Anche in Puglia è esistita, e presumibilmente esiste ancora, una mafia regionale, la quarta che si affianca alle altre tre (cosa nostra, ndrangheta, camorra): una mafia che, come le altre, prende in ostaggio il territorio e lo impoverisce. Mafia che non moriranno mai – ha raccontato Don Luigi Ciotti nella introduzione – se non cambia la politica e non cambiamo noi, assumendoci le nostre responsabilità.
L'esistenza di una mafia in Puglia è stata per lungo tempo negata: eppure anche qui è esistito un gruppo criminale, eterogeneo, pulviscolare e diffuso sul territorio e senza un'unica struttura unitaria, che si è dedicato alle estorsioni, all'usura, alle rapine, al traffico di droga, sigarette ed esseri umani (sfruttando la vicinanza con le regioni balcaniche e il disfacimento della ex Jugoslavia).
Un sistema criminale che ha ucciso, ha sporcato di sangue le strade e le piazze, andando ben oltre l'immagine del contrabbandiere che traffica in sigarette perchè non esistono altre opportunità. Come un pezzo di folklore, come ha spiegato il governatore della regione, Nichi Vendola.
Ci sono state guerre tra bande, in cui le “squadre della morte” di un gruppo andavano ad uccidere i membri del gruppo rivale. Agguati dove spesso a morire erano persone che non c'entravano nulla.
Ma ci sono state anche morti di altro genere: Palmina era una adolescente di 14 anni, ridente nonostante venisse da una famiglia povera. Muore, dopo 22 giorni di ospedale, per le ustioni sul corpo. Chi le ha dato fuoco? Perchè il fratello non è riuscito a salvarla. C'è chi sostiene che le si sia dato fuoco perchè si rifiutava di prostituirsi. Ma il processo stabilirà che invece è stato solo un suicidio. Con molti dubbi.
Renata Forte è stata la prima assessore donna, eletta nel comune di Nardò nel 1984. Si batteva per bloccare i tentativi di speculazione nel parco “Porto selvaggio”. Una sera, il 31 marzo 1984 due killer le sparano e la uccidono. Al processo viene condannato come mandante Antonio Spagnolo, primo dei non eletti nel suo stesso partito. Una vicenda che ricorda la morte del vicegovernatore Fortugno in Calabria.
Come sono nati questi gruppi criminali? Nel suo racconto, Lucarelli spiega le differenze rispetto alle altre regioni del sud. Qui, sin dai tempi del post unità d'Italia, sono state le altre organizzazioni a venire in Puglia per colonizzarla. Non ci sono feudi dati in gestione a campieri, come in Sicilia: le tenute sono bene amministrate e danno ricchezza al territorio. Lo stato non è stato vissuto come una vessazione, come in Calabria, portando la gente a simpatizzare coi briganti.
Ma paradossalmente – spiegava anche il sottosegretario Mantovano - proprio la sua ricchezza la resa negli anni allettante per gli insediamenti criminali.
Molti sono arrivati col soggiorno obbligatorio, tra gli anni '60 e '70. Altri, arrivano dalle carceri: come i camorristi che, dalle carceri campane, venivano trasferiti in quelle pugliesi.
I cutoliani della nuova camorra organizzata, in lotta contro la famiglia Ammaturo. Le ndrine di Di Stefano e di Bellocco. Inizia così, una fase di mafiosizzazione del territorio, anche con l'affiliazione da parte dei boss camorristi, di esponenti della criminalità locale, che si spartiscono il territorio.
Finchè Giuseppe Rogoli, in carcere, non si crea la sua mafia: la sacra corona Unita; una entità criminale che prende simbologie sia dalla Camorra (la sacra corona è il simbolo dei Borbone), dalla ndrangheta (nel rituale di affiliazione, nel gergo, nei vari gradi dell'organizzazione).
Tatuaggi, simboli per riconoscersi, rituali quasi esoterici (così articolati che i malavitosi sono costretti a scriverseli per ricordarli, il che darà la possibilità agli inquirenti di conoscere meglio questo gruppo), riti di iniziazione complessi (favella, rintagli).
Rogoli mette assieme circa 1567 affiliati in una quarantina di clan: ma avendo affiliato le persone in massa, quello che succede poi, è che questi, anziché rimanere uniti e fedeli al capo, si faranno la guerra tra loro. C'è la strage della famiglia di Antonio Dodaro. Romolo Guerriero che viene ucciso e persino i suoi genitori spariscono, vittime della lupara bianca.
Ci sono anche i clan che non appartengono alla sacra corona unita: Rogoli non riesce a tenere tutto sotto controllo. E commette anche un altro errore: ammette l'esistenza del suo gruppo, davanti ad un giudice (cosa che qualsiasi boss di cosa nostra non avrebbe mai fatto).
Forse per sminuire le sue colpe, o per indicare come chiusa l'esperienza della s.c.u., di fronte al giudice Maritati, oggi senatore, Rogoli parla della sua mafia, definendola però come struttura di mutuo soccorso. E questo porta ad altre scissioni e guerre.
Perchè con le sigarette si fanno tanti soldi, poi ripuliti in Svizzera.
In Puglia ci sono stati anche episodi poco chiari, come la bomba collocata sui binari del rapido Lecce Zurigo, la bomba al tribunale di Lecce e contro il direttore del giornale di Lecce e Brindisi.
Infine, l'episodio mai chiarito fino in fondo, del rogo al teatro Petruzzelli.
Mafia e sanità: nelle case di cura dell'imprenditore Cavallari giravano liberamente gli affiliati della sacra corona unita. Un personaggio potente questo Cavallari: per le sue amicizie (le feste alla Prefettura) e per il peso nella sanità privata, quando quella pubblica veniva trascurata dagli amministratori.
La mafia dei colletti bianchi: significativo l'episodio dell'omicidio di Francesco Marcone, impiegato all'ufficio registri, che aveva denunciato strani giri nel suo ufficio, con boss che ottenevano l'esonero dei controlli tributari. Per la sua denuncia fu ucciso: anche il suo nome figura tra i 40 morti pugliesi della mafia, elencati durante le manifestazioni di Libera.
Insomma, tirando le somme, una criminalità mafiosa in piena regola dove, rispetto alle altre, è meno forte il legame con la politica (per i voti, per il controllo degli appalti). Questo proprio per la frammentazione sul territorio, che non le ha permesso, di poter fare la voce grossa col mondo politico.
Questo nonostante la prima sentenza del tribunale, nel maxi processo tenuto a Bari tra la fine anni 80 e nei primi 90, che sosteneva che quelle realtà criminali non erano mafia, ma criminaltà comune.
“Si è detto che io attaccavo la popolazione della Puglia” ricorda oggi l'allora giudice istruttore Maritati. Nessuno a quell'epoca, tra i penpensanti voleva ammettere che anche in Puglia era arrivata la mafia.
Anni dopo, arriva la sentenza del tribunale di Lecce che ribalta la sentenza di Bari: per la mattanza di metà anni 80, i mafiosi vennero condannati per 416 bis. Da qui, iniziarono le prime collaborazioni dei mafiosi con lo stato (come era avvenuto già in Sicilia, dopo il maxi processo a Palermo).
Come il pentimento di Salvatore Anacondia detto mano mozza.
Pentimenti che portano ad altre operazioni di repressione da parte dello stato: Operazione primavera, contro il contrabando sulle coste e contro i convogli dei fuoristrada sulle strade.
Poseidon, Panunzio (a Foggia).
Infine si arrivò alla presa di coscienza della società civile contro questa mafia, dopo le morti per le strade, di persone comuni che non c'entrano nulla: come la morte di Michele Fazio.
Ci sono le nuove leve, o i vecchi boss oggi scarcerati.
Ci sono anche le intimidazioni per contrastare l'acquisto dei beni confiscati (“chi compra muore”) a Torre Santa Susanna.
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