24 giugno 2012

Aristotele e la favola dei due corvi bianchi di Margaret Doody



L'incipit del libro

«Quando mi recai al Liceo quel giorno, la prima vera giornata di dolce tepore primaverile, mi sentivo sereno. Dopo la prima lunga permanenza in Egitto, avevo una gran voglia di partecipare ad una delle nostre solite pacate conversazioni tra amici. Mi presentai senza essere annunciato, e trovai Aristotele e alcuni dei suoi amici e colleghi studiosi seduti all’aperto sotto il piccolo portico che il Maestro aveva da poco fatto costruire».

Tramite il racconto in prima persona del giovane Stefanos, abbiamo modo di attraversare i secoli e trovarci ancora una volta nell'Atene di Licurgo e Aristotele. Al cospetto del celebre filosofo, possiamo ascoltare dalla sua voce la sua concezione di bene comune all'interno della polis: la favola dei due corvi bianchi, che per orgoglio e avidità si mettono ad accumulare beni e ricchezze ricorrendo a strategemmi e furbizie, è un apologo, in forma di giallo, della buona politica.

Apologo in forma di giallo: alla base del racconto che Aristotele illustra ai suoi amici, c'è il concetto di vita comune all'interno della polis. La difesa dei beni comuni da parte di quanti, per invidia, orgoglio, avidità, intendono accumulare beni propri ai danni della comunità.
Ma questa storia ha anche un rivolto giallo: per conto di Atene , Aristotele e Stefanos devono andare sull'isola di Idra per indagare su concittadini che stanno sottraendosi dal dovere di pagare le tasse e indagare anche su un caso di corruzione di giuria. Il caso vuole poi che su questa isola abiti un certo Sommaco, cugino ricco di Caronide che, con fare irriguardoso, gli ha chiesto di indagare sul cugino che intende sottrargli le terre.

Così Aristotele si trova ad affrontare tre casi che si incrociano: la corruzione, il contrabbando di cui si sta occupando Stefanos e un omicidio ancora da commettere. Ma lo appassiona soprattutto la possibilità di confermare le proprie teorie politiche, mostrando come la crisi dei legami della polis conduca al disordine e perfino al delitto.
«Naturalmente», continuò Aristotele, «quando ho cominciato a raccontare questa favola per il vostro diletto, non sapevo che di lì a poco avrei incontrato i miei due corvi nella vita vera. Due uomini dai capelli bianchi, entrambi avidi e in preda ad un'ossessione. Caronide e Simmaco, a loro modo, sono estremamente simili. Certo, uno sembra sano di mente e l'altro .. bé, un po' meno. Ma entrambi sono presi dalla smania di proteggere il loro patrimonio e di sottrarsi alla condivisione. Nessuno dei due è capace di dare. Caronide è arrivato al punto di non sopportare nemmeno i pensiero di erigere un monumento funebre in memoria della moglie . La sua condotta è logica per uno che pensa di essere il solo a dover ereditare qualcosa e il cui unico scopo è accumulare ricchezze».
«Bé, non c'è dubbio che sia riuscito a tenerle tutte per sé», osservò Demetrios ridendo.
«In nome dei propri diritti ha commesso un errore e si è smarrito. Il denaro è energia accumulata: ha senso se la si usa, altrimenti non ha un'esistenza propria. La ricchezza di Caronide era inutile ed illusoria, come il tesoro di una gazza ladra e di un corvo».
«Quell'uomo è l'esempio tipico dell'avaro», disse Eudemos. «Simmaco no. Lui sa godersi le cose belle della vita».
«Bé, non proprio, se tra le “cose belle” includiamo valori come il pensiero e l'etica, o il patriottismo. Lui ha mentito e ingannato per salvare il suo tesoro dalle tasse, da qualsiasi forma di condivisione o di contribuzione al bene collettivo. Si è vantato, mentendo, d'aver contribuito ad alleviare la carestia. Simmaco ha costruito un'immagine di sé più accattivante rispetto a Caronide, è vero, e per certi aspetti e il più intelligente nel senso comune del termine. Ma sono entrambi degli sciocchi, come i miei due poveri corvi bianchi».
«Nella tua favola e nella storia vera di questi due uomini», sottolineai, «il comportamento e gli atteggiamenti predatori hanno portato alla crudeltà e all'autolesionismo».
[..]
«Se ci isoliamo dalla comunità, danneggiamo essa e noi stessi. Perché la polis non garantisce solo la sopravvivenza. Non è un congegno di uso pratico, anche se molti dei suoi scopi sono lodevolmente pratici: difendere la popolazione, nutrire la cittadinanza durante una carestia, e via dicendo. La città, in realtà, esiste perché ci consente di concepire grandi ideali e per riconoscere e compiere nobili azioni»
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«Bé, non c'è dubbio che sia riuscito a tenerle tutte per sé», osservò Demetrios ridendo.«In nome dei propri diritti ha commesso un errore e si è smarrito. Il denaro è energia accumulata: ha senso se la si usa, altrimenti non ha un'esistenza propria. La ricchezza di Caronide era inutile ed illusoria, come il tesoro di una gazza ladra e di un corvo».«Quell'uomo è l'esempio tipico dell'avaro», disse Eudemos. «Simmaco no. Lui sa godersi le cose belle della vita».«Bé, non proprio, se tra le “cose belle” includiamo valori come il pensiero e l'etica, o il patriottismo. Lui ha mentito e ingannato per salvare il suo tesoro dalle tasse, da qualsiasi forma di condivisione o di contribuzione al bene collettivo. Si è vantato, mentendo, d'aver contribuito ad alleviare la carestia. Simmaco ha costruito un'immagine di sé più accattivante rispetto a Caronide, è vero, e per certi aspetti e il più intelligente nel senso comune del termine. Ma sono entrambi degli sciocchi, come i miei due poveri corvi bianchi».«Nella tua favola e nella storia vera di questi due uomini», sottolineai, «il comportamento e gli atteggiamenti predatori hanno portato alla crudeltà e all'autolesionismo».[..]«Se ci isoliamo dalla comunità, danneggiamo essa e noi stessi. Perché la polis non garantisce solo la sopravvivenza. Non è un congegno di uso pratico, anche se molti dei suoi scopi sono lodevolmente pratici: difendere la popolazione, nutrire la cittadinanza durante una carestia, e via dicendo. La città, in realtà, esiste perché ci consente di concepire grandi ideali e per riconoscere e compiere nobili azioni».
La scheda del libro sul sito di Sellerio.
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