La riforma del lavoro vale 200 punti di spread, dicevano i tecnici presentando la riforma con tante promesse (meno precari) e una certezza (licenziamenti più facili).
E ora che la riforma è arrivata nel testo ufficiale in parlamento, lo spread è salito anzichè scendere.
Come a dire che bisogna dubitare di questi tecnici, che non avevano fatto bene i conti nemmeno con gli esodati, con la Imu, con l'effetto delle tasse sulla recessione.
Ora che è tornata l'opzione del reintegro, a lamentarsi sono le grandi imprese e l'ex presidente di Confindustria.
Eppure loro, da questa versione della riforma, ci guadagnano. Non c'è nessun vincolo sui contratti a termine e la deroga di un anno sulle partite Iva.
E c'è un altro problemino: come si paga questa riforma? Con altre tasse?
Abbiamo perso tre mesi a parlare, inutilmente a mio avviso, dell'articolo 18. Salvo scoprire poi che altre riforme sarebbero più urgenti. Come quella sui finanziamenti ai partiti. All'improvviso è tornata sulle agende dei partiti, ora che sono già scappati i buoi (o altri animali a vostro piacimento).
E la legge sulla corruzione?
E il ripristino del falso in bilancio? L'allungamento dei tempi di prescrizione? Altre promesse da tecnici?
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