Sottopagati, disoccupati, precari. Ma Paperoni e furbetti se la godono
Molto ben documentato e dettagliato, il saggio del giornalista Walter Passerini e del fondatore della società di ricerca Od&M, sul tema dei salari in Italia.
Come sono cresciuti (o non cresciuti) negli ultimi 40 anni; quale è il peso dell'inflazione reale (e quella sui beni a maggiore consumo) :
"L’inflazione generale (indice Nic) ha toccato un valore complessivo del 24,5 per cento in dieci anni; quella per i beni ad alta frequenza d’acquisto è arrivata addirittura al 33,1 per cento".
Come sono distribuiti i salari, andando ad analizzare le singole categorie (operai, impiegati, quadri, dirigenti e supermanager), le differenze di genere (donne e uomini) e quelle territoriali (in che regione d'Italia si guadagna di più e dove di meno).
Per la loro analisi i due autori hanno consultato il database della è Od&M-GiGroup, che ha seguito l'evoluzione salariale degli italiani dal 2002: "ha per anni raccolto informazioni proprio con questa ottica: fotografare le remunerazioni nella loro composizione complessiva".
In 10 anni, dicono gli autori, l'inflazione si è mangiata tutti gli aumenti salariali, sia per impiegati che per i dirigenti: certo dirigenti e operai partivano da diverse situazioni iniziali e la crisi dell'occupazione e dei salari ha colpito le persone.
Ma rimane chiaro il messaggio che gli autori vogliono dare: dobbiamo riformare il sistema di retribuzione degli italiani, snellendo tutte le voci che compaiono in busta paga (chi è in grado oggi di comprendere tutte le voci presenti?):
"La busta paga dovrebbe a nostro avviso contenere al massimo tre voci: la retribuzione professionale, la retribuzione variabile e la retribuzione straordinaria".
Ridurre il numero dei contratti nazionali (oltre 400).
Spingere sempre di più per la seconda parte contrattuale, la parte variabile legata agli obiettivi che sono dati alla singola persona.
Oggi questa voce è presente per buona parte dei ceti alti, ma spesso assente per impiegati e operai.
Eppure, dando alle persone obiettivi chiari (raggiungibili) che legano il suo stipendio, le sue performance a quelle aziendali, si riuscirebbe a coinvolgere e motivare di più le persone.
E' anche questo parte della famosa produttività di cui tutti parlano ma che nessuno declina in modo preciso.
Quello su cui si deve puntare è aumentare il grado di produttività (e valore aggiunto) del singolo rispetto agli input che si mettono nel processo produttivo.
Non basta detassare straordinari o chiedere una tassazione favorevole al salario di produttività, se prima non si lavora sul processo lavorativo.
Serve abbandonare vecchi schemi di raggionamento (ovvero puntare solo sugli accordi nazionali) ma anche lavorare sul cuneo fiscale (tra i più alti d'Europa), ovvero il peso delle tasse sullo stipendio netto.
Perché una cosa è certa: l'emergenza del lavoro non è solo uno slogan buono per fare titoli dei giornali. E' una vera emergenza sociale e nazionale, che coinvolge persino chi un lavoro lo ha già (i working poor).
Un'emergenza dentro un sistema in cui aumenta la forbice tra i ricchi e i poveri, dove "i primi 100 supermanager di aziende quotate hanno portato a casa 352 milioni di euro in un solo anno, una media aritmetica di 3,5 milioni a testa", pur non avendo avuto le loro società performance paragonabili agli stipendi.
Un'emergenza dove "la metà più povera delle famiglie italiane detiene il 9,4 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco ha il 45,9 per cento".
Un paese come questo non può avere un futuro: dove non si premia il merito, lo studio (l'università e la laurea non è più un'ascensore sociale), dove si penalizzano i giovani:
"Il nostro mercato non è così attento alle domande, alle specializzazioni, al punto che cresce la convinzione assai pericolosa, nei giovani, che per trovare lavoro e fare carriera, oltre al merito e alle conoscenze, conti sempre di più la fortuna, e qualche spintarella".
Dove alle donne è spesso precluso l'accesso alle professioni a maggiore remuneratività (con tutti gli ostacoli alla carriera posti solo per il fatto di essere madri o figlie di genitori da accudire). Un paese in cui la maggior parte delle aziende è "piccola" (di fronte ad un sistema bancario affetto da sindrome da gigante e poco attento alle attenzioni delle imprese medio piccole), investe poco in risorse umane e in ricerca e sviluppo.
Dove "si sta compiendo una sorta di processo d’omologazione tra il lavoro impiegatizio e quello operaio", un livellamento verso il basso che impoverisce tutto il paese.
"Il mondo degli impiegati sembra quindi seguire una regola non scritta, ma applicata in modo rigoroso: tutti uguali e livellati verso il valore più basso".Tutti uguali, tutti più poveri, tutti meno motivati a lavorare meglio.
Se le buste paga sono leggere, rimangono a galla solo le imprese che esportano all'estero o le grandi aziende che possono strappare allo stato incentivi o aiuti.
Scrivono gli autori : "confrontando lo stipendio medio di un operaio italiano e quello di un tedesco. La paga media del primo, come abbiamo visto, nel 2012 è stata di 22.500 euro lordi all’anno. Quella di un operaio tedesco di 38.550 euro".
Sono questi i numeri dell'emergenza salari.
In appendice al libro, la proposta di legge presentata nel luglio passato sul "reddito minimo di cittadinanza", per aiutare le persone in crisi ("Il reddito garantito fa riferimento a chi è sulla soglia di povertà"), la proposta degli autori per riformare la busta paga, l'accordo tra Confindustria e sindacati per la produttività e una breve analisi sull'andamento delle retribuzioni negli ultimi 40 anni.
La presentazione degli autori
La scheda sul sito di Chiarelettere
Il link per ordinare il libro su ibs
Nessun commento:
Posta un commento