Se c'è un libro che può spiegare cosa si intenda per noir italiano, questo potrebbe essere “L'uomo nero” di Luca Poldelmengo.
Ovvero
il racconto del lato oscuro della società di oggi, l'assenza di una
linea di separazione chiara tra il bene e il male e tra buoni e
cattivi. La facilità con cui si può sprofondare nel crimine, per
non uscirvi più.
Ne L'uomo nero, protagonisti sono tre persone
le cui storie si intrecceranno a seguito di un omicidio mascherato da
incidente.
Marco, Gabriele e Filippo.
Marco è diventato
poliziotto per imposizione paterna: ha passato l'intera vita a subire
le scelte e a rimandare di volta in volta la svolta, il
cambiamento.
Ogni volta, la promessa di cambiamento, suggellata con
un nuovo viaggio in una località esotica, rimaneva incompiuta:
uscire dalla polizia (e accettare le ire del vecchio), trovarsi una
ragazza, uccidere il padre padrone ..
Un uomo in perenne fuga da
se stesso.
Evitare noie era il suo comandamento, qualsiasi cosa richiedesse troppo impegno non valeva la pena di essere fatta. Sul lavoro rispettava minuzioso i precetti che si era dato: fare il minimo indispensabile. Nel suo caso, praticamente nulla.Marco rappresentava un'anomalia nelle file della polizia italiana: non era diventato poliziotto per vocazione, né per bisogno; lui era sbirro per volontà divina! Quella di suo padre, Donato Alfieri, congedatosi dal serviziocon il ruolo di voce capo della polizia.
Il genitore aveva scelto per lui una carriera in divisa; e come Garibaldi a Teano, aveva detto obbedisco! Consegnandogli così le chiavi della sua vita di cui, di questo ne era convinto, il suo vecchio si sarebbe appropriato comunque.Pagina 20
Gabriele, a capo di
una catena di alberghi, è uno venuto su dal nulla: l'egoismo e
l'avidità sono state le fondamenta della sua vita. Ora, con un
matrimonio con una signora della Roma che conta, sta finalmente
facendo il suo ingresso in società.
Ingresso a cui non può e non
vuole rinunciare per nulla.
Capì presto che l'impressione che aveva avuto del suo capo in quel primo giro in macchina non era lantana dal vero. A Gabriele non solo piaceva ascoltarsi, ma amava farsi ascoltare, rendere il mondo partecipe della sua magnificenza. [..] Anche riguardo a quei favori che Gagliardi non disdegnava Filippo si era fatto nel corso degli anni un'idea piuttosto precisa: più volte gli era stato chiesto di portare una busta a questo o quel tizio, di accompagnare una professionista che avrebbe allietato la serata di questo o quell'amico. Tangenti, mazzette, omaggi della casa.[..] Perché un'altra cosa aveva capito di Gabriele: era meglio credere a quello che diceva, parlava molto ma mai a sproposito. Quella storia che non voleva raccomandati per esempio, era vera. Quello strano uomo a suo modo aveva un'etica, si era dato delle regole. Pagina 29-30
La
sua famiglia è l'unica cosa che vale per lui, la sua famiglia
“l'unico posto degno di essere abitato”.
Quelli erano i suoi amici, da sempre. Quattro, come nella canzone di Paoli, solo che loro al bar c'erano rimasti. Amici del quartiere, cresciuti gomito a gomito, facendo slogan tra le siringhe degli anni '70. Highlander di un'adolescenza anni '80, tra paninari e Monclear. Sopravvissuti a tangentopoli, al lancio di monete all'hotel Raphael, ai primi amori degli anni '90. Ai matrimoni, ai cambi di residenza che li avevano sparpagliati per la capitale e ai primi figli del nuovo millennio. Ai cazzi della vita che li accompagnava verso i quaranta, ora che il primo decennio del XXI secolo se ne era andato.Pagina 43
Questa quiete verrà turbata dalla
tempesta che si abbatterà sui tre e ciascuno di loro dovrà fare le
sue scelte. Filippo perde il lavoro e dovrà nuovamente tirare fuori
il suo lato oscuro, “l'uomo nero”, pur di non perdere la sua
famiglia e consentirgli un futuro.
Gabriele, per non rinunciare
alla svolta della sua vita col matrimonio, è disposto anche a
compiere (o a fare compiere) un crimine.
E Marco, infine, dovrà
smettere di fuggire e fare quello che deve fare: non per compiacere
il padre o i colleghi, ma semplicemente per la morte di una persona
che ammirava.
Sullo sfondo di questo racconto asciutto,
veloce, quasi cinematografico (chi legge queste pagine “vede” le
scene muoversi), una Roma con il suo traffico, i campo Rom, le
macchine, la confusione. Una città altrettanto violenta, cinica e
caotica.
Se il precedente libro “Odia il prossimo tuo” aveva i
toni da romanzo “western”, questo ha decisamente quelli della
tragedia. Non aspettatevi nessun lieto fine, nessun riscatto sociale.
«C'è un uomo nero che batte le nostre strade. È un assassino. È fatto della materia che prendono i sogni quando la ragione si addormenta. È banale e feroce come il Male.Solo l'amore potrà fermarlo. Ma non è detto che ci riesca.»
GIANCARLO
DE CATALDO
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