04 dicembre 2011

Il giorno dei morti di Maurizio De Giovanni

Il giorno dei morti. L'autunno del commissario Ricciardi.
L'incipit:

Quando l'alba tirò fuori dalla notte e dalla pioggia i contorni delle cose, se qualcuno fosse passato avrebbe visto il cane e il bambino ai piedi dello scalone monumentale che portava a Capodimonte. Ma sarebbe stata necessaria grande attenzione: a stento si distinguevano, nella luce incerta del primo mattino.Se ne stavano là, fermi, indifferenti alle grosse gocce fredde che cadevano dal cielo. Erano seduti sullo scalino di pietra, nella rientranza ornamentale dopo i primi gradini. Le scale erano un torrente d'acqua in piena che trasportava rami e foglie dal bosco della reggia.Se qualcuno fosse passato e si fosse fermato a guardare, si sarebbe chiesto come mail il flusso dell'acqua e dei detriti che incessantemente cadeva a valle sembrasse rispettare il cane e il bambino, passandogli accanto senza toccarli se non per qualche schizzo occasionale [..]. Qualcuno avrebbe potuto chiedersi che cosa facessero là il cane e il bambino, fermi nella fredda alba di un autunno pieno di pioggia.


L'ultimo romanzo del primo ciclo delle storie del commissario Ricciardi, della regia Questura di Napoli, affonda lo sguardo sui grandi contrasti della Napoli dei primi anni Ruggenti del fascismo: gli anni della miseria e della nobiltà, come nella commedia di Scarpetta, senza però nessun lieto fine a far tirare un sospiro di sollievo.

Nei giorni in cui è annunciata a Napoli la visita del Duce, per portare anche qui la guerra della rivoluzione fascista (per cui i delitti venivano cancellati per decreto), un ragazzino viene trovato morto sulla scalinata di Capodimonte.

Sembra una delle tante morte per stenti degli scugnizzi che vivono nei quartieri: vivono, ma sarebbe meglio dire combattono la loro battaglia quotidiana per sopravvivere, abbandonati a se stessi, anche da quel regime che avrebbe dovuto portare benessere e sicurezza nel paese.

Di questa morte se ne occupa il commissario Ricciardi, che non ha alcuna intenzione di lasciare il morto senza un nome e senza un perchè: perchè è morto in quella posizione? Chi lo ha lasciato lì?
Qualcos'altro però lo convince che non si può archiviare quella morte come una delle troppe morti accidentali: “ho pensato che era tanto solo da non avere nemmeno qualcuno che si preoccupava se era vivo o morto. E ho pensato che non era giusto. Che così come ci si dovrebbe occupare dei bambini quando sono vivi, non si deve consentire che passino dalla vita senza lasciare traccia”.
E poi c'è un'altra cosa: sulla scena dove è stato trovato il morto, nella pioggia, Ricciardi non ha visto il Fatto (gli ultimi istanti di vita delle persone morte in modo violento). Cosa vuol dire?

Dopo qualche giorno, un prete, Don Antonio, arriva in commissariato per riconoscere il morto: è Matteo Diotallevi, Tettè per tutti: uno dei sei bambini che la sua parrocchia accoglie nella notte, mentre durante il giorno sono alla ricerca di un lavoro.
Ricciardi e Maione iniziano una loro indagine andando a fare qualche domande nel mondo che Tettè (così chiamato perchè era balbuziente): i compagni, la parrocchia, il sacrestano, le dame di carità che cercavano di insegnare a leggere e scrivere, il suo padrone sul lavoro (un saponaro, uno che vende o baratta porta a porta nei quartieri) .. 
Ma è un'indagine molto difficile: perchè le troppe domande suscitano la reazione della curia che non apprezza troppo zelo su questa morte e l'intromissione di un commissario nella loro vita.
Ma soprattutto è il suo superiore Garzo che non accetta che ci siano inchieste aperte nei giorni della visita del Duce.
Ricciardi deve investigare da solo.

E scoprire .. Che Tettè non è morto per cause naturali. Che la descrizione quasi idilliaca fattagli dal prete non corrisponde alla verità. 
Tettè subiva le prepotenze dei ragazzi più adulti (che lo chiamavano Cacaglio fesso), veniva sfruttato dal saponaro presso cui doveva imparare un mestiere e il prete che avrebbe dovuto prendersi cura di lui, si preoccupava più delle donazioni.
Un mondo di violenza quotidiane, umiliazioni e tanta ipocrisia da parte sia della Chiesa che dall'aristocrazia che con la carità pensava di mettersi a posto con la coscienza.

Nonostante la pioggia, che rende tutto grigio, Garzo, l'omertà della curia, Ricciardi riuscirà a ritrovare il Fatto.
Come negli altri romanzi, attorno alla storia principale, trova spazio il racconto della storia d'amore tra il commissario e Enrica, la sua vicina. L'ostinato corteggiamento di Livia Ussari, la bella vedova conosciuta nel primo libro “Il sensodel dolore”. I rimbrotti della Tata Rosa e la quiete della famiglia Maione. E fa la sua comparsa, tra le pieghe del racconto, l'oscura e inquietante polizia segreta del regime, l'OVRA.

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