19 giugno 2012

Guagliò

Il lessico che emerge dalle intercettazioni dei "potenti" spiega molto più che non decine di articoli di giornali.
Da quelle dei furbetti, a quelle di Silvio con le sue girls.

E ora anche in quelle tra Mancino e il quirinale e i vertici del potere giudiziario (il pg della Cassazione), per l'inchiesta di Palermo sulla trattativa stato-mafia.
Il dialogo è quello tra due vecchi amici, e uno parla tranquillamente in napoletano. “Sono chiaramente a sua disposizione – dice il Procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito – adesso vedo questo provvedimento e poi ne parliamo. Se vuole venirmi a trovare, quando vuole”. E Nicola Mancino replica: “Guagliò come vengo, vado sui giornali”. “Ahahaha, ho capito”, commenta allegro il pg. Sono le 9.04 del 15 marzo 2012, l’ex presidente del Senato chiama per congratularsi con l’alto magistrato che ha appena ricevuto l’ordinanza del gip Alessandra Giunta su via D’Amelio.
Non è solo la ragnatela di relazioni che si muove forse per ostacolare, sicuramente per indirizzare l'azione dei pm palermitani,  impressionare.
Sicuramente operazioni non opportune e che andranno chiarite.

Sorprende la familiarità, il tono colloquiale con si parlano queste persone (consulenti dell'alto colle, magistrati, ex senatori, ufficiali del ros,giornalisti) che incarnano i vertici dello Stato: che basso rispetto delle istituzioni.
Il procuratore che si mette a disposizione, come un servitore qualsiasi. L'altro procuratore che mette paura a Mancino perchè "fa domande".
E lo stesso senatore che chiede al consulente giuridico “Veda se Grasso può ascoltare anche me in maniera riservatissima che nessuno sappia niente”.

Sono passati venti anni da quelle stragi: il 23 maggio, commemorando la figura di Giovanni Falcone il presidente disse
"La mafia, Cosa Nostra e le altre espressioni della criminalità organizzata - che tante vittime hanno mietuto nei decenni tra magistrati, servitori dello Stato e appartenenti alla società civile, ai quali rendo commosso omaggio, e lo farò anche a Corleone e a Portella della Ginestra - rimangono - ancora un problema grave della società italiana, e dunque della democrazia italiana. Dobbiamo perciò, noi tutti, proseguire con la più grande determinazione e tenacia sulla strada segnata con il loro sacrificio da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino. Se le stragi in cui essi caddero massacrati insieme a uomini e donne delle loro scorte, segnarono il culmine dell'attacco frontale allo Stato, ai suoi rappresentanti più temibili nello scontro diretto e quotidiano con il crimine organizzato, e se gli attentati della primavera del 1993, e il loro torbido sfondo, si esaurirono in se stessi, la mafia seppe darsi altre strategie, meno clamorose ma non meno insidiose. Da allora le diverse organizzazioni criminali - tra le quali in particolare la 'ndrangheta, e in forme violente e spietate - hanno coltivato vecchi e nuovi traffici profittevoli e invasivi, conservando e acquisendo posizioni di potere soprattutto sul terreno economico, anche attraverso pesanti condizionamenti della vita politico-istituzionale".
Vediamo se dalle parole (non di circostanza) si arriverà ai fatti.

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