“La qualità della nostra vita sta
peggiorando solo per la crisi o perchè stiamo sostenendo un sistema
che non va più?”
Se la domanda della giornalista Gabanelli era
retorica, non lo è la risposta: perchè la ricerca di un modello
(economico, sociale e politico) diverso per l'uscita dalla crisi è
un qualcosa che riguarda direttamente le nostre vite e quelle delle
generazioni che seguiranno.
A meno di non voler accogliere tutti i
sacrifici con spirito “cristiano”, in attesa di tempi
migliori che non è detto che arrivino, è giusto porsi una domanda:
non è che l'Europa, l'Italia, questo governo (e il passato) hanno
sbagliato ricetta?
Nel mondo, la domanda se la sono fatta in
tanti e a dispetto dei signori economisti, banchieri, professori,
giornalisti presunti esperti, hanno anche iniziato a fare. Di questo ha parlato il servizio di Michele Buono "smarcamenti in campo" (qui il pdf della puntata).
Negli
Stati Uniti per esempio, oltre alle proteste di piazza, la gente ha
iniziato a ritirare i propri soldi dalle banche che fanno
speculazione, per metterli nelle Credit Unit (ad oggi 46 miliardi di
dollari spostati): così si ferma il monopolio di questi mostri
finanziari che hanno smesso di essere banche.
In Austria e in
Baviera si sono inventati la “banca democratica” che non
fa speculazioni ma investe nel lavoro e nelle persone, perchè “il
denaro è un mezzo” e non un fine, e nemmeno un Dio.
In
Francia a Nantes hanno tolto di mezzo la moneta, imprese e banche
compenseranno i crediti con un conto virtuale.
A Capannori, a
Lucca, sindaci e assessori decidono assieme ai cittadini le opere del
comune, ovvero il bene comune di tutti.
Un altro modello si
sta sviluppando e ha preso piede: un modello di cogestione delle
imprese, dove questa è parte della comunità. Niente
delocalizzazione, niente super stipendi per manager che puntano solo
al profitto a breve termine. Riusciranno a cambiare le cose? Forse a
breve termine rideranno in molti, ma d'altronde non è detta l'ultima
parola. Non è vero che la BCE aveva garantito per le nostre banche?
Fuori dal mondo c'è gente che rimette al centro la persona:
come in Argentina: 10 anni fa la crisi, dunque la solita ricetta.
Austerità, speculazioni e ai cittadini fu detto che bisognava fare
altri sacrifici ma la gente non accettò.
Dopo le proteste il
presidente se ne scappò (con un elicottero) e il successivo che
venne eletto non accettò la ricetta neoliberista americana.
Le
imprese furono assegnate ai lavoratori: si dicevano che queste erano
decotte che bisognava chiuderle e invece oggi sono ancora
qui.
Perché una cosa si deve imparare in economia: chè non è
vero che le crisi, le speculazioni e le tempeste finanziarie sono
nell'ordine naturale delle cose.
Sono invece il frutto di precise
politiche finanziare di enti che si ritengono al disopra delle
regole.
Come Deutsche Bank che nel 2011 iniziò a vendere i titoli
pubblici italiani, facendoli deprezzare.Così l'Italia dovette pagare
interessi più alti.
Ma la banca guadagno anche grazie ai CDS
(credit default swap) sui nostri titoli, che aumentarono di valore
per la nostra crisi. Una plusvalenza su una speculazione bella e
buona: è questa l'economia giusta, naturale? Una nazione democratica
che deve tagliare la spesa sociale perchè una banca deve specularci
sopra?
La liquidità dei mercati.
Come per la crisi
americana del 2008, anche la BCE nel 2011 ha concesso qualche
centinaia di miliardi alle banche europee (un centinaio a quelle
italiane) per affrontare la crisi (nonostante gli stress test dellaEBA ..): ma oggi le banche stanno usando quei soldi (nostri) in
sostituzione dei titoli italiani o nei titoli sovrani.
Il gioco ha
fatto abbassare lo spread a breve termine, per questi acquisti di
titoli, ma alle imprese non è arrivato un euro. Hanno preferito
investire a basso rischio, col risultato che l'economia italiana è
rimasta al palo e la bolla (per questa immissione di liquidità) è
comunque destinata a scoppiare. Siccome le banche italiane, pure in crisi, non possono fallire, serviràaltra liquidità (fin
che c'è né) e il gioco andrà avanti.
Il 2 marzo 2012 l'Europa ha varato il patto
fiscale degli stati che impone il pareggio di bilancio che deve
essere pure inserito nella Costituzione.
L'Italia, come per la
riforma delle pensioni e sull'articolo 18, ha deciso di fare la prima
della classe (mica parliamo di corruzione ed evasione): per la prima
volta si è inserito in Costituzione una norma internazionale,
ratificata da tecnici (non votati dai cittadini), senza una vera
discussione.
Con questa norma gli Stati non potranno fare
politiche in debito, per rilanciare la loro economia, per il welfare.
Significa lo smantellamento dello stato sociale: sanità, cure per i
più deboli, istruzione. In questi settori entreranno i privati e lo
Stato, così come lo abbiamo conosciuto, che perderà la funzione di
regolamentazione finanziaria ed economica nel paese.
Poichè il
privato non avrà alcun interesse a tenere attiva la linea di bus verso
la periferia, come i treni regionali dei pendolari (solo l'alta
velocità che fa tanto moderno).
Come si è arrivato a
questo?
Tecnocrazia è un termine che risale agli anni '70, con la
nascita della Commissione Trilaterale, di Rockfeller: un parlamento
globale di non eletti che decise che la democrazia, con i suoi lacci
e laccioli, bloccava l'economia. Dunque meno democrazia, meno potere
ai parlamenti e più potere ai governi.
In un mondo connesso a
livello globale, non si capisce più a chi rispondono i governi
locali: ai mercati, alle banche, al Dio denaro?
Piano piano si
sono tolte le regole al mercato: nel 1999 Clinton eliminò il GlassSteagel Act, e da allora le banche poterono prendere i nostri
risparmi e farci speculazione (nessuna separazione tra banche
d'affari e private).
Oggi, Grecia e Italia sono governate da
esponenti della Trilateral: non è un complotto, contro i paesi. Ma
dobbiamo chiederci quali criterio e quali visione abbiano i nostri
tecnocrati.
Che comunque non è la sola visione del mondo e dell'economia possibile.
Che comunque non è la sola visione del mondo e dell'economia possibile.
Franz Bauman è un imprenditore bavarese
che ha deciso di non andare in banca, per non perdere il controllo
della sua azienda. Azienda che è rimasta florida, reinveste i
profitti tra i lavoratori e nell'impresa.
Qui viene usato il
“Bilancio del bene comune”: il bilancio è calcolato in
base alla cura dell'ambiente, alle condizioni del lavoro.
Più
punti significa anche più vantaggi per la clientela, che è più
invogliata a prendere prodotti da una azienda che fa bene comune.
E
anche la politica dovrebbe interessarsi a questo modello, che produce
del bene che si riflette sul territorio.
Christian Felber
è un saggista che si è inventato questo modello, oggi adottato da
500 aziende in 13 stati: sono poche, è vero, ma il tutto è nato in
un anno e mezzo.
A Bolzano, il signor Engl produce stampi con la
sua azienda: qui la produttività è fatta facendo lavorare le
macchine di notte, non le persone.
L'impresa è concepita come
“ospite della comunità”: e allora si creano relazioni con essa e
non l'abbandoni con le delocalizzazioni.
Perché queste danno un
profitto a breve termine, ma alla lunga creano un sistema staccato
dalla società.
E allora serve un altro modello di banca.
E allora serve un altro modello di banca.
La Banca democratica: i clienti della
banca sono liberi di accettare o meno gli interessi sul credito e la
moneta non deve creare denaro per fare altro denaro, altrimenti si
creano problemi di accesso al credito da parte delle imprese.
A
Nantes l'amministrazione vuole abolire il denaro, in favore di un
circuito che lega imprese banche e comune per gestire crediti e
debiti: in questo progetto c'è dentro anche un professore della
Bocconi (chissà se in Italia?) : niente denaro, niente inflazione,
niente problemi di restrizione del credito. Gli scambi finanziari
sono gestiti automaticamente in modo immediato tramite un software:
in questo modo si toglie di mezzo il costo del denaro.
Non è
una soluzione originale: negli anni '50 nell'Europa che si stava
rimettendo in piedi dopo la guerra, venne istituita “l'Unione
Europea dei pagamenti”. La finanza per il mercato, non la
finanza per la finanza e il benessere lo conquisti lavorando e non
speculando su chi lavora.
In Italia, a Capannori, il
nuovo modello lo hanno portato avanti nella gestione delle opere del
comune.
L'amministrazione ha i conti in ordine e le somme
accantonate permettono di fare investimenti.
Ai cittadini, o
meglio ad un campione di cittadini che sono stati messi in condizione
di leggere un bilancio, è chiesto dove investire .
Il 50% delle
spese correnti sono per il welfare: la spesa sociale è stata
rafforzata per prevenire i bisogni dei cittadini.
Niente discarica
ma un centro di riuso che ricicla i beni non più usati: una
cooperativa si preoccupa di rimetterli in ordine, affinchè si
possano scambiare.
Una cooperativa comunale si preoccupa di dare
assistenza ale persone senza alloggio.
Non si consuma il
territorio, non si fa cassa col cemento, ma il comune incentiva i
lavori di riqualificazione degli edifici, e per chi usa tecniche di
risparmio energetico.
Raccolta dei rifiuti all'80%.
E i soldi
accantonati? Si è deciso di darli alla scuola pubblica, il bene
comune, appunto.
Altri comune stanno portando avanti politiche
analoghe: c'è un comune di Baviera, Wildpoldsried, che ha investito nelle energie
rinnovabili (anzichè tagliare i bilanci per diminuire il debito). Auto elettriche, produzione decentralizzata dell'energia
(dal fotovoltaico e dall'eolico) che quando è in surplus viene
immessa nella rete per alimentare le auto. Una centrale gestisce
questi flussi energetici.
Tutto questo ha un costo per gli
investimenti: ma si guadagna, a lungo termine per le minori emissioni
di Co2 e per l'indipendenza dal petrolio.
A St. Paul, in
Minnesota c'è la Bremer Bank.
I dividendi della banca anziché
finire ai top manager finiscono alla fondazione Bremer, che li gira
al territorio alle imprese.
Il 92% dei dividendi finisce alla
comunità, le persone stanno bene e allora versano soldi alla banca
che li reinveste nel territorio. Si chiama economia.
A New
York, le industrie tessili che una volta erano la seconda industria
del paese, oggi sono in crisi, per delocalizzazione. Un processo
iniziato negli anni '80- '90 appunto con le politiche che favorirono
le delocalizzazioni, perchè finanziarizzazione delle imprese e
delocalizzazioni vanno assieme.
Milena Gabanelli
É andata bene per un bel po’ e
adesso che non ce n’è più per tutti. Il tessile era la seconda
industria americana e la nostra prima industria. E non è un genere
che è passato di moda. La popolazione aumenta e tutti hanno bisogno di
vestirsi, ma è diventato più conveniente andare a produrre da
un’altra parte. Se la logica è questa, quando il paese povero
crescerà e i lavoratori giustamente pretenderanno di farsi le ferie
pagate e la malattia, si cercherà un altro paese messo peggio e via
così. Costruendo un’economia sulla delocalizzazione, si fa terra
bruciata perché oggi ci sei, domani no, cosa te ne frega di quel che lasci per terra? In sostanza:
i pezzi non andranno mai a posto finché al centro dell’economia
non ci si mette la persona.
In Argentina non hanno voluto accettare questo
modello.
La gente si è assegnata le case, hanno riaperto le
imprese, si sono uniti in cooperative. I lavoratori hanno studiato,
per essere poi in gradi di gestire una impresa (anche se non sei
della Bocconi..).
E sono riusciti a recuperare il lavoro, anche
grazie alla comunità: gli utili sono stati reinvestiti sul
territorio in scuole e strutture sportive.
Il profitto è
necessario, per andare avanti, ma non il fine. Dunque redistribuzione
del reddito, stimolo all'economia e non ai mercati. Un altro modello
economico.
MILENA GABANELLI STUDIO
Se l’Argentina ha rialzato la testa
non è solo per le fabbriche recuperate. Ma è anche e soprattutto scattata nella popolazione
una consapevolezza che ha portato all’elezione di presidenti in grado di ricreare le
condizioni di lavoro. Queste 250 imprese si sono riaperte in modo
spontaneo, senza bisogno di seguire nessun sindacato, o partito. E
non è l’autogestione che conosciamo anche noi: quella che nasce e
muore dentro al perimetro di un’azienda. Quella coinvolge tutta la
comunità che gli sta intorno. Certo, noi abbiamo mostrato delle luci
e sicuramente ci saranno anche delle ombre, ma
puntando sulla ricostruzione del
mercato interno, lo Stato, in qualche modo, diventa regolatore della
cosa pubblica. E la disoccupazione è passata dal 25% al 10 e
l’inflazione è rientrata.
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