una generazione con sempre meno speranze. La droga come rifugio sicuro dai problemi: un rifugio in cui anche Carlo cercò riparo. I suoi problemi con la droga lo portarono all'incidente nel febbraio 1982, la caduta dal quarto piano, l'agonia di sette giorni.
L'aspra stagione inizia a finire col 1978, con quella R4 fatta ritrovare in via Caetani, con l'inizio della dissociazione dei due postini Morucci e Faranda, con la fine del partito della fermezza, e l'ingresso sulla scena politica dei socialisti di Craxi (quello che invece era per la trattativa e che aveva tenuto rapporti, nei giorni del sequestro, con personaggi di Pot.Op. In contatto con le Br), fino alla coppa del mondo sollevata da Dino Zoff in Spagna, nel luglio 1982.
Era già un'altra Italia, pronta ad essere telecomandata dalle televisioni (come la triste storia di Alfredino Rampi aveva fatto capire), da una nuova razza politica. Gli anni del riflusso, della Milano da bere, del pentapartito, del riformismo che attaccava i diritti dei lavoratori (come adesso d'altronde), fatto ancora piùù incredibile se si pensa che arrivava dal partito socialista.
“E la nave va …” avrebbe detto quel politico. E dove saremmo arrivati lo abbiamo visto: con gli ex contestatori di una volta rientrati nei salotti e nei giornali: il “ritorno all'ordine” ispirato al libro di Mughini dove si mettono assieme Sofri, Ferrara e Baged Bozzo.
Tutte cose che Carlo Rivolta non avrebbe visto più.
Il suo articolo critico contro la rigidità del giornalista, come egli la percepiva, dopo i giorni del sequesto Moro.
Quello che è il suo testamento professionale: la scelta della diserzione
“è meglio non essere ipocriti e dire chiaramente che dai giornalisti oggi si vuole un lavoro di schieramento e non di testimonianza. Credo che ci vogliano tutti convinti di dover difendere ad ogni prezzo questo stato cisì com'è. Ma questa non è la nostra funzione, questa è una scelta individuale, soggettiva, non coatta. A questo punto, tra le revolverate dei terroristi che non apprezznao i giornalisti indipendenti e le galere di chi vuole i giornalisti poliziotti per sopperire alle insufficienze dell'apparato repressivo dello Stato non resta che una scelta: disertare. Nel nostro caso, concretamente, vuol dire non occuparsi più di terrorismo, abbandonare il campo, lasciare che a scrivere siano gli iscritti ai partiti, i reporter stipendiati dai palazzi del Sid e dalle veline dei tribunali. Gli altri, bisto che non possono informare seriamente, che restino a guardare ”
Dalla lettera di Carlo Rivolta a Lotta Continua, nel 1980.
L'attacco dell'articolo di Carlo Rivolta sull'assalto al palco di Lama nel 1977 a La Sapienza: “Quel giorno a Roma, l'assalto a Lama va in scena la tragedia della sinistra italiana”
ROMA - Alle otto del mattino, sotto un cielo plumbeo e le prime gocce di pioggia, gli schieramenti nell'Università erano già formati, anche se la tensione era ancora minima. Nel piazzale della Minerva il servizio d'ordine del sindacato e del Pci con i cartellini rossi appuntati sul bavero della giacca, qualche giovane della Fgci, molte persone un po' attempate, due o tre tute blu, presidiava la piazza del comizio. Armati di pennelli e vernice sindacalisti e comunisti cancellavano le scritte degli "indiani metropolitani", (l'ala "creativa" del movimento, composta essenzialmente da militanti dei circoli del proletariato giovanile). Prima fra tutte una a caratteri cubitali accanto ai cancelli principali dell'ateneo: "I Lama stanno nel Tibet".
La scheda sul sito di Einaudi
Il link per ordinare il libro su ibs
Technorati Tommaso De
Lorenzis , Mauro
Favale, Carlo
Rivolta
Nessun commento:
Posta un commento