Quella di ieri sera è stata un'inchiesta nel mondo del carbone, del
petrolio, del gas, nell'industria del fossile, quella a cui dobbiamo
rinunciare se vogliamo arrivare ad emissioni 0 nel 2050. Ma la realtà è diversa.
A furia di sentir parlare di
transizione ecologica, emissioni zero, pensiamo che l'ora delle
energie fossili sia finita, ma non è così.
L'ondata di caldo in Oregon, generata dal cambiamento climatico, ha causato duecento morti, settecento
morti sono stati registrati in Canada per una ondata di calore. Altre morti per i nubifragi in
Germania.
Di chi è la colpa? Nell'incontro dei
grandi della terra al G20, erano tutti d'accordo, da Biden a Draghi
al presidente cinese.
Ma c'è un divario tra la retorica e la
realtà – racconta il direttore dell'agenzia dell'energia
dell'OCSE: dovremo rinunciare a parte dell'energia, dovremo smetterla
in nuovi investimenti in nuovi pozzi petroliferi, nella scoperta di
nuovi giacimenti di gas.
Peccato che
l'utilizzo di combustibili fossili per l'energia non sia diminuito,
come dimostra lo studio del think tank internazionale Ren21: in tutto
il mondo si continua ad investire nella ricerca e nello sfruttamento
di giacimenti di petrolio e gas e così anche in Italia.
A Licata i
pescatori fanno lo slalom tra i relitti dei pozzi di gas in fondo al
mare e le piattaforme che cercano il petrolio in fondo al mare:
queste strutture danno fastidio alla loro attività, danneggiano la
pesca nel mare di Sicilia.
Nuove piattaforme
significa meno lavoro per i pescatori: sono i pozzi appena
autorizzati dal ministro Cingolani che dovrebbe gestire la
transizione ecologica.
Un via
libera per sfruttare i giacimenti di petrolio nel sottosuolo della
Sicilia, dell'Emilia Romagna e nei fondali dell'Adriatico, nonostante
i ricorsi delle province a queste trivellazioni in mare, anche quelli
lungo il delta del Po.
Le
associazioni ambientaliste gridano al tradimento, ma il ministro si è
difeso dicendo che le trivelle erano già lì.
Secondo il
costituzionalista Enzo di Salvatore, attivo sostenitore nel
referendum No Triv (quello del “ciaone” per chi se lo ricorda) il
ministro non avrebbe dovuto nemmeno firmare una parte dei decreti,
perché non sono legittimi: “la legge 12/2019 lo impedisce, cioè
sospende tutti i procedimenti in corso finalizzati ai permessi di
ricerca e la vigenza dei permessi ricerca già rilasciati”.
Nel 2018 i partiti
avevano stoppato le trivellazioni in attesa del Pitesai, un piano
organico che è fermo da anni: Cingolani che si è difeso dicendo che
le autorizzazioni gli sono capitate sul tavolo, poteva non rilasciare
il permesso come ha fatto l'ex ministro Costa.
Ma se dobbiamo
uscire dalle risorse fossili, se vogliamo ridurre le emissioni,
quando iniziamo veramente?
Gli effetti del petrolio sulla salute
A Gela si trivella
dagli anni '50 e qui si inaugurò con Mattei il polo petrolchimico:
le cicatrici di questa storia industriale sono ancora qui, a Gela.
A Gela tante
famiglie hanno malati di tumore, troppe le deformazioni pre natale,
un rapporto dell'istituto superiore della sanità riporta tumori e
deformazioni nei neonati.
Colpa
dell'inquinamento del petrolchimico, come a Taranto, senza però aver
goduto un'attenzione nazionale da parte dei governi e della stampa.
Lo scorso 8 giugno
il tribunale di Gela ha negato che ci siano correlazioni tra
inquinamento e malformazioni, ma la battaglia delle famiglie va
avanti, come va avanti il processo contro dirigenti Eni alla
raffineria di Gela. Sversamenti nei terreni, carenza nei controlli,
queste le accuse alla multinazionale che non avrebbe fatto le
opportune bonifiche.
Nel 1998 Gela è
inserita tra i SIN, le aree contaminate che necessitano di bonifica:
ma al momento non esistono bonifiche completate.
Però tantissime
attività sono state fatte – racconta il direttore dell'impianto:
le bonifiche sono partite, gli impianti sono in dismissione, si
stanno sperimentando tante tecniche nuove, ma i tempi sono lunghi.
Ma fuori dalla
raffineria le cose sono messe peggio: c'è la discarica Cipolla di
proprietà di un imprenditore fallito, dove a fianco del sito
contaminato pascolano le capre. La falda sotto Gela
si è contaminata e si sta spostando verso il mare.
Dalla Sicilia al
Niger: la falda del fiume Niger è contaminata dalle aziende che
estraggono petrolio e gas, per colpa delle oil spills.
Aziende come la
nostra Eni, Agip, che inquinano terreni e acque mettendo in crisi
l'attività dell'uomo in queste zone della Nigeria.
Colpa dei sabotaggi
– la difesa delle aziende, ma un'indagine di amnesty international
ha stabilito che è colpa della manutenzione delle condutture e dei
tempi lunghi in cui queste multinazionali intervengono per bloccare
gli sversamenti.
Le aziende del
petrolio inquinano acqua, aria e terreni e non esistono studi su
questi disastri ambientali di cui in Europa si parla troppo poco.
Ma ora Shell
Nigeria dovrà risarcire diversi contadini che lavoravano su terreni
che hanno subito perdite da oleodotti, sulla base del tribunale
dell'Aja: non puoi inquinare a casa degli altri, come non si può
inquinare a casa tua, questo dice la sentenza.
Il negazionismo
climatico
Teresa Paoli ha
intervista un geologo che ha lavorato per la Exxon Mobil sui
cambiamenti climatici causati dalle emissioni e il ciclo del
carbonio: Edward Garvey ha compiuto questi studi nel 1978 e
portati avanti per tre anni. Nata a fine ottocento, in Italia è
conosciuta come Esso: il lavoro di Garvey e della sua equipe era
progettare il sistema per misurare il valore dell'anidride carbonica.
In questa ricerca ha imparato molto sugli scambi tra oceano e
atmosfera, un qualcosa non ancora noto, ma già all'epoca era molto
chiaro che la temperatura stava per aumentare – racconta alla
giornalista – non era una questione se stesse aumentando, ma quanto
velocemente, quanto presto e quali sarebbero state le implicazioni.
Nei primi anni 80
Exoon stessa ha elaborato un grafico che metteva nero su bianco
quello che sarebbe avvenuto: la correlazione tra l'aumento della
temperatura dell'atmosfera e le emissioni di co2 dei combustibili
fossili.
“I geologi e i
climatologi avevano evidenze negli anni 70” prosegue lo scienziato,
e quando Exoon mise in dubbio queste posizioni “queste non
derivavano dalla conoscenza, tutti lo sapevano, Exoon non ha mai
detto non è un problema, ma ha pagato delle persone affinché lo
dicessero. E non sarà solo Exxon a pagare per questo, ma il mondo
intero, come scienziato fa veramente paura, questo non è un
esperimento a cui vorremmo assistere.”
E ora? “Forse non
è troppo tardi per evitare la catastrofe, ma abbiamo perso troppo
tempo”.
Le ricerche a cui
ha partecipato Ed Garwey non sono mai state pubblicate ma sono la
dimostrazione che le compagnie avevano ben chiara la loro
responsabilità nel cambiamento climatico.
Il giornalista
Stefano Vergine racconta che Greenpeace USA qualche anno fa è
riuscita a trovare i documenti che Exoon Mobil ha presentato
all'agenzia delle Entrate in cui ha detto a quali enti benefici, a
quali associazioni di ricerca, sono arrivati i loro finanziamenti.
“Exoon Mobil dal
1998 ad oggi ha dato 33ml di dollari ad una serie di associazioni,
centri di ricerca che hanno fatto negazionismo climatico”: assieme
al professore dell'Università Bicocca Milano Marco Grasso,
Stefano Vergine ha scritto un libro dal titolo “Tutte le colpe
dei petrolieri” in cui hanno fatto i conti in tasca ai signori del
petrolio.
Racconta Marco
Grasso: “Cento grandi industrie petrolifere hanno contribuito tra
il 1988 al 2015 al 71% delle emissioni cumulate industriali globali,
li conosciamo uno per uno”.
Sono compagnie
statali come Saudi Aramco, la russa Gazprom, le private Exxon, la
China National Petroleum e anche Eni: sono state definite l'elefante
nella stanza perché sono state abili nel nascondere le loro
responsabilità, nello scaricarle sui consumatori, nel dirottare
l'attenzione verso altri soggetti e nel presentarsi solo come
soggetti che forniscono un servizio, soddisfano una domanda.
Le compagnie
petrolifere, che sono quelle che emettono la co2, non hanno vincoli
sulle emissioni per legge e sulla loro riduzione, i vincoli li hanno
gli stati, tant'è che le compagnie petrolifere fanno i loro piani di
riduzione solo su base volontaria.
Ma qualcosa sta
cambiando: il 26 maggio 2021 con una sentenza storica il tribunale
olandese ordina alla multinazionale Shell di tagliare del 45% le
proprie emissioni di co2 entro il 2030: la causa era iniziata nel
2018 ed è stata sostenuta da 17mila cittadini olandesi guidati
dall'associazione ambientalista “Friends of the earth”: per
limitare il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi anche Shell deve
avere un ruolo da svolgere – questa la convinzione
dell'associazione – doveva essere obbligata a ridurle e il giudice
ci ha dato ragione.
Questa sentenza
ribalta il “clima” di negazionismo climatico: Shell era in
possesso di documenti che dimostravano le conseguenze dei
combustibili fossili già dagli anni 60, avevano decenni per
diventare una compagnia diversa ma non lo ha fatto.
Questa sentenza
sarà un precedente per imporre a tutte le compagnie un cambiamento
di politiche industriali, il loro core business non potrà più
essere petrolio e gas.
A Roma, davanti la
sede dell'Eni, l'azienda partecipata dallo Stato italiano, si è
svolta un'azione dimostrativa di Greenpeace: questa azienda è tra i
maggiori responsabili delle emissioni di gas serra, racconta di avere
un piano di decarbonizzazione, ma in realtà gran parte dei soldi
finiscono in gas e carbone, a breve periodo questi investimenti
cresceranno del 4%.
Farà in tempo a
raggiungere i risultati “green” entro i limiti prefissati? Una
proposta è catturare la Co2 in atmosfera, come sta facendo al largo
di Ravenna.
Ma progetti uguali
sono falliti all'estero: la co2 non si può immagazzinare totalmente
e per sempre, racconta a Presadiretta Vincenzo Balzami, è una strada
pericolosa e che non potrà funzionare.
Si sceglie questa
strategia solo per continuare ad usare i combustibili fossili.
Un'altra strategia sono le bioraffinerie, “il passo decisivo per la
transizione” racconta Francesco Franchi direttore Eni a Gela: il
cuore è una tecnologia che produce un olio biodiesel, che potrà
essere usato per i trasporti, per i camion, prodotto da materie prime
provenienti dall'Asia, come l'olio di palma.
L'impianto tratterà
scarti alimentati, che al momento però arrivano dall'estero e non
dall'Italia perché da noi non esiste una filiera.
Per la rete
“legalità per il clima” queste strategie di Eni non sono
sufficienti e ha mandato una lettera di diffida all'azienda: Iacona
ne ha chiesto conto la direttrice di ricerca e sviluppo di Eni.
L'idea di arrivare
ad emissioni zero nel 2050, ma il petrolio verrà sostituito dal
metano entro il 2030, anche se è un potente gas serra. Come mai non hanno
puntato alle energie rinnovabili?
L'ingegnere
dell'Eni parla di progetti in Africa e nel mare del nord, racconta
che le rinnovabili non sono energie stoccabili, dello stoccaggio
dell'anidride carbonica in giacimenti esauriti. Ma non sarebbe
meglio non emetterla proprio la co2, se poi catturarla è difficile?
L'impressione è
che Eni non abbia intenzione di investire troppo in nuove tecnologie,
che intenda comunque difendere e riutilizzare gli ex impianti e le
“vecchie” competenze.
Entro il 2025
chiuderanno tutti i giacimenti di petrolio assicura la dottoressa
Zarri.
Il paradiso del
fracking in Texas
Nel Texas si è
iniziato ad estrarre petrolio nel 1920, grazie alla produzione fatta
qui gli USA hanno superato l'Arabia, grazie all'uso del fracking.
La tecnica del
fracking ha fatto risorgere le aziende del petrolio, gli imprenditori
e gli uomini di affari parlano di un nuovo west, come se fossero di
fronti ad una nuova frontiera.
Altro che smettere
col petrolio, qui i petrolieri pensano di andare avanti per 20-30
anni, senza fermarsi, perché questa industria ha bisogno di nuova
energia per andare avanti, come un mostro affamato, necessità di
acqua, di sabbia e di altre sostanze chimiche per spezzare le rocce.
Questa tecnica però
inquina l'aria: il gas metano che sfugge agli impianti costituisce
una bomba ad orologeria sull'America, le emissioni di metano sono
aumentate in questo decennio proprio per lo “shale gas” estratto
grazie al fracking.
Lo shale gas è
peggiore del carbone, raccontano due professori della Cornell
University, perché è un gas inodore e insapore: per scovarlo serve
una camera ottica come quella di Sharon Wilson, cacciatrice di metano
e attivista dell'associazione Hearthworks.
Sharon lavorava
nell'industria del gas prima che il suo ranch fosse circondato da
impianti di fracking e che dal suo rubinetto iniziasse ad uscire
acqua nera.
Ora è diventata
un'attivista dell'associazione Hearthworks: secondo lei questo tipo
di inquinamento non è risolvibile dalle aziende:
“il gas è
come un drago non puoi intrappolarlo in un serbatoio, nemmeno in un
tubo, non puoi intrappolarlo in un camion, né in una nave cisterna,
è volatile e sotto pressione e troverà il mondo per uscire. In
questo momento non c'è la tecnologia per controllarlo. L'industria
ha promesso per un decennio di smettere di emettere del gas e invece
le emissioni sono aumentate, non credo più a queste promesse”.
Nessuno controlla
mai le emissioni di questi impianti, spesso irregolari: le famiglie
che vivono in mezzo a questi impianti devono cambiare casa, perché
vicino a queste ciminiere, vicino alle trivellazioni le persone si
ammalano.
La pressione nel
sottosuolo, per l'acqua iniettata sottoterra causa poi problemi ai
pozzi dove l'acqua esplode e inquina i terreni: l'acqua dei pozzi
diventa salata, inutilizzabile e diventerà un problema per i
prossimi quarant'anni, come le scorie nucleari.
C'è anche poi il
rischio terremoti, registrati sempre di più nelle zone prossime ai
pozzi.
Il metano è molto
più alterante per il clima rispetto ad altri idrocarburi: eppure i
negazionisti del clima in Texas continuano a raccontare le loro
sciocchezze.
Il “negazionismo
climatico” è diventato politica di governo, ha ammesso Christian
Wayne, commissario della Railroad Commission Of Texas, l’ente
governativo che gestisce l’industria petrolifera nel Texas:
«Perché dovremmo spendere 78 mila
miliardi di dollari, per via degli accordi di Parigi, per una
previsione lunga decenni che riguarda il contenimento della
temperatura al di sotto un grado e mezzo! È folle!».
Qui non credono al
surriscaldamento del clima, non credono alla correlazione tra
emissioni di co2 e i cambiamenti climatici, non credono alle
previsioni dei climatologi e degli scienzati.
E anche adesso, il
governo Biden ha messo al bando il fracking solo sui terreni
federali, sono una parte dei terreni, facendo una marcia indietro
rispetto alle promesse fatte in campagna elettorale.
Anche in Italia i
camini degli impianti emettono gas in atmosfera: queste emissioni
sono monitorate da Greenpeace e Re Common, con le fotocamere che
inquadrano le emissioni di metano, senza alcun monitoraggio da parte
di enti statali.
Emissioni
“fuggitive” a Cremona, a Pavia e anche nel viaggio del gas verso
le nostre case, per le perdite nei siti e nelle centrali Snam: anche
si tratta di percentuali minime, il metano in atmosfera, da tutti gli
impianti, ha un grande e grave impatto sull'ambiente e per la
comunità che vive vicino a queste ciminiere.
E' anche uno
spreco, perché questo metano arriva da lontano, dalla Siberia o
dall'Algeria, per essere poi emesso in aria per queste fuoriuscite.
Snam, che ha
accettato di rispondere alle domande di Presadiretta, ammette che non
esiste un ente terzo che controlla, hanno dei loro sistemi di
certificazione, ma sono disponibili ad un controllo.
Snam sta portando
avanti un piano per eliminare gli impianti a gas, ma sta costruendo
un nuovo metanodotto in una zona sismica in Abruzzo: contro la
centrale si sono schierati i sindaci della zona, la comunità
religiosa di Sulmona.
Si sono schierati
contro l'autorizzazione del ministro Cingolani a questo hub del gas,
basato su dati del 2005: è un'opera inutile, perché dovrà essere
tenuta in piedi per i prossimi anni quando dovremmo aver già
abbandonato il gas.
Il piano per
emissioni zero di Eni è fatto su premesse scientifiche forse
sbagliate, si continuano a trivellare i fondali mettendo in crisi i
pescatori, gli impianti di Snam emettono metano e non esiste un ente
terzo che controlla.
Siamo tutti verdi e
favorevoli alle emissioni zero eppure si autorizzano nuovi impianti,
come quello di Snam in Abruzzo, nuove trivellazioni come quella a
Gela.
O anche si
autorizzano nuove centrali a gas, come succede a Montalto di Castro,
di proprietà di Enel: doveva essere una centrale nucleare, poi è
diventata turbogas, nel 2016 doveva essere chiusa per far posto ad un
parco.
Poi Enel ha deciso
di partecipare al capacity market, una legge del 2019 per garantire
la sufficienza energetica in caso di picchi: così l'impianto ha
ripreso a vivere, grazie a soldi pubblici.
Anche la centrale a
Carbone di Civitavecchia sarà sostituita da una centrale a gas, con
grande rabbia della popolazione locale che ha subito l'impatto della
centrale per anni.
A Civitavecchia
perché il governo non ha imposto il passaggio da centrale ad un
impianto con soli pannelli fotovoltaici?
Diversi
parlamentari come Rossella Muroni hanno fatto un'interpellanza contro
queste scelte: i ministeri non hanno risposto e questo la dice lunga
sulla vera volontà del governo (e dei governi precedenti) sulla
guerra ai cambiamenti climatici e sulle emissioni.
La finanza punta
ancora sull'industria del fossile e quando ci sono di mezzo i soldi
va bene anche tutto, anche il carbone.
Come a Dusseldorf,
alla miniera di carbone della RWE: villaggi interi sono acquistati
dall'azienda e sono stati distrutti per estrarre lignite. “Perché non ve
ne andate?” così scrive la RWE alle famiglie dei paesi vicini alla
miniera, per costringerle ad abbandonare le loro case. Molte famiglie si
sono messe assieme per combattere gli espropri, altre famiglie si
sono rifugiate sugli alberi.
Dietro la RWE ci
sono banche e aziende, anche italiane come Intesa San Paolo e
Unicredit.
Mentre la politica
diceva di voler combattere l'uso delle energie fossili, la finanza va
in direzione contraria, tutte le banche anche le nostre che poi
finanziano gli eventi “green” per pulirsi la coscienza.
Aggregando tutti i
prestiti e i finanziamenti, Re Common ha stimato che il totale emesso
dalle nostre banche è pari a quello dell'Austria: le due banche
italiane hanno risposto di avere a piano l'abbandono di questi
settori, ma il rischio è di arrivare ad una crisi finanziaria,
perché le aziende del fossile potrebbero arrivare alla bancarotta.
Anche agenzie
pubbliche investono nel fossile, come ha fatto Sace: lo ha scoperto
il Think Tank Ecco, controllando i progetti finanziati da questa
agenzia nel mondo.
Ci sono poi i fondi
pensioni che anch'essi investono l'industria fossile, anche in modo
non sempre trasparente: le casse di previdenza degli enti non
indicano dove investono, così un medico o un giornalista non può
sapere se sta finanziando un'industria di oil e gas.
L'associazione
Medici per la salute aveva fatto un appello a Enpam per chiedere
chiarimenti sui loro investimenti, non ricevendo alcuna risposta.
La Germania uscirà
dal carbone solo nel 2038, pochi anni prima del 2050. Questo ci fa
capire quanto sia ipocrita la politica dei governanti europei e
mondiali in generale, quando si parla di clima.
Serve una vera
volontà politica per disinvestire veramente nel fossile, che sia
petrolio o gas, per puntare su investimenti sostenibili.
Gas e idrogeno
derivato dal fossile non sono investimenti sostenibili, sono solo
“green washing”. Un lavarsi la coscienza, senza pensare al mondo
di domani e alle persone che si stanno ammalando oggi.